giovedì 30 luglio 2020

LA TRINITÀ


La Trinità

Spiegare non vuol dire dimostrare. Dimostrare vuol dire fare un ragionamento in base al quale si riconosce che le cose stanno così e non possono stare in un altro modo. Rispetto al mistero di Dio non possiamo procedere in questo modo, e quindi si cercherà di spiegare con la consapevolezza che non si può dimostrare.

Però, anche spiegare può essere una pretesa, perché se si va a vedere che cosa vuol dire la parola spiegare, il verbo spiegare significa "togliere le pieghe". E quando uno ha tolto le pieghe la cosa è spiegata, ed essendo spiegata è senza pieghe, e quando è "senza pieghe" si dice (in latino) che è sine plices, in italiano: semplice.

Spiegare vuol dire togliere le pieghe ma facendole vedere. Perché se uno spiega qualche cosa che è già senza pieghe, che spiegazione sarebbe? Per spiegare qualcosa occorre far vedere che ci sono le pieghe, perché se tu cerchi di spiegare una cosa che è senza pieghe, di sicuro che le pieghe ce le metti dentro tu.

Come si fa a spiegare la Trinità? Padre, Figlio, Spirito Santo, quanti sono? Tu dirai: sono tre persone. Però è un unico Dio. È un unico Dio in tre persone, ma queste tre persone non sono tre individui. Se Gesù dice: Io e il Padre siamo una cosa sola. Quante cose sono? Una!
Io, quante cose sono? Una.
Noi, quante cose siamo? Basta contarci, siamo…. Quindi siamo tante cose.

Dio è una cosa sola come io sono una cosa sola. Però io sono una persona e una cosa sola, mentre Dio è una cosa sola e tre persone.
E allora come si fa? Quando cominci a pensare alla Trinità, è quasi sicuro che diventi un triteista, pensi a tre divinità: c’è il Padre, c’è il Figlio, c’è lo Spirito Santo. Il Padre è il creatore, il Figlio è il salvatore, e poi sì c’è anche lo Spirito Santo.

Attenzione!!! È un unico Dio, non tre! Un’unica sostanza, come io sono un’unica sostanza. Posso io moltiplicarmi? No. Non sarei più un’unica sostanza. Posso dividermi? No, non sarei più un’unica sostanza. Dio è un’unica sostanza, indivisibile e non moltiplicabile, eppure crediamo che sia Padre, Figlio e Spirito Santo.

Allora, qualcuno potrebbe dire: tre uomini, Giuseppe, Luigi e Federico sono tre, però come uomini sono uno. No!! Perché non sono uno come unica cosa, ma come una specie. Dio non è una unica specie in tre persone.

Capiamo quindi che la spiegazione del mistero trinitario non consiste nell’andare a vedere come è fatto, ma nel cercare di evitare gli errori. Cioè non possiamo spiegare il mistero in sé, ma possiamo considerare il modo con il quale, erroneamente, cerchiamo di rappresentarcelo. Quindi non si va dentro il mistero, si va dentro la cattiva rappresentazione e la si smonta. Non arriveremo ad avere la comprensione piena della Trinità, ma salvaguarderemo il mistero dagli errori.

La prima cosa da evitare è quella di concepire tre individui. Non sono tre individui, se fossero tre individui saremmo politeisti, e invece siamo monoteisti. Un unico Dio. Ma allora per quale motivo lo concepiamo con i termini Padre, Figlio, e Spirito Santo? Forse perché sono tre nomi diversi per dire la stessa cosa? Se io mi chiamassi Giuseppe Francesco Maria, sono tre nomi per dire la stessa cosa. Ma lì invece sono tre persone distinte, non tre nomi distinti. Non è che l’unico Dio certe volte si chiami Padre, e certe volte si chiami Figlio e certe volte si chiamo Spirito. Un conto sono tre nomi, un conto sono tre persone.

Ma allora, se non sono tre individui, non sono tre nomi, forse saranno tre modi (a volte si manifesta come Padre, a volte come Figlio, a volte come Spirito Santo). No, non sono tre modi! Tre modi sarebbero delle forme con le quali Dio si manifesta. Io adesso mi manifesto nel modo dello studioso biblico, quando sto in famiglia mi manifesto come padre, e quando lavoro mi manifesto come lavoratore. Tre modi diversi un unico soggetto. Ma le tre persone divine non sono tre modi diversi con cui Dio si manifesta.

Non sto spiegando il mistero in sé della Trinità, me la sto prendendo con le cattive rappresentazioni della Trinità: tre nomi, tre individui, tre modi. Ma allora com’è? Non lo so, ma so che non è rappresentabile in questi modi.

Allora diciamo che il Figlio, se si chiama Figlio, procede dal Padre, e lo Spirito se si chiama Spirito vuol dire che sarà spirato da qualcuno. Quindi il modo con il quale, al massimo, possiamo entrare dentro il mistero trinitario, è capire che in Dio ci sono delle processioni (il Figlio procede dal Padre, lo Spirito procede, è spirato, dal Padre e dal Figlio), ma queste processioni non sono dei movimenti, non sono dei moti che si realizzano in Dio. Dio non è in moto, Dio è immutabile.
E allora dire che il Figlio procede dal Padre, senza che vi sia movimento, e che lo Spirito Santo proceda dal Padre e dal Figlio senza che vi sia movimento, significa che è un movimento senza movimento, il risultato è la pura relazione.

Se il Padre genera il Figlio, e il Figlio è generato dal Padre, e togliamo di mezzo l’idea che questa generazione sia come nel mondo naturale, umano, un moto, resta soltanto il rapporto Padre e Figlio. Il rapporto Padre e Figlio si chiama relazione.

Questa relazione è eterna. L’idea di relazione, la paternità, la filiazione, la spirazione, tolto di mezzo il moto ci dà la possibilità di esprimere il significato della Trinità senza dimostrarlo, e di non cadere nell’errore dei tre individui, dei tre nomi, dei tre modi.

Quindi per cercare di spiegare questo mistero, diciamo che in Dio ci sono queste relazioni: la paternità, la filiazione, e la spirazione; questo ci viene dalla Rivelazione. E dicendo paternità, filiazione, spirazione, noi evitiamo di pensare che ci sia un mutamento in Dio e che ci siano tre cose in Dio.

Ma allora perché invece di dire paternità, filiazione, e spirazione, diciamo Padre, Figlio e Spirito? Perché la paternità è un termine astratto, ma sapendo che in Dio la paternità si identifica con la stessa sostanza divina, non dobbiamo usare l’astratto ma dobbiamo usare il concreto: Padre.

E così si va avanti. La relazione di filiazione, se si identifica con l’unica sostanza divina, si chiamerà Figlio. E così è per lo Spirito Santo.

E quindi l’unica possibilità che abbiamo di distinguere in Dio le persone è perché le relazioni si oppongono. Non si oppongono perché sono in conflitto tra di loro, si oppongono perché una relazione per distinguersi deve opporsi. Un individuo per distinguersi da un altro non c’è bisogno che si opponga, lo si indica (col dito), ma una relazione non può essere indicata, una relazione per distinguersi da un’altra deve opporsi: destra-sinistra, paternità-filiazione, spirante-spirato.

Questo è un concetto astratto, ma ci evita gli errori che provengono dalle cattive rappresentazioni della trinità che distruggerebbero il mistero trinitario.

Viene prima la paternità o la filiazione? Mi dici come fa a esserci la paternità se non c’è la filiazione? Sono insieme. Quando uno è padre? Quando ha un figlio. Il padre viene prima del figlio? No. Se non c’è un figlio non c’è un padre. Padre e figlio insieme; appena uno è padre è perché c’è il figlio, quando c’è il figlio uno è padre. Le relazioni sono insieme.

Nel nostro modo di esprimerci diciamo Padre, Figlio e Spirito Santo, dal padre procede il Figlio, dal Padre e dal Figlio procede lo Spirito, ma sono un’unica sostanza sempre insieme, e quindi eternamente insieme, uguali e pur distinti, non sono tre individui in successione, anche se nel nostro modo temporale di ragionare, semplifichiamo e indichiamo il Padre come se fosse la fonte, il Figlio ciò che procede principalmente dalla fonte, e lo Spirito Santo che procede dalla fonte insieme al Figlio.

Per quale motivo diciamo che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio, e non può procedere solo dal Padre? Perché se procedesse solo dal Padre, sarebbe .. il Figlio! Procede dal Padre e dal Figlio.

Il segno della croce. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ma perché si mette insieme la croce e la Trinità? Di per sé non centrano niente. Cosa centra la croce con la Trinità? Questo è un simbolo maestoso. Nella sequenza abbiamo l’ordine Padre-Figlio-Spirito Santo, perché il Padre genera il Figlio, il Padre e il Figlio spirano lo Spirito Santo, e allora è gioco forza indicarli con questa successione, ma essendo relazioni, le relazioni sono sempre insieme, non una prima e l’altra dopo.

Nel segno della croce, il Padre è indicato dalla testa (perché la rappresentiamo come la fonte), però subito con il Figlio si scende … perché si scende? Non perché il Figlio si trova più in basso del Padre, ma perché il Figlio s’incarna. Non è che diventa Figlio perché s’incarna, ma noi conosciamo il Figlio in forza dell’incarnazione, che è rappresentata come una discesa. È rappresentato come una discesa, non che sia una discesa. Quindi rappresentato come discesa, abbiamo il Padre, il Figlio … e cosa si indica con la mano nel segno della croce? Il cuore. Questo vuol dire che il Figlio procede dal Padre, ma si manifesta per noi nel tempo e nella storia con l’incarnazione, che è l’amore di Dio. Ma la mano non prende solo il cuore, prende anche le viscere – splanchna, in greco – l’amore viscerale veniva indicato per esprimere la misericordia. Quindi si dice, nel nome del Padre e del Figlio, per indicare che il Figlio si incarna per amore misericordioso e viscerale.

E perché Spirito Santo con le due spalle? Non è giusto, perché allo Spirito Santo le due spalle? Il Figlio procede dal Padre, e lo Spirito? Dal Padre e dal Figlio. Per indicare che ci sia lo Spirito, non basta che ci sia la fonte che è la paternità, ma paternità e filiazione insieme.


mercoledì 29 luglio 2020

LA DOMENICA

LA DOMENICA


Gli avventisti, che hanno già preso una cantonata clamorosa predicendo la fine del mondo per il 1844, sostengono che il giorno del Signore non sarebbe la domenica, ma il sabato.

Il passaggio dal sabato alla domenica è avvenuto progressivamente ed è giustificato dal fatto che la risurrezione, che è l’inaugurazione dei tempi nuovi o della nuova creazione, è avvenuta il primo giorno dopo il sabato.

Agli inizi della Chiesa la domenica coesisteva accanto al sabato. In alcuni settori della cristianità il sabato e la domenica erano osservati come due giorni fratelli (cfr. S. Gregorio di Nissa nel 
De Castigatione, PG 46,309). 
Ma sin da subito, la domenica viene privilegiata dalla Chiesa come il giorno di culto.

Il sabato rimaneva il giorno del riposo, mentre la domenica era giorno lavorativo. Per questo «
i cristiani sono costretti ad alzarsi prima del sorgere del sole». Lo testimonia il governatore della Bitinia, Plinio il Giovane, il quale constata che essi hanno l’abitudine «di riunirsi a giorno fisso prima della levata del sole e di cantare tra di loro un inno a Cristo come a un dio» (Plinio il Giovane, Epist., 10, 96, 7, fine I secolo). 
Non ci sarebbe stato bisogno di alzarsi prima del sorgere del sole se si fossero radunati di sabato, che era giorno di riposo.

Anche Tertulliano ricorda i ritrovi prima dell’alba (
coetus antelucani: antelucani deriva da ante lucem, prima del sorgere della luce) (Tertulliano, Apologeticum, 2, 6).

Ben presto, il culto domenicale sostituisce completamente il culto del sabato e quando, nel IV secolo il cristianesimo viene riconosciuto dallo Stato, la domenica diventa anche il giorno ufficiale di riposo. 
Questi sono i dati storici. Poi abbiamo i dati teologici.

Ci sono tre testi nel Nuovo Testamento che fanno riferimento al culto domenicale.

1Corinzi 16:1 Quanto poi alla colletta in favore dei fratelli, fate anche voi come ho ordinato alle Chiese della Galazia.
1Corinzi 16:2 Ogni primo giorno della settimana ciascuno metta da parte ciò che gli è riuscito di risparmiare, perché non si facciano le collette proprio quando verrò io.

È vero che non si fa riferimento alla celebrazione del culto né si dice che quello si è messo da parte doveva essere portato nell’assemblea. Ma è presumibile che sia stato così tanto più che San Paolo chiama la colletta “leitourgias”, “servizio sacro” (2Cor. 9:12). La domenica, già fin d'allora era stata sostituita alla celebrazione del sabato.

Inoltre in 1Cor. 11:20 San Paolo fa riferimento al radunarsi insieme per la cena del Signore, soprattutto quella celebrata di domenica, come si vede nel seguente secondo testo.

2. Il secondo testo è di Atti 20:7-11:

Atti 20:7 Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane e Paolo conversava con loro; e poiché doveva partire il giorno dopo, prolungò la conversazione fino a mezzanotte.
Atti 20:8 C'era un buon numero di lampade nella stanza al piano superiore, dove eravamo riuniti;

L’espressione ci eravamo riuniti a spezzare il pane indica la Cena del Signore.

L’annotazione della presenza di molte lampade non è puramente coreografia, ma lascia intuire che si trattava di una celebrazione che rimanda al trionfo della luce sulle tenebre, al trionfo della vita sulla morte. Il che fa capire che proprio nel giorno della risurrezione erano soliti radunarsi per l’eucaristia (parola greca che significa rendimento di grazie).

Se si tiene presente che in Atti 2:42 si afferma che i credenti erano perseveranti nello spezzare il pane, tutto lascia pensare che questa perseveranza avvenisse in modo particolare di domenica.

Il terzo testo è Apoc. 1:10 dove Giovanni scrive:

Apocalisse 1:10 Rapito in estasi, nel giorno del Signore, udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva:

Giorno del Signore è la denominazione data a quel primo giorno dopo il sabato. Signore è Kyrios, Gesù Cristo. Il testo greco legge kyriakē hēméra (giorno signorile). È il giorno della risurrezione di Gesù Cristo, il giorno della vita nuova, immortale, gloriosa e incorruttibile. I cristiani al tempo in cui Giovanni ha scritto l’Apocalisse vivevano questo giorno come il giorno consacrato al Signore.

Di quel tempo (seconda metà del I secolo) abbiamo uno scritto importante, che non fa parte del Nuovo Testamento, sebbene gli sia contemporaneo, la Didachè nella quale si legge: “Nel giorno del Signore, riuniti, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato i vostri peccati” (13:1).

Una ulteriore testimonianza la troviamo nella lettera di Barnaba: “Per questo noi trascorriamo l’ottavo giorno nella gioia, perché in questo giorno Gesù risorse dai morti e, dopo essere apparso visibile, salì ai cieli” (Epistola di Barnaba 15:9).

Pertanto, anche se non c’è alcuna indicazione esplicita che asserisca che il culto domenicale debba sostituire quello del sabato, tuttavia di fatto fu così.

Questa prassi è probante soprattutto perché è caratteristica di tutte le comunità cristiane, dovunque e da sempre.

SHEMINI ATZERET?

"...l’ottavo giorno (shemini atzeret) avrete una santa convocazione, e offrirete all’Eterno dei sacrifici mediante il fuoco. È giorno di solenne radunanza; non farete alcuna opera servile" (Lev. 23:36)

Questa è la festa più enigmatica di tutto l’anno biblico. Cosa significa, infatti, questo giorno? Il nome ebraico è Shemini Atzeret. Letteralmente è "l’ottavo giorno di riunione". La parola Atzeret deriva dalla radice atzar che significa "trattenere" o "rimanere".
L'ottavo giorno era molto importante nel culto di Dio ai tempi dell'Antico Testamento. Le seguenti cerimonie erano completate l’ottavo giorno:
  • Il primogenito di un animale era sempre riservato per Dio. Tuttavia, il proprietario doveva lasciarlo con sua madre per sette giorni. L’ottavo giorno veniva portato a Dio come offerta (Es. 22:30).
  • La circoncisione di un bambino veniva praticata l’ottavo giorno (Lev. 12:3).
  • Quando un lebbroso era guarito dalla sua malattia, doveva comparire davanti al sacerdote per essere esaminato. Se la malattia era veramente scomparsa dal suo corpo, doveva sottoporsi per sette giorni a un rituale di purificazione. All’ottavo giorno era considerato puro (Lev. 14:10,23)
  • Se un uomo aveva un’emissione dal suo corpo, era considerate impuro. Una volta guarito dall’emissione, doveva sottoporsi ad un periodo di purificazione di sette giorni. L’ottavo giorno era considerato puro (Lev. 15:8).
  • Quando una donna aveva i suoi corsi mensili, era considerate impura per sette giorni. L’ottavo giorno diventava pura dopo aver fatto una purificazione rituale (Lev. 15:20).
  • Alla fine di un voto di nazireato, la persona doveva offrire dei sacrifici per sette giorni. Nell’ottavo giorno era sciolto dal suo voto (Num. 6:10).
È evidente che l’ottavo giorno era l’inizio di qualcosa di nuovo. Sia che si trattava di essere purificato, circonciso, o sciolto da un voto, l’ottavo giorno era significativo di un nuovo inizio.

I primi sei giorni lavorativi rappresentano seimila anni, durante i quali tutti gli uomini faranno le cose a modo loro, e sotto il governo dell’uomo. Il sabato è tipo e ombra degli ultimi mille anni. È il regno millenario. Durante questo tempo, l'uomo si troverà sotto il governo di Dio.
Se il tempo assegnato all’uomo è di settemila anni, e ciascuno di questi periodi di mille anni è come un giorno per Dio, cosa avviene nell’ottavo giorno? È la nuova Gerusalemme che scende dal cielo, e dove il Re e la sua Sposa abiteranno per l'eternità

1Corinzi 5:7 Purificatevi dal vecchio lievito, affinché siate una nuova pasta, come già siete senza lievito. Poiché anche la nostra pasqua, cioè Cristo, è stata immolata.
1Corinzi 5:8 Celebriamo dunque la festa, non con vecchio lievito, né con lievito di malizia e di malvagità, ma con gli azzimi della sincerità e della verità.

In questo versetto Paolo dà il motivo, la ragione cristologica, il fondamento cristico della sua decisione a che il peccato venga tolto dalla comunità. Bisogna togliere il lievito vecchio perché altrimenti tutta la pasta viene contaminata, viene lievitata di peccato. Bisogna togliere il vecchio lievito perché noi siamo una pasta nuova, una pasta che non deve essere lievitata.

Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Siamo stati rigenerati in Gesù Cristo e in lui siamo stati fatti una nuova pasta, pasta azzima, pasta senza il lievito del peccato. Questa è la nostra realtà spirituale.

Bisogna mangiare l’agnello pasquale, e il nostro Agnello pasquale è Gesù Cristo che è stato già immolato, è già sulla tavola. Come lo si mangia? Con la pasta nuova, ma la pasta nuova siamo noi, allora dobbiamo mangiarlo da pasta nuova, non lo possiamo mangiare da pasta lievitata dal peccato. Cristo, la nostra Pasqua, è già stato sacrificato, la festa è cominciata! Anche noi siamo risorti e spiritualmente viviamo nei cieli, nell’ottavo giorno della Gerusalemme celeste. La Domenica è la Pasqua della settimana, in cui si celebra la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, il compimento in lui della prima creazione, e l'inizio della «nuova creazione» (cfr. 2Cor. 5:17 Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove).

L’Agnello è già stato immolato una volta, e la sua immolazione non si ripete, e quindi la Pasqua che celebriamo dura sempre.

La vita cristiana può paragonarsi a una festa pasquale continua (Celebriamo è presente, indica un’azione continua nel tempo), e la Domenica, la Pasqua della settimana, è invito a rivivere, in qualche modo, l'esperienza dei due discepoli di Emmaus, che sentirono «ardere il cuore nel petto» mentre il Risorto si affiancava a loro lungo il cammino, spiegando le Scritture e rivelandosi nello «spezzare il pane» (Luca 24:32,35). È l'eco della gioia, prima esitante e poi travolgente, che gli apostoli provarono la sera di quello stesso giorno, quando furono visitati da Gesù risorto e ricevettero il dono della sua pace e del suo Spirito (Giov. 20:19-23).

Commemorando non solo una volta all'anno, ma ogni domenica, il giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa ha voluto additare ciò che costituisce l'asse portante della storia, al quale si riconducono il mistero delle origini e quello del destino finale del mondo.

Pertanto, la domenica è innanzitutto una festa pasquale, illuminata dalla gloria del Cristo risorto. È la celebrazione della «nuova creazione».

Questa prospettiva cristocentrica, proiettata su tutta la storia, era presente nello sguardo compiaciuto di Dio quando, cessando da ogni suo lavoro, «benedisse il settimo giorno e lo santificò» (Gen. 2:3). Nasceva allora il «sabato», che tanto caratterizza la prima Alleanza, ed in qualche modo preannunciava il giorno sacro della nuova e definitiva Alleanza. Il riposo da Dio offerto al popolo d'Israele con l'ingresso nella terra promessa, è riletto nel Nuovo Testamento in una luce nuova, quella del definitivo «riposo sabbatico» (Ebr. 4:9) in cui Cristo stesso è entrato con la sua risurrezione e in cui è chiamato ad entrare il popolo di Dio.

Per capir la domenica bisogna dunque capire la teologia del sabato. Lo «shabbat»: il gioioso riposo del Creatore

«Cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro» (Gen. 2:2). Siamo di fronte a un antropomorfismo. Il «riposo» di Dio non può essere banalmente interpretato come una sorta di «inattività» di Dio, perché Dio non cessa mai di operare, come Gesù stesso ci dice in riferimento al precetto del sabato: «Il Padre mio opera sempre e anch'io opero» (Giov. 5:17). Il riposo divino del settimo giorno non allude a un Dio inoperoso, ma sottolinea la pienezza della sua opera della creazione.

Ma c’è dell’altro. Il Sabato ha a che fare anche con la salvezza.

Deuteronomio 5:15 Ricordati che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato.

Il Dio che riposa il settimo giorno è lo stesso che mostra la sua gloria liberando i suoi figli dall'oppressione del faraone.

Per questa dipendenza del comandamento alla memoria delle opere salvifiche di Dio, i cristiani, hanno interpretato l'originalità del tempo nuovo e definitivo inaugurato da Cristo, e hanno assunto come festivo il primo giorno dopo il sabato, perché in esso è avvenuta la risurrezione del Signore, che è l'anticipazione del compimento escatologico del mondo. Ciò che Dio ha operato per il suo popolo nell'Esodo, ha trovato nella morte e risurrezione di Cristo il suo compimento. In lui si realizza pienamente il senso «spirituale» del sabato, figura e ombra delle cose a venire.

Per questo la gioia con cui Dio, nel primo sabato dell'umanità, contempla la creazione tratta dal nulla e dice che tutto è buono, è ormai espressa da quella gioia con cui Cristo, nella domenica di Pasqua è apparso ai suoi, inaugurando la nuova creazione, tanto che se uno è in Cristo è una nuova creatura (2Cor. 5:17).

Ebrei 8:13 Dicendo però alleanza nuova, Dio ha dichiarato antiquata la prima; ora, ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a sparire.

Questo intimo legame della domenica con la risurrezione del Signore è stato sottolineato da tutte le Chiese, in Occidente come in Oriente. Nella tradizione delle Chiese orientali, in particolare, ogni domenica è la anastàsimos hemèra, il giorno della risurrezione, e proprio per questo suo carattere è il centro di tutto il culto.

La domenica è il giorno in cui, più che in ogni altro, il cristiano è chiamato a ricordare la salvezza che gli è stata offerta e che lo ha reso uomo nuovo in Cristo.

Apparendo agli apostoli la sera di Pasqua, Gesù alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Giov. 20:22,23). L'effusione dello Spirito fu il grande dono del Signore ai suoi discepoli la domenica di Pasqua. Era ancora domenica, quando, cinquanta giorni dopo la risurrezione, lo Spirito scese con potenza, come «vento gagliardo» e «fuoco» (Atti 2:23) sugli apostoli riuniti con Maria.

Questi sono i motivi per cui la domenica ha scandito la storia bimillenaria della Chiesa.

Essendo la domenica la Pasqua settimanale, in cui è rievocato e reso presente il giorno nel quale Cristo risuscitò dai morti, essa è anche il giorno che rivela il senso del tempo. La domenica prefigura il giorno finale, quello della Gerusalemme celeste, già in qualche modo anticipata dalla gloria di Cristo nell'evento della Risurrezione.

Il cristiano sa, perciò, di non dover attendere un altro tempo di salvezza, dato che il mondo, quale che sia la sua durata cronologica, vive già nell'ultimo tempo.