mercoledì 28 ottobre 2020

IL FRUTTO DELLO SPIRITO: MITEZZA

 

Galati 5:22 Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé;

Che cos'è questa mitezza? La parola prautēs in greco vuol dire dolcezza, o meglio ancora assenza di violenza. È facile pensare a una persona garbata, gentile, ma non è questo il senso proprio della mitezza. Si rischia di banalizzare, ma la Scrittura ci chiede sempre di crescere, di scoprire, di capire, mai fermarsi al primo acchito di ciò che capiamo.

Questo termine prautēs viene usato nella Bibbia greca dell'A.T. per tradurre un termine ebraico che è ben diverso, anî, che vuol dire “povero”, e dunque associa la mitezza alla povertà. Allora poniamoci la domanda: perché un povero sarebbe mite? Si potrebbe pensare il contrario, un povero potrebbe essere una persona arrabbiata, potrebbe essere una persona che ha da rivendicare, ecc.

Come si capisce se una persona è mite? Noi vediamo una persona passare per strada, è mite o non è mite, che ne sappiamo? C'è un sistema molto semplice, offendiamola, proviamo a metterla sotto pressione, vediamo come reagisce. Bisogna spremerle le persone per capire cosa hanno dentro; all'apparenza siamo tutti carini, poi bisogna vedere quando la mordi una persona per sapere di cosa sa. La mitezza si riconosce in stato di conflitto. Il mite è la persona che reagisce con la pace di fronte alla violenza.

La parola «mite» la troviamo nella terza beatitudine: “beati i miti perché erediteranno la terra”. E qui capiamo qualcosa del rapporto tra Spirito Santo, mitezza, assenza di violenza. Inoltre Matteo riporta una frase di Gesù dove dice: Imparate da me che sono mite e umile di cuore.

Gesù è mite. Ma mite vuol dire che è una persona remissiva? Ecco l'altra strada sbagliata che potremmo prendere: il mite è una persona che abbozza, che preferisce evitare lo scontro. In realtà tutto questo avrebbe a che fare con la vigliaccheria, con la mancanza di coraggio, con l'inconsistenza di carattere.

Allora torniamo alla beatitudine: beati i miti perché erediteranno la terra. Che cosa c'è in ballo? La terra, l'eredità e la mitezza, che relazione hanno tra di loro? Come mai ciò che è l'elemento fondamentale delle guerre, la conquista del territorio, la terra, diventa oggetto di eredità da parte di chi non combatte? Normalmente ci si aggredisce per il territorio. Normalmente sono i violenti e gli aggressivi quelli che si prendono il territorio. Come fa il mite a prendere questa terra?

Un errore che in genere si fa, è quello di imporsi un atteggiamento di mitezza che porta la persona a cercare di non reagire alla violenza altrui, in nome di un certo buonismo. Non è questo ciò di cui stiamo parlando. È tutto un altro paio di maniche. Qui stiamo parlando di un frutto dello Spirito che chiede una forza, che in un certo senso chiede un'aggressività, ma di un altro tipo.

Essendo frutto dello Spirito, è un'attitudine conseguente a una forza. La terra è lo scopo di ogni battaglia, ogni aggressività si fa per un territorio, per un oggetto, i contendenti sono con-tendenti, cioè tendono allo stesso obiettivo. Perché invece l'obiettivo apparterrà al mite, a colui che non combatte?

Ha a che fare con l'ereditare. Questo termine noi lo concepiamo secondo la nostra cultura, pensiamo al testamento di qualcuno che è morto e ci lascia qualche cosa. Ma ereditare nella Scrittura è qualcosa di più. L'eredità era la porzione della terra promessa ricevuta da ogni tribù d'Israele nella conquista di Canaan, e questa terra quindi, diventa metafora di ben altra terra di quella dove si scontrano gli uomini. C'è un luogo, c'è una dimensione, c'è qualcosa che vale veramente la pena di difendere. Cioè:

A) il rapporto con Dio, B) la vera pace, ciò che veramente conta. Qui non si tratta di essere remissivi, al contrario essere molto attaccati a ciò che veramente vale.

Molto spesso quando una persona risponde con durezza a chi l'aggredisce, è scesa al livello dello scontro per la stessa cosa che l'altro desidera, sta difendendo un bene che l'altro gli può rubare. Esiste un bene che nessuno può rubare? Esiste un bene che va difeso anche a costo della perdita delle cose di questo mondo? Ebbene, il mite è colui che non risponde allo scontro perché lui tiene a un bene più alto, ha qualcosa di più bello, conosce una cosa che si chiama Spirito Santo e questo Spirito Santo. è il suo dono, e questo dono non lo baratta con niente. Che cosa mi vuoi rubare? Mi vuoi offendere? Ma che m'importa, ho ben altro.

Il mite in questo senso non è uno che non ce l'ha fa a combattere, ma è uno che combatte un'altra battaglia, molto più seria. È povero per questo mondo, ma ricco per il mondo avvenire. È qualcuno che ha la vera ricchezza, quella che nessuno gli può togliere.

Allora, il segreto della non conflittualità non è un carattere controllato, una disciplina dei propri impulsi, ma è il possesso di un bene che non può essere tolto, è il possesso della ricchezza vera, quella che sta nei cieli, che fa di un uomo, un uomo non vulnerabile. È mite perché non ha da combattere quelle battaglie che l'altro ha da combattere. Non perché non vede il male dell'altro, non perché non riconosce un'aggressione, ma perché capisce che deve difendere ben altro, ha altro di cui occuparsi.

Il mite è colui che eredita la terra. Per questo si tiene stretto ciò che vale. Se sarà necessario alzerà anche la voce, non contro qualcuno ma per qualcuno. C'è differenza se critichi qualcuno con malizia o se lo critichi per amore. Le critiche ricevute da chi ci vuol bene possono farci soffrire parecchio perché vanno dritte al punto. Il mite combatte le battaglie così, il mite conosce il vero bene per cui vale la pena di impugnare le armi, e sono armi diverse, forgiate in un'altra fabbrica.

Guerra in ebraico si dice milāmāh, dalla parola leḥem che vuol dire pane, cioè combattere per il pane. La guerra viene per un appetito. Allora, qui non si tratta di non avere appetito, di essere inappetenti riguardo i conflitti umani, ma si tratta di cercare il pane quello vero. Una persona si deve sempre chiedere quando si arrabbia, quando si adira, cosa sta difendendo. Quando ci adiriamo stiamo sempre difendendo qualcosa; allora ci dobbiamo chiedere cosa stiamo difendendo, perché ci stiamo arrabbiando tanto?

La mitezza, frutto dello Spirito Santo deriva dal capire ciò che veramente è prezioso per la nostra vita, e questa è una luce che viene dallo Spirito Santo. Si deve crescere in questa luce. Allora la nostra battaglia è di un altro genere, la nostra lotta dice San Paolo non è contro le creature di carne e sangue. Il Salmo 45:3,4 dice: O prode, cingiti la tua spada al fianco, Che è la tua gloria, e la tua magnificenza; E prospera nella tua gloria, cavalca in su la parola di verità, e di mansuetudine, e di giustizia;

Combattere con queste armi implica una conoscenza della giustizia che non è la giustizia umana della bilancia sociale, ma è la giustizia del rapporto con Dio. È quella giustizia che ogni uomo ha diritto di avere: avere Dio per proprio Padre, avere Cristo per proprio Salvatore.

Quindi la mitezza come frutto dello Spirito deriva da questa esperienza che è l'aver conosciuto la paternità di Dio, aver conosciuto la salvezza di Cristo, e a quel punto difenderla con i denti, questa sì.





lunedì 26 ottobre 2020

FINANZA CRIMINALE

 

Finanza criminale

I grandi finanzieri sono dei grandi criminali che hanno trovato il modo di emettere denaro in proprio e poi venderlo al prezzo stabilito da loro in regime di assoluto monopolio. Mentre gli altri, le persone comuni, lavorano per guadagnarsi da vivere e per mantenere le proprie famiglie, loro speculano in borsa, conquistano i vertici delle società multinazionali e complottano con i governi "amici” per asservire i popoli e le nazioni, aumentando la voragine del debito e poi ricorrendo a loro per pagare gli interessi sui prestiti necessari a sostenere l’economia: il che non è svolgere un lavoro.

In pratica, sono i parassiti dell’umanità e il loro contribuito alla vita sociale è paragonabile a quello di una sanguisuga che succhia il sangue da un organismo sano e non cessa di succhiarlo finché non l’ha condotto alla morte; dopo di che si attacca a un altro organismo e ricomincia il suo lavoro.

Si aggiunga che non hanno dovuto neppure sprecare energie per conquistare le posizioni di potere che occupano: le hanno semplicemente ereditate. Tutto, da secoli, resta confinato all’interno delle stesse famiglie, matrimoni e successioni compresi: essi stanno bene attenti a che né una goccia di sangue, né un centesimo vadano a finire in altre mani. Così come hanno ricevuto i loro imperi finanziari per via ereditaria, così li vogliono trasmettere integri, anzi raddoppiati, triplicati o decuplicati, ai loro successori.

Pensano in grande, molto in grande. Nel corso del tempo, si sono formati dei colossi finanziari che oggi dominano letteralmente il pianeta: i Rotschild, i Rockefeller, ecc. Non si creda che costoro siano partiti dalla gavetta, come avviene per il piccolo e medio imprenditore figlio di operai o di contadini delle passate generazioni; no: essi sono inseriti in una rete di relazioni massonico-mafiose che vedono coinvolte le principali famiglie finanziarie a livello mondiale. Non hanno fretta, perché sanno che ci vuole tempo e pazienza per arrivare alla meta.

D’altra parte, ora si accingono a tirare a bordo le reti: hanno atteso abbastanza, tutti i pesci sono finiti nelle reti e non resta altro da fare che procedere all’ultima fase del programma, incamerare i beni espropriati alle popolazioni, distrutti mediante la concorrenza insostenibile delle loro catene di società multinazionali, e mettere la pietra tombale su ciò che ancora sopravvive dell’economia reale, fatta di lavoro vero, di risparmio vero, di beni e servizi prodotti con il sudore della fronte e non cifre astratte segnate sullo schermo di un computer.

Il primo marzo 2020 le borse mondiali, a causa delle speculazioni che si erano scatenate ovunque nel mondo, hanno bruciato 6.000 miliardi di dollari in una sola settimana.

In Italia le perdite più grosse si ebbero nelle sedute di metà marzo, quelle in cui Raffaele Jerusalmi, amministratore delegato della Borsa italiana, lasciò aperte agli speculatori le porte della borsa valori. Non c'è bisogno di spiegare a quale etnia appartenga chi si chiama Jerusalmi.

A fine 2019 la capitalizzazione mondiale di tutte le borse era di 85.000 miliardi di dollari.

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In questi affari, tutti perdono o qualcuno ci guadagna?

Quando, per esempio, si dice “la borsa ha perso 10.000 miliardi”, o “ha bruciato 10.000 miliardi”, come si usa in gergo borsistico, si dice una verità parziale.

L’affermazione è vera quando il prezzo cala perché nessuno vuole comprare quelle azioni, pertanto il loro prezzo quindi crolla.

Ad esempio, ho un’azione che vale 1.000 euro, ma nessuno la vuole, sono costretto a venderla a 600 euro e questo è il suo nuovo valore, c’è stata una perdita secca di valore di 400 euro. Sono stati “bruciati” 400 euro.

L’affermazione è falsa quando il prezzo cala perché c’è stata una speculazione. Ad esempio, gli speculatori vendono allo scoperto (vendono quindi cose che non hanno) una marea di azioni che valgono 1.000 euro generando il panico tra i risparmiatori, quando il prezzo scende a 600€ comprano le azioni che avevano in precedenza venduto allo scoperto. In questo caso la borsa ha perso 400€, le azioni valgono ora 600€, ma gli speculatori hanno guadagnato 400€, vale a dire la differenza tra il prezzo di vendita (1.000€) e il prezzo d’acquisto (600€).

In questo caso la ricchezza non è stata bruciata, ma è passata di mano.

Quindi, in presenza di speculazione, dire che la borsa ha bruciato 10.000 miliardi di ricchezza è fuorviante, serve soltanto a gettare una copertura mediatica alla finanza predatoria. Infatti, la parola “bruciare” fa pensare che quella ricchezza è perduta, nessuno ha guadagnato.

Per quanto ci riguarda, il calo della borsa italiana di metà marzo era dovuto soprattutto a vendite allo scoperto, quindi era di tipo speculativo. Si è trattato di una razzia.

La finanza globalista apolide di ben nota etnia si è sincronizzata in modo esemplare per condurre una straordinaria operazione speculativa a livello planetario. I guadagni della speculazione, soldi sottratti al risparmio, possono essere ora reinvestiti nell’acquisto di aziende quotate in borsa, ma a prezzi di saldo.

Sono stati sottratti migliaia di miliardi ai risparmiatori e all’economia produttiva, un vero e proprio furto legalizzato. Inoltre, la finanza apolide di ben nota etnia reinvestirà il maltolto nel riacquisto di azioni a prezzi di saldo.

Le imprese, dopo la crisi, se riprenderanno il loro percorso di crescita, faranno sì che la finanza guadagni due volte, una prima volta grazie alla speculazione e una seconda volta grazie alla ripresa economica.

Il coronavirus ha messo in ginocchio le economie del mondo, ma la finanza apolide parassitaria di ben nota etnia si arricchisce sempre e comunque.

Dal punto di vista della finanza questa crisi è stata soltanto una predazione globale. Chi guadagna quindi in questo disastro planetario? Possiamo fare molti nomi, ma è inutile. Sono sempre gli stessi predatori figli del diavolo. Ormai i loro nomi dovremmo conoscerli a memoria. Nulla di nuovo sotto il sole.



mercoledì 21 ottobre 2020

IL FRUTTO DELLO SPIRITO: DOMINIO DI SE'


Galati 5:22 Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé

Facciamo un percorso a ritroso e cominciamo dall'ultimo (dal meno grande). Il frutto dello Spirito del dominio di sé o temperanza, in greco è enkràteia. C'è dentro la parola kratos, che per esempio troviamo nella parola «burocrate» o «cratere». Vuol dire "potere, aver potere".

Dominarsi, a cosa serve? Oggi va di moda essere spontanei, sciolti, disposti a fare la prima cosa che passa per la mente. Si dice che bisogna liberarsi, non avere inibizioni interne o esterne, e quant'altro. Prendiamo ad esempio una bella auto, sportiva, veloce, giriamo la chiavetta e corriamo dove vogliamo. Ma l'auto non ha bisogno solo dell'acceleratore, ha bisogno anche di freni. I freni, in un certo senso, sono una negazione del concetto di auto, perché l'automobile serve per andare e i freni servono per fermarsi, eppure non si può andare senza sapersi fermare. Guidare un'auto senza freni significa andare incontro a un incidente certo. Vivere senza freni vuol dire porre le basi di un incidente, andare a sbattere contro le cose della vita.

Il dominio di sé è l'arte dell'avere il controllo del proprio essere.

All'estremo opposto del non avere freni, c'è quello che oggi viene chiamato politicamente corretto, cioè la misura di non essere mai esagerati, il controllo di sé con cui potremmo confondere questo frutto dello Spirito.

Non dobbiamo dimenticare che il Signore Gesù era un uomo di passione, un uomo che sapeva anche accendersi d'ira, che si sapeva sdegnare. Allora, è un po' diverso il dominio di sé del mondo con quello che il cristianesimo ha da dire. Tra i due estremi, la cultura dell'essere senza limiti e la cultura del politicamente corretto, cioè dell'ipocrisia, in mezzo cosa c'è? Qual è l'equilibrio della vita cristiana?

San Paolo in 1Cor. 9:24-27 fa un paragone con l'atleta, il quale è temperante in tutto perché vuole raggiungere un obiettivo, una corona corruttibile, cioè vuole vincere una gara, mentre noi invece abbiamo ben altro obiettivo.

Se noi prendiamo un vocabolario e cerchiamo cosa significhi la parola libertà, vedremo che la libertà è l'assenza di costrizioni, cioè è la capacità di poter scegliere cosa fare, o meglio la capacità di autodeterminazione. Determinare se stessi, e qui vi troviamo la parola «terminare», mettersi un limite.

La libertà non è non avere limiti, ma conoscere i propri limiti e tenerne conto. La libertà non è fatta per fare quello che uno vuole, ma saper governare per il meglio il proprio essere. E quand'è che governo per il meglio il mio essere? Quando sono perfettamente in controllo delle mie pulsioni? Quando controllo tutto senza farmi sfuggire la minima emozione? No! È tutta un'altra realtà.

Veniamo all'obiettivo del dominio di sé, perché il problema è: qual è lo scopo della libertà? Per spiegare questa cosa parto da un testo che sembra estraneo all'argomento. Un atto tipico che mostra il dominio delle proprie pulsioni, per esempio, è il digiuno. Leggiamo:

Ora i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. (Mar. 2:18-20)

Ci sono i farisei e i discepoli di Giovanni che sono il classico esempio di persone che hanno un combattimento con il proprio ego tutto finalizzato alla ricerca della propria giustizia. E come succede sempre a chi si ritiene giusto, si pretende che gli altri facciano la stessa cosa. Vogliono che anche i discepoli di Gesù digiunino, esercitino questo atto di autocontrolo, questa disciplina. Ma Gesù dice: Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? … Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno.

Digiuneranno quando lo sposo verrà loro tolto, cioè il digiuno sarà ciò che segnala la mancanza di un rapporto. Ci sono delle cose che si fanno per il proprio ego e ci sono delle cose che entrano in un rapporto, ovvero vivere perché qualcuno che io amo è con me e allora io non posso che essere nella festa. Ciò che mi toglie lo sposo, è ciò che mi farà digiunare. Ci sono quei limiti che io mi impongo perché sto cercando la mia giustizia, e ci sono quei limiti che mi impone l'amore: il dominio di me perché io tengo a te perché tu mi sei caro/a, mi sei importante e io farò quelle cose che possono farmi stare con te e darti felicità.

Il dominio di sé, nel cristianesimo, è una relazione con il Signore Gesù. Viene dall'aver scoperto quelle cose che ci danno la gioia del rapporto con lui, e anche aver identificato quelle cose che invece ce lo tolgono. Allora ci sono cose a cui dobbiamo dire no, dobbiamo frenare. Non perché io sia più giusto, ma perché voglio stare con il Signore Gesù, e di conseguenza perché voglio stare con gli altri.

Ci sono atti che un innamorato fa naturalmente, ci sono rinunce che una persona che ama fa senza fare troppi ragionamenti, ci sono cose che si fanno per amore. Il dominio di sé è un frutto, è una conseguenza dell'aver capito qual è la corona che vale. San Paolo diceva che ci sono gli atleti che per uno scopo corruttibile fanno dei sacrifici enormi. Ecco, noi possiamo fare sacrifici, possiamo privarci delle cose perché abbiamo uno scopo: avere relazione con l'Amato. Il dominio di sé è la scelta dei no che io devo dire a me stesso per poter stare con Cristo e con il prossimo.

sabato 17 ottobre 2020

LA RISURREZIONE DEL SIGNORE NELLA LITURGIA CRISTIANA

La Risurrezione del Signore nella liturgia cristiana

La sera del sabato santo comincia l'ultimo giorno del triduo pasquale, suo culmine gioioso e vittorioso, con la «madre di tutte le veglie», come la definiva sant'Agostino: cammino che approda alla luce della Resurrezione.

La veglia inizia con l'accensione e la benedizione del fuoco nuovo, simbolo del Cristo risorto. Spente le luci nella chiesa, si accende fuori di essa un falò attorno al quale si radunano i fedeli.

L'estinzione di ogni luce significa anche l'abrogazione della Legge Antica mentre l'arrivo del fuoco nuovo indica la promulgazione della Nuova Legge portata dal Cristo che affermava: «Io sono la luce del mondo». La pietra focaia, dalla quale si dovrebbe ricavare secondo la tradizione il fuoco nuovo, è anche simbolo del Cristo secondo quanto scrive san Paolo: «Gesù Cristo stesso è la pietra angolare»; come lo è infine il Cero pasquale che viene acceso al nuovo fuoco.

Sant'Agostino spiegava che nel cero ardente si dovevano distinguere la cera, lo stoppino e la fiamma: la cera, simbolo della carne del Cristo; lo stoppino della sua anima; e la fiamma della sua divinità. Ma quando è ancora spento il Cero è il simbolo del Cristo morto. Per questo motivo prima della sua accensione il sacerdote incide su di esso con uno stilo una croce: sopra di essa traccia la lettera greca alfa e sotto la lettera omega; ed entro i quattro angoli formati dai suoi bracci le cifre dell'anno corrente. Poi conficca cinque grani d'incenso in forma di croce. Questi grani sono il simbolo delle cinque piaghe della Passione.

Infine il sacerdote con un lungo cerino accende al fuoco nuovo il Cero pasquale e si avvia verso l'entrata della chiesa cantando Lumen Christi mentre i fedeli rispondono: Deo gratias.

Sulla soglia alcuni fedeli vi accendono la loro candela e poi diffondono la fiamma a quelle degli altri, sicché a poco a poco tutta la chiesa è punteggiata di lumini e infine risplende di tutte le sue luci.

Il Cero acceso simboleggia il Cristo risorto, segno di speranza nei secoli, e le candele accese dei fedeli la loro comunione nel Cristo da cui hanno ricevuto il Fuoco e la Luce. Il rito, detto Lucernario, sarebbe stato compreso immediatamente dai Magi che fecero visita a Gesù, perché al centro della loro tradizione il fuoco era l'epifania dell'energia divina.

Il Cero resterà acceso fino alla Pentecoste, ovvero sino alla conclusione della Grande Pasqua che dura cinquanta giorni. Dopo il Lucernario segue la liturgia della Parola durante la quale vengono proposte nove letture, sette dall'Antico Testamento e due dal Nuovo.

Un tempo, durante la veglia pasquale si celebravano i sacramenti dell'iniziazione, battesimo, cresima ed eucaristia, che introducevano il catecumeno nella Chiesa. Oggi ancora si raccomanda, se è possibile, di celebrare il battesimo durante la veglia per sottolinearne il carattere pasquale. Ma prima della celebrazione del battesimo viene benedetta l'acqua, portata successivamente alla fonte battesimale.

L'Ufficio per la Settimana Santa della liturgia preconciliare spiegava:

«Egli la divide in forma di croce perché dalla passione e morte di Gesù Cristo ha la sua virtù; la tocca con la mano per discacciarne il demonio; fa tre croci sopra il Fonte per indicare che nel battesimo concorre tutta la Santissima Trinità, come intervenne in quello del Cristo; divide nuovamente e spande l'acqua verso le quattro parti del mondo perché fu comandato agli apostoli di andare per tutto il mondo a predicarvi la fede e a conferire il battesimo; aspira sopra di essa tre volte in modo di croce per esprimere la Trinità; v'immerge il Cero tre volte acciocché lo Spirito Santo vi discenda con la pienezza della sua grazia, e lo alza per significare come la grazia di questo sacramento solleva l'anima dal peccato alla gloria; soffia l'acqua tre volte per denotare la venuta dello Spirito Santo, dato pure agli apostoli dal divino Maestro col soffiare sopra di essi; e finalmente vi infonde l'olio dei Catecumeni e il Crisma, simboli l'uno dell'umanità e l'altro della divinità di Gesù Cristo, e ve li mescola insieme per significare l'unione di Lui col popolo cristiano per mezzo del Battesimo».

Oggi il rito è semplificato ma anche impoverito: il sacerdote si limita a benedire l'acqua e a immergervi il Cero pasquale una o tre volte dicendo: «Discenda, Padre, in quest'acqua, per opera del tuo Figlio la potenza dello Spirito Santo...».

L'acqua è uno dei simboli fondamentali dell'esperienza religiosa non solo biblica, ma di tutta l'umanità. Le acque infatti, praticamente in tutte le culture, figurano la fonte e l'origine dell'esistenza.

Anche nell'Antico Testamento le acque avevano la stessa funzione. «Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati» dice il Signore tramite il profeta Ezechiele: «io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli: vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei precetti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi».

L'immersione nell'acqua (baptismós, in greco) è il rito di purificazione che Giovanni compie sulle rive del Giordano e al quale si sottopone il Cristo che dirà poi a Nicodemo: «In verità, in verità, ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito non può entrare nel regno di Dio».

L'acqua simboleggia anche l'efficacia del sangue redentore del Cristo paragonato a un'acqua che lava. Tertulliano osservava che l'acqua è la sede dello Spirito divino; ad essa fu ordinato all'inizio dei tempi di produrre tutti gli esseri viventi: «Ogni acqua naturale acquista dunque, grazie all'antica prerogativa di cui fu onorata all'origine, la virtù santificante del sacramento, purché Dio sia invocato a tal fine».

Per questi motivi il battesimo è profondamente pasquale: sia perché nasce dal sacrificio della Croce e della Resurrezione, sia perché esso stesso è un «passaggio». Dopo la solenne benedizione dell'acqua i battezzandi con la candela in mano ricevono il sacramento; i catecumeni adulti vengono poi confermati dal vescovo o, in sua assenza, dal sacerdote.

Non sempre nella veglia pasquale si amministra il battesimo, ma sempre si svolge la rinnovazione delle promesse battesimali di tutti i fedeli che stanno in piedi con la candela in mano.

La veglia si conclude con la messa pasquale cui seguirà al mattino quella della domenica della Resurrezione.


martedì 13 ottobre 2020

ROSH HASHANAH NON E' UNA FESTA BIBLICA

 "Questo mese sarà per voi il primo dei mesi: sarà per voi il primo dei mesi dell'anno" (Es. 12.2).

Questo testo si riferisce al primo mese del calendario ebraico, quello che in teoria dovrebbe essere Rosh HaShanah (= capodanno). Tuttavia, Dio pronunciò queste parole mentre stava preparando il suo giudizio sull'Egitto, sette mesi prima della data in cui oggi si celebra Rosh HaShanah. Per ben due volte nello stesso verso Dio ripeté il comando, per assicurarsi che non ci fossero equivoci sul momento in cui doveva iniziare il nuovo anno. Eppure oggi il popolo ebraico (e purtroppo molti gentili) festeggiano l'inizio del nuovo anno il primo giorno del settimo mese. Ma come si è arrivati a celebrate il nuovo anno il primo giorno del settimo mese? Il comandamento riguardante l'inizio del nuovo anno è stato forse successivamente cambiato da Dio?

Eppure Dio pensò che fosse abbastanza importante precisare a Mosè e ad Aaronne quale fosse l’inizio dell’anno mentre si preparava a mandare l’ultima piaga sull'Egitto, prima di liberare il suo popolo dalla schiavitù. Per essere sicuri di capire correttamente cosa è successo, esamineremo le Scritture per vedere se Dio ha apportato modifiche alla Torah in un secondo tempo rispetto al calendario biblico stabilito in Esodo.

I tempi stabiliti da Dio

"L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: Parla ai figli d'Israele e di' loro: Ecco le solennità dell'Eterno, che voi bandirete come sante convocazioni. Le mie solennità sono queste" (Lev. 23:1,2).

Il passaggio in Levitico 23 prosegue dicendo che "... Il settimo mese, il primo giorno del mese avrete un riposo solenne, una commemorazione fatta a suon di tromba, una santa convocazione" (Lev. 23:24). Il primo giorno del settimo mese è noto in ebraico come Yom Teruah ("giorno del grido/rumore"). È anche conosciuto come il giorno delle Trombe, o come Zikkaron Teruah ("ricordo del forte rumore") o come Yom Ha-Zikkaron ("giorno del ricordo"). La maggior parte della gente, tuttavia, conosce il primo giorno del settimo mese con il nome di Rosh HaShanah, che significa "capo dell'anno", cioè il nuovo anno: rosh significa "testa/capo", ha è l’articolo "il" e shanah significa "anno" - il capo dell'anno.


Per comprendere meglio, diamo uno sguardo al significato di alcune parole di Es. 12.2:

"Questo mese sarà per voi il primo dei mesi: sarà per voi il primo dei mesi dell'anno" (Es. 12.2).


primo; Ebraico: rosh - Testa o inizio, in questo caso in riferimento a un determinato periodo di tempo.

mese; Ebraico: chodesh - Designa la prima falce di luna crescente, la luna nuova, il primo giorno del mese.

primo; Ebraico: rishon – primo di un determinato periodo di tempo.

anno; Ebraico: shanah - Anno


Quindi, quel particolare mese (chodesh) è l'inizio (rosh) dei mesi, facendolo essere "il capo dell'anno", cioè il vero Rosh HaShanah. Non ci sono dubbi sul fatto che il biblico Rosh HaShanah - l'inizio dell'anno, cioè il capodanno - è il primo giorno del mese in cui cade la Pasqua e non il primo giorno del settimo mese. È importante notare, inoltre, che Dio non ha mai designato il primo giorno dell'anno come celebrazione. In effetti, il termine letterale Rosh HaShanah non compare mai nelle Scritture tranne che in Ezech. 40:1, "principio dell'anno", e non è usato per descrivere uno dei tempi stabiliti da Dio, ma semplicemente come il primo giorno del primo mese che fu in seguito chiamato Nisan. Non stava parlando del primo giorno del settimo mese, in seguito chiamato Tishri, la data dell'attuale Rosh Hashanah. Quindi, in che modo il popolo ebraico è arrivato a celebrare una festa non biblica (capodanno) il primo giorno del settimo mese? (Sebbene il primo giorno del settimo mese è uno dei tempi stabiliti da Dio, esso non è chiamato capo dell'anno).


Il significato di Yom Teruah

Fermiamoci un attimo a considerare Yom Teruah, il primo giorno del settimo mese. Questo giorno è una perplessità per molti, perché è l'unico giorno santo il cui vero scopo non è rivelato nella Torah, la quale afferma:

"Parla ai figli d'Israele, e di' loro: Il settimo mese, il primo giorno del mese avrete un riposo solenne, una commemorazione fatta a suon di tromba, una santa convocazione. Non farete alcuna opera servile, e offrirete all'Eterno dei sacrifici mediante il fuoco" (Lev. 23:24,25).


L'unica altra menzione della celebrazione è in Num. 29:1-6, in riferimento alle offerte da fare quel giorno. Questo tempo è solitamente associato al suono della tromba, ma la parola ebraica teruah significa fare un forte rumore, come un forte grido di allarme, di guerra o anche di gioia (mentre la parola yom significa giorno). La stessa parola viene usata in Gios. 6:5, dove viene generalmente tradotto come "grande grido". C'è anche il suono del corno di montone quando il popolo di Israele si radunò ai piedi del monte Sinai (Es. 19:13,16,19). Quindi, mentre la parola teruah può significare un rumore forte come quello di una tromba o di uno shofar, può anche significare un rumore forte prodotto da un grido per radunare il popolo. E sebbene la Torah non dia un chiaro significato al vero scopo del giorno, dice cosa si doveva fare in quel giorno.


Le radici di Rosh HaShanah

Ma questo ancora non risponde al perché il primo giorno del settimo mese divenne capodanno. Sappiamo, tuttavia, come è diventato capodanno. Sembra che i rabbini che vivevano nella diaspora dopo la cattività di Babilonia, furono quelli che cambiarono l'inizio dell'anno biblico con il giorno di Yom Teruah. Il termine Rosh HaShanah compare per la prima volta nella Mishnah, un codice di diritto ebraico redatto nel 200 dC; eppure diverse volte Dio ordinò che la Torah non venisse mai cambiata, in alcun modo:

"Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando, e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandamenti dell'Eterno Iddio vostro che io vi prescrivo" (Deut. 4:2)

"Metterete in pratica le mie prescrizioni e osserverete le mie leggi, per conformarvi ad esse. Io sono l'Eterno, l'Iddio vostro" (Lev. 18:4; vedi anche Deut. 28:14; Gios. 1:7).

È sempre nella diaspora che furono apportati altri cambiamenti al calendario biblico. Uno di questi fu l'identificazione dei mesi con i nomi presi dal calendario babilonese. I rabbini non hanno mai nascosto da dove provenissero i nomi dei mesi: "I nomi dei mesi sono venuti con loro da Babilonia" (Talmud Gerusalemme, Rosh Hashanah 1:2 56d). E sebbene i mesi del calendario ebraico hanno ora dei nomi, la Scrittura usa termini diversi: "il primo mese" (Gen. 8.13; Lev. 23:5); "il secondo mese" (1Cron. 27:4); "il quinto mese" (2Re 25:8); e "il settimo mese" (Num. 29:1). Nel calendario biblico anche i giorni non hanno nomi; per essi si usa: "primo giorno" (Gen. 1:5), "secondo giorno" (Gen. 1:8), "terzo giorno" (Gen. 1:13), ecc.

Moshe ben Nachman ("Nachmanide", detto il "Ramban"), un dotto rabbino del XIII secolo, spagnolo, scrisse un commento su Es. 12:2, spiegando perché sono stati presi i nomi dei mesi del calendario babilonese e sostituiti a quelli dati da Dio. Rabbi Nachman era d'accordo sul fatto che il verso dell’Esodo indicava il primo vero mese, e che tutti i mesi dovevano essere contati a partire da quello. Il suo ragionamento era che così facendo il popolo avrebbe ricordato quello che lui chiama "il Grande Miracolo", cioè la liberazione di Israele dall'Egitto. Ma poi afferma che i rabbini dissero che i nomi dei mesi sono venuti con loro da Babilonia, e così avrebbero ricordato che erano stati lì (in Babilonia) e che Dio li portò fuori da lì, e citò la profezia di Ger. 16:14,15:

"Perciò, ecco, i giorni vengono, dice l'Eterno, che non si dirà più: L'Eterno è vivente, egli che trasse i figli d'Israele fuori del paese d'Egitto, ma: L'Eterno è vivente, egli che ha tratto i figli d'Israele fuori del paese del settentrione e di tutti gli altri paesi nei quali egli li aveva cacciati; e io li ricondurrò nel loro paese, che avevo dato ai loro padri"


Lo strano ragionamento di Rabbi Nachman è che cambiando i nomi dei mesi - dati loro da Dio – con i nomi delle divinità pagane adorate nelle nazioni dove Dio aveva mandato il popolo che si era allontanato da Lui (Ger. 16:11), avrebbero onorato la liberazione da Babilonia, in maniera simile alla liberazione dall'Egitto. Ma anche se la liberazione di Israele dal "paese del settentrione e di tutti gli altri paesi nei quali egli li aveva cacciati" è sicuramente una grande azione, il ragionamento da fare è ben diverso dalla liberazione dall'Egitto. In Egitto, gli israeliti erano schiavi non per colpa loro. Ma essi erano a Babilonia perché avevano abbandonato Dio e sono andati dietro ad altri dèi (Ger. 16:10-13). E anche se Dio li ha liberati da Babilonia, non ha detto a Israele di fare qualcosa di speciale per ricordarlo. E perché mai avrebbe dovuto? Fu un periodo di vergogna per Israele.

L'atto di mandare Israele in esilio fu una punizione, con la promessa del loro ritorno. Dovevano tornare dopo settant'anni (Ger. 29:10-14), ma molti preferirono rimanere in esilio.

Diamo ora uno sguardo ad alcuni dei nomi dei mesi che "sono venuti con loro da Babilonia" e con cui hanno scelto di rinominare i mesi del calendario biblico:

Sivan: il dio della luna Sin.

Tammuz: la divinità pagana Tammuz, il coniuge della dea Ishtar. Ogni anno Tammuz moriva e poi veniva risuscitato da Ishtar. Dio chiamò il culto di Tammuz "grande abominazione"; le donne ebree in Israele adoravano questa divinità all'ingresso della porta nord del Tempio (Ezech. 8:13,14).

Elul: la dea babilonese di questo mese era Ishtar, chiamata anche Astarte che era una delle divinità pagane adorate dal re Salomone (1Re 11:5), motivo per cui il regno d’Israele fu diviso. Ishtar è anche conosciuta come la "regina del cielo" (Ger. 7:18; 44:18-19). Elia si schierò contro i profeti di Astarte "che mangiano alla mensa di Izebel" (1Re 18:19).

Tishri: il dio babilonese per questo mese era Shamash, il dio sole del pantheon babilonese e il dio della giustizia. Il nome Tishri deriva dalla parola accadica tishritu - "inizio". Inoltre, i babilonesi prendevano molto sul serio le loro celebrazioni per il capodanno. Chiamavano la festa Resh Shattim, l'equivalente accadico dell'ebraico Rosh Hashanah. Si celebrava due volte l'anno, all'inizio di Tishri e all'inizio di Nisan, e durava 12 giorni.

Cheshvan: il dio babilonese per questo mese era Marduk, associato all'acqua, alla vegetazione, al giudizio e alla magia. Era il dio prediletto del re Nabucodonosor, con il quale chiamò suo figlio: Evilmerodac ("Avel-Marduk", che in babilonese significa "uomo di Marduk") (2Re 25:27).

Kislev: il dio babilonese per questo mese era Nergal, menzionato in 2Re 17:30.


Conclusione

Ritorniamo alla nostra domanda originaria:

Dio cambiò la data del nuovo anno?

No, è chiaro che questi cambiamenti sono stati fatti dagli uomini e non da Dio.

In conclusione, Rosh Hashanah, una delle feste più importanti del giudaismo non è biblica, non esiste biblicamente un giorno festivo chiamato Rosh HaShanah, e di certo non è il primo giorno del settimo mese. Il primo giorno dell'anno biblico, dato a Israele da Dio, è nel primo mese, quattordici giorni prima della Pasqua (Pesach). Anche se tecnicamente quel giorno è "Capodanno", non è mai stato chiamato così da Dio. Rosh Hashanah non è dunque una festa biblica, anche se sostituisce quella biblica, ed è notevolmente diversa dalla festa che ha sostituito. Yom Teruah aveva uno scopo completamente diverso dall’attuale Rosh Hashanah.

Fu solo durante l'esilio babilonese che i giudei accettarono il concetto babilonese secondo cui l'anno inizia in autunno, e nel primo giorno del settimo mese inizia il nuovo anno.

Pur non essendoci nessuna necessità di collegare l'inizio dell'anno civile con la data della creazione, i giudei hanno iniziato a credere che il mondo sia stato creato il primo giorno di Tishri. La Bibbia non parla della data in cui il mondo è stato creato.

Yom Teruah è stato scelto come giorno speciale da annunciare al popolo al suon di tromba a motivo del numero sette. Sette era un numero importante, anche per i pagani. Gli ebrei consideravano particolarmente importante il sette perché ricordava il Dio creatore, i sei giorni creativi più il settimo di riposo. È il numero che imprime perfezione e completezza a tutto ciò che è in relazione con esso. Riguardo al tempo, esso ci parla del Sabato, e delimita la settimana di sette giorni, l’anno sabbatico, e l’anno del giubileo. Ci parla di un eterno e sicuro Sabato che rimane per il popolo di Dio in tutta la sua perpetua perfezione.

L'invenzione di Rosh Hashanah e di tutte le sue pratiche, compresa l'idea che questo era il giorno in cui gli ebrei dovevano pentirsi, venne solo in seguito.

Nessuna delle pratiche associate oggi con Rosh Hashanah è biblica. I dieci giorni da Rosh Hashanah a Yom Kippur, furono istituiti dai rabbini come i dieci giorni durante i quali gli ebrei dovrebbero ricordare ed esaminare le loro azioni passate. È ovvio che si dovrebbe pensare ai propri errori in ogni momento e rimediarli immediatamente, e non una volta l’anno. Tuttavia, molte culture, come quella degli ebrei, riconoscono che molti non riescono a farlo, e allora ricordano alla gente di verificare il proprio comportamento all'inizio di un nuovo anno. Ma questo è qualcosa di post-biblico.

Possiamo postulare che gli ebrei abbiano assorbito la loro venerazione per il capodanno dall'esempio babilonese, ma questo non è stato immediatamente evidente al loro ritorno - i rituali ebraici si sono sviluppati nel corso del tempo.

Non è chiaro quando Rosh Hashanah cominciò a essere celebrata. Tutto quello che possiamo dire con certezza è che i libri scritti durante il periodo intertestamentario, come per esempio il Libro dei Giubilei e il Libro dei Maccabei, o i Rotoli del Mar Morto, non menzionano mai "Rosh Hashanah". Nella letteratura di Qumran è sempre Nisan il nuovo anno.

Se ne sente parlare per la prima volta nella letteratura rabbinica della Mishnah e Tosefta, entrambe redatte nel III sec. dC, ed entrambe hanno un trattato chiamato Rosh Hashanah, che si occupa della festa e delle questioni relative al calendario. È in questi testi che si elabora l'importanza della festa e delle sue tradizioni, tra cui la regalità di Dio, che è mutuata dall'Akitu babilonese dove la regalità era un tema principale.

In altre parole, il "Capodanno ebraico" è il risultato delle esperienze degli ebrei immigrati nella società babilonese e della mescolanza di tradizioni ebraiche e babilonesi.


domenica 11 ottobre 2020

PRETI E RABBINI

 Un prete dice al suo amico rabbino:

- Ho scoperto un modo per mangiare gratis!
- Fantastico! Dimmi come hai fatto?
- Vado a un grande ristorante in centro, sul tardi verso le tre, ordino diversi piatti e dopo prendo altro tempo per il caffè
 aspettando la chiusura.

A quel punto arriva il cameriere che mi chiede di pagare e io puntualmente gli rispondo: ho pagato al tuo collega che è già andato via... Sai funziona perché ho scoperto che i due non si parlano ....
– Geniale - esclama il rabbino. - Voglio provarci domani con te!
L'indomani stessa scena mega abbuffata da parte del prete e del rabbino. Ormai prossimi alla chiusura arriva uno dei 2 camerieri e chiede se può farsi pagare.
Il prete gli risponde:
- Mi dispiace abbiamo già pagato a quel tuo collega che ha già finito di lavorare!
E il rabbino aggiunge:
- E stiamo ancora aspettando 23 euro di resto che non abbiamo ricevuto...... 3 ovviamente sono di mancia.