mercoledì 27 novembre 2019

DANIELE 2:43 – IL FERRO MESCOLATO CON L’ARGILLA


DANIELE 2:43 – IL FERRO MESCOLATO CON L’ARGILLA

«Il fatto d'aver visto il ferro mescolato all'argilla significa che le due parti si uniranno per via di matrimoni, ma non potranno diventare una cosa sola, come il ferro non si amalgama con l'argilla»

Il profeta Daniele scrive dei nostri tempi. Il ferro mescolato con l’argilla è il mescolamento dei popoli, ovvero la sostituzione etnica.  Ma sappiamo come questo fenomeno funziona nella pratica, cioè come praticamente viene portato avanti? Propongo di fare un gioco, allo scopo di realizzare punto per punto tutte le possibili opzioni per portare a termine la sostituzione etnica dei popoli.

Immaginiamo quindi di essere sul libro paga di George Soros , e che Geroge Soros  ci dica di dover portare a termine la sostituzione etnica di uno Stato, di una nazione, di un popolo. Cosa noi dovremmo fare per mettere in pratica questo progetto?

Vediamo di analizzare punto per punto quello che è possibile fare. Specifico che questi punti non sono in ordine di importanza o in ordine cronologico, perché queste opzioni possono presentarsi tutte insieme oppure una alla volta. Ricordo poi che la sostituzione etnica dei popoli non è un fatto solo ed esclusivamente fisico, biologico, ma è anche un fatto mentale, psicologico propagandistico.

Iniziamo allora con il nostro progetto. Noi siamo pagati, assoldati, per portare a termine questa missione, vediamo cosa possiamo fare. La prima cosa è che noi abbiamo un popolo da sostituire. Noi dobbiamo partire da questo presupposto. Ora, come facciamo a sostituire questo popolo, come possiamo iniziare? La prima cosa è cercare di immettere nel territorio dove questo popolo locale risiede da millenni, una popolazione straniera.

E qui dobbiamo spiegare ancora meglio questa opzione, perché tanto più la popolazione straniera sarà diversa da quella locale, quanto più successo potremo avere per raggiungere il nostro scopo. Quando dico diversa, non intendo soltanto etnicamente ma anche, per esempio, dal punto di vista religioso, perché è chiaro che più la popolazione è diversa e più avrà facilità di sostituire quella già presente.

Oltre a questo, la quantità! Più la quantità è elevata, più il processo di sostituzione andrà veloce e si realizzerà in tempi più brevi. Qui si pone già una domanda: Si può assimilare il popolo straniero che sta cercando di stabilirsi all’interno di questo territorio abitato dalla popolazione nativa? L’assimilazione al 100% è impossibile, perché è come dire che possiamo  amalgamare il ferro con l’argilla. Ma quello che possiamo ipotizzare, è che se l’ingresso di stranieri in un determinato territorio si mantiene entro una certa soglia, una percentuale irrilevante, questa entrata di gruppi stranieri non rappresenterebbe un pericolo. 

Questa cosa, però, per noi non va bene, perché la nostra missione è di sostituire etnicamente la popolazione locale. Quindi non potrà mai essere irrilevante la quantità di stranieri. Dovrà invece essere molto rilevante.

Un’altra opzione che possiamo mettere in pratica, è quella che riguarda l’aspetto educativo e propagandistico. Questo è un aspetto molto importante, anzi fondamentale, perché voi capite che se noi dobbiamo sostituire etnicamente la popolazione di un determinato territorio, se lo facessimo senza giustificare questo processo, potremmo trovare delle resistenze nella popolazione locale.

Allora che cosa è importante fare? È importante creare una narrazione. Perché? Perché da un lato bisogna giustificare questo processo, e dall’altro cercare di far digerire alla popolazione locale questo piano che noi stiamo mettendo in pratica. Ecco perché ci serviremo dei media, della stampa, di internet, del cinema, della TV, per convogliare alcune idee.

Però, qui voglio soffermarmi un attimo. Stiamo molto attenti. Quali idee dobbiamo propagandare? Certamente non possiamo andare dalla popolazione locale e dire che noi vi vogliamo sostituire. Certamente no! Noi dobbiamo puntare sull’idea falsa chiamata multiculturalismo. Dobbiamo propagandare all’interno della società il multiculturalismo, cioè l’idea – ovviamente a cui noi non crediamo – ma dobbiamo far credere al popolo che sia possibile vivere in armonia tutti i popoli insieme mischiati appassionatamente.

Questa è una cosa che deve essere inserita nella narrazione quotidiana dei popoli attraverso, come ho detto, TV, cinema, internet, dibattiti culturali, ecc. ecc., facendo leva anche sul senso di colpa. Se noi possiamo utilizzare il senso di colpa di alcuni popoli, per ragioni storiche, per ragioni etniche, per qualsiasi ragione, dobbiamo utilizzare questo senso di colpa perché ci faciliterà il compito di propagandare determinate idee, in questo caso il multiculturalismo.

Quindi, quello che è importante è che si faccia passare l’idea che la multiculturalità è bella, è necessaria, ed è qualcosa di assolutamente normale. Ecco, dobbiamo far capire alla popolazione che non avere queste caratteristiche significa avere qualcosa in meno, significa essere imperfetti, significa dover pagare una colpa che ovviamente quel popolo non ha commesso, ma noi dovremo convincere quel popolo del fatto che invece ha commesso quella colpa.

Un altro aspetto fondamentale è che dobbiamo puntare ad abbassare i livelli di energia all’interno della società e del gruppo umano locale, cioè dobbiamo depotenziare di tutte quelle energie creative possibili sia gli uomini che alle donne locali. In che modo dobbiamo fare questo? Cercando di deviare da un lato l’aspetto istintivo di questi popoli, cioè l’istinto non deve più essere utilizzato per ribellarsi ma dovrà essere utilizzato e indirizzato verso piaceri carnali, verso appagamenti di desideri consumistici.

Questo da un lato. Dall’altro lato dovremo abbattere completamente l’aspetto razionale degli individui. Noi dobbiamo abbassare la razionalità, dobbiamo eliminarla, e questo possiamo farlo attraverso un’operazione di educazione e distrazione di massa. L’individuo non dovrà più pensare razionalmente e criticamente, e nemmeno dovrà utilizzare le proprie energie in maniera rivoluzionaria, ma dovrà utilizzarle semplicemente per appagare i bisogni primari di tipo consumistico.

Per capire questo concetto, basta fare un piccolo paragone tra quello che erano le donne e gli uomini in Italia per esempio 100 anni fa, oppure quello che erano i nostri nonni, persone che hanno vissuto la prima e la seconda guerra mondiale. Facciamo un paragone tra quello che erano queste persone e quello che sono le persone oggi – naturalmente con le dovute e possibili eccezioni. Vediamo una curva decadente impressionante, dove l’individuo è sempre meno dotato di razionalità critica e riesce sempre meno a convogliare le proprie energie verso un senso di appartenenza a una socialità, quella socialità che ci faceva essere, come diceva Aristotele, animali sociali.

Oggi quello che l’uomo utilizza è un appagamento di desideri istintivi, che sono soprattutto virtuali, e questo fa parte del nostro piano. Dobbiamo ancora di più abbassare la consapevolezza critica degli uomini e delle donne di quella comunità che noi intendiamo sostituire, in modo tale che quella comunità non sia più in grado di reagire.

In particolare ci soffermeremo sull’uomo, perché l’uomo deve essere femminilizzato. Quando dico femminilizzato non intendo offendere le donne, intendo dire che all’uomo deve essere permesso di esprimere soltanto atteggiamenti femminili, che però non gli sono propri. Mentre per una donna questi atteggiamenti sono assolutamente normali, anzi devono essere in qualche modo anche rivendicati, per l’uomo non sono però assolutamente adatti. Noi però dobbiamo puntare a femminilizzare l’uomo, perché se femminilizziamo l’uomo, automaticamente non sarà più in grado di reagire a una eventuale invasione e sostituzione etnica.

Infine, abbiamo un ultimo obiettivo, che è quello essenziale del rimpiazzo anche dal punto di vista biologico. Dovremo fare di tutto affinché l’accoppiamento misto diventi la normalità. Qui voglio fare una digressione. Dobbiamo stare attenti a utilizzare i verbi. Un conto è dire che si accetta, un’altra cosa è dire: si promuove.


Io non metto in dubbio che ci possano essere delle persone che provano dei sentimenti per persone di un gruppo etnico diverso, questo può accadere. Ma un conto è accettarlo, altro conto è propagandarlo. Noi invece, siccome siamo stati pagati per questo, dovremo fare di tutto per propagandare la mescolanza. Non accettarla, ma propagandarla! In modo tale che nella comunità che noi vogliamo sostituire entri l’idea che la mescolanza sia qualcosa di fondamentale; e ci serviremo anche qui dei mezzi di comunicazione. Per esempio la pubblicità, per esempio faremo una cosa che prende sempre più piede oggi, cominceremo a parlare di famiglie multietniche, cioè famiglie in cui è normale che alcuni membri siamo appartenenti al gruppo etnico che noi vogliamo sostituire al posto di quello locale.

Per cui l’importanza della mescolanza, la mescolanza come obiettivo primario, sempre fatta passare come qualcosa di normale, di assolutamente naturale, contro cui non ci si può ribellare. Attraverso questi punti noi potremo arrivare in un tempo, a medio-lungo termine, alla completa sostituzione etnica di una comunità locale stanziata in un luogo da millenni, con un’altra. Dovremmo fare in modo di essere costanti, cioè di far passare questo processo come qualcosa di assolutamente naturale, qualcosa che venga interiorizzato, e per fare questo ci serviremo non solo dei mezzi di comunicazione ma anche dell’educazione.

Fondamentale è educare le nuove generazioni ad accettare questo. Ci serviremo anche delle Accademie, delle Università, dove propaganderemo il fatto che quella comunità specifica un tempo derivava un tempo da quella che noi vogliamo portare a sostituzione (l’uomo avrebbe origine da un umanoide africano, secondo l’evoluzione darwiniana).

Questo, in sostanza, è quello per cui noi siamo pagati di fare e che naturalmente porteremo avanti grazie al nostro piano specifico.

Perché solo su una umanità senza storia e senza tradizioni, solo su una poltiglia informe di uomini e popoli senza radici spirituali il potere mondialista giu... (finisce con ...aico) può esercitare impunemente la sua sovranità assoluta. Ciò spiega la ragione per cui ogni voce dissonante viene repressa.
Chi ha imposto ai governi le leggi repressive contro la libertà di ricerca storica, in barba ai tanto decantati diritti dell’uomo?

giovedì 21 novembre 2019

L'ARROGANZA DELL'ANTICRISTO IN UN FRAMMENTO DI QUMRAN


L’arroganza dell’Anticristo in un frammento di Qumran

In una conferenza all'Università di Harvard nel dicembre del 1972, Jozef Tadeusz Milik – sacerdote e studioso cattolico - parlò di un frammento aramaico di Qumran. In seguito, Joseph A. Fitzmyer pubblicò parte di questo testo frammentario riassumendo il suo contenuto.

Il frammento è dalla Grotta IV e il manoscritto risale all'ultimo terzo del I secolo dC ed è stato identificato come Pseudo-Danielico (4QpsDanAa o Dand209) - anche se Daniele non viene espressamente nominato in esso. Questa identificazione sarebbe corretta se l'uomo che si abbassa davanti al trono, e si rivolge al re seduto sul trono, fosse Daniele. Questo è probabile, ma non è certo, anche se è chiaro dal riassunto in inglese che la descrizione del regno del "popolo di Dio" alla fine del frammento viene da Daniele 7.

Come impostazione del brano in questo frammento, supponiamo che il re aveva fatto un sogno o avuto una visione. Questo sogno è interpretato al re dal suo veggente, probabilmente Daniele il quale gli dice che il mondo sarà visitato dal male nel futuro. In questo contesto, sono nominati un "re di Assiria" e uno di "Egitto". Qui inizia la parte pubblicata del frammento:



"... Egli sarà grande sulla terra ... [tutti] lo adoreranno e serviranno [a lui] ... grande ... egli sarà chiamato e per il suo nome egli sarà designato. Egli sarà nominato figlio di Dio ed essi lo chiameranno figlio dell'Altissimo. Come la stella cadente di una visione, così sarà il loro regno. Essi regneranno per alcuni anni sulla terra e calpesteranno ogni cosa. Una nazione calpesterà un'altra nazione e una provincia un'altra provincia - fino a che sorgerà il popolo di Dio e tutto desisterà dalla spada. Il regno del popolo di Dio sarà eterno; i suoi sentieri saranno verità e tutti avranno la pace; non ci saranno più guerre e tutte le città si sottometteranno al popolo di Dio. Poiché il Grande Dio è con loro ed Egli sottometterà tutti i nemici al popolo di Dio".

Questo è il contenuto del frammento che è stato solo parzialmente pubblicato fino ad ora. Il testo è un interessante contributo alla conoscenza della letteratura apocalittica giudaica. Qui è descritto il regno malvagio dell'ultimo impero dei nemici di Dio. Essi "calpesteranno ogni cosa. Una nazione calpesterà un'altra nazione e una provincia un'altra provincia". Questo è un luogo comune nell’apocalittica. Nel terzo Sibilla (635-6) si legge che "un re cattura un re e prende la sua terra, e le nazioni devastano le nazioni, e i governanti (devastano) i popoli". Anche Gesù, parlando delle ultime tribolazioni, dice: "si leverà nazione contro nazione e regno contro regno" (Mat. 24:7; Mar. 13:8; Luca 21:10). La stessa idea viene poi espressa in 4Esdra 13:31: "Ed essi trameranno per attaccarsi gli uni contro gli altri, città contro città, luogo contro luogo, popolo contro popolo e regno contro regno". Ma questo regno malvagio sarà di breve durata e durerà "fino a che il popolo di Dio sorgerà e tutto desisterà dalla spada".

Per l'interpretazione del frammento, è importante notare che con le parole "fino a che il popolo di Dio sorgerà" inizia una nuova riga. Queste parole non sono scritte immediatamente all'inizio della riga. Ciò è una indicazione che un nuovo elemento è stato introdotto: l'autore aveva parlato in precedenza riguardo i mali escatologici, ora descrive la felicità sotto il dominio del popolo di Dio. Ma anche senza questo indicatore esterno, risulta chiaramente dal contesto che prima di fare riferimento alla comparsa del popolo di Dio, l'autore parla della distretta che sta per venire sulla terra, di guerre e battaglie future, e sul caos di un regno malvagio. Così l'uomo, descritto nel frammento, può essere solo il re o il capo di questo orribile regno. "Tutti lo adoreranno e serviranno a lui" e "egli sarà grande sulla terra". Questa è la stessa immagine che troviamo in Apoc. 13:8 (cfr. 13:12) – dove si parla della prima bestia: "E tutti gli abitanti della terra … lo adoreranno".

Ma impariamo di più su questo re o condottiero apocalittico: "essi lo chiameranno figlio dell'Altissimo". Questa sarà evidentemente la sua proclamazione e chiederà ad altri di acclamarlo con questo titolo. Dal testo aramaico, non è chiaro se egli sarà chiamato, designato e nominato figlio di Dio da altri o da se stesso, ma la differenza tra le due interpretazioni è minima: se altri "lo chiameranno figlio dell'Altissimo" lo faranno al suo volere. Non va dimenticato che il nostro testo non indica da nessuna parte che la persona menzionata sarà figlio dell'Altissimo. Afferma solo che altri "lo chiameranno figlio dell'Altissimo", o, eventualmente, che egli si chiamerà così. In ogni caso, il nostro frammento è una prova importante circa l'arroganza sovrumana dell'Anticristo.

La scoperta non è sorprendente in sé. Una tradizione simile ricorre in 2Tess. 2:1-12. È qui che noi leggiamo riguardo "l'uomo del peccato, il figlio della perdizione, l'avversario, colui che s'innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo ch'egli è Dio" (2Tess. 2:3,4). Secondo questa lettera di Paolo (2:7) "l'uomo del peccato" sarà manifestato a suo tempo, perché "il mistero dell'empietà è già all’opera". Il termine "mistero dell'empietà" ricorre due volte in un frammento del "Libro dei Misteri" di Qumran, in una connotazione dualistica: quando la malvagità sarà bandita e la giustizia manifestata, allora "tutti i seguaci dei misteri di empietà non esisteranno più". È stato notato che i "misteri di empietà" sono in parallelo al "mistero dell'empietà" di 2Tess. 2:7. L'idea dell’Anticristo è sicuramente pre-cristiana. L'Anticristo è un esponente umano delle forze sataniche della malvagità. Quindi possiamo supporre che la cornice dualistica della setta del Mar Morto ha favorito lo sviluppo di questi temi. Ma anche se il "mistero dell'empietà" nel passaggio sull'Anticristo in 2Tess. ha una controparte negli scritti della setta del Mar Morto, non possiamo affermare che la pretesa dell'Anticristo di essere Dio o il figlio di Dio, come troviamo sia in 2Tess. che nel frammento Qumran, abbia avuto origine all'interno della setta Mar Morto. Inoltre, non è possibile sapere se l'apocalisse, di cui solo un frammento è stato conservato a Qumran, è stato concepito da un membro della setta.

Un interessante parallelo al frammento di Qumran è la descrizione dell’Anticristo nell’Ascensione di Isaia (4:2-16). Si basa su diversi temi: l'Anticristo è Belial incarnato e, nello stesso tempo, egli è matricida, cioè, Nerone. Egli perseguita la piantagione seminata dai dodici apostoli dell’Amato, e uno dei dodici sarà consegnato nelle sue mani - un accenno al martirio di Pietro sotto Nerone. Egli sarà un operatore di miracoli. "Egli agirà e parlerà nella stessa maniera dell’amato [Cristo] e dirà: Io sono il Signore e nessuno viene prima di me! E tutti gli uomini di questo mondo lo crederanno, ed essi sacrificheranno a lui e lo serviranno, dicendo: Egli è il Signore e oltre a lui non c'è nessun altro" (4:6-8). Questi sono gli stessi temi del frammento di Qumran.

Leggiamo nell’Ascensione di Isaia che l'Anticristo agirà e parlerà nella stessa maniera di Cristo. Questo contrastante parallelismo tra l'Anticristo e Cristo è comune negli scritti cristiani - anche il termine Anticristo è stato coniato per esprimere l'affinità e il contrasto con Cristo. Questo contrasto è visibile anche nel passaggio di 2Tess. (dove non compare il nome Anticristo), secondo cui l'uomo del peccato sarà infine distrutto da Gesù. Questa opposizione esiste anche in una apocalisse ebraica, gli Oracoli di Istaspe scritti prima della distruzione del Secondo Tempio. È qui che l'avversario dell'Anticristo è il grande profeta, che sarà da lui ucciso, e alla fine l'Anticristo stesso sarà travolto e ucciso dal Grande Re, il Messia. L'Anticristo è un essere umano esponente delle potenze diaboliche della malvagità degli ultimi tempi.

Il contenuto della prima parte del testo apocalittico di Qumran, è una descrizione dei mali escatologici e della breve durata di un regno malvagio; in questa parte, abbiamo la figura di un uomo che tutti serviranno, e che sarà accolto come figlio di Dio. Poiché sappiamo da altrove che tali raffigurazioni di sovrani malvagi sono seguite da descrizioni del regno malvagio degli ultimi giorni, non possiamo evitare di giungere alla conclusione che questa persona è l'Anticristo. Quando il passaggio sul male escatologico e sulle guerre finisce, c’è un nuovo inizio, che è segnato anche graficamente: in una nuova riga che dà inizio a un nuovo aspetto con le parole "fino a che il popolo di Dio sorgerà", che sarà il periodo della pace e delle benedizione. Ciò che è preservato nel nostro frammento di Qumran - dall'inizio della riga 4 della Col. II - è una descrizione poetica di pace eterna e di sottomissione di tutta l'umanità al popolo di Dio, una descrizione che - per quanto possiamo accertare - dipende in parte da Daniele 7, l'interpretazione della visione del Figlio dell'uomo. Il "popolo di Dio" nel nostro frammento corrisponde al "popolo dei santi dell'Altissimo" di Dan. 7:27 - "Il suo regno è un regno eterno, e tutti i domini lo serviranno e gli ubbidiranno".

In 2Tess. 2:3,4 leggiamo che "l'uomo del peccato, il figlio della perdizione, l'avversario, colui che s'innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto…e dicendo ch'egli è Dio". Nel nostro frammento leggiamo di una persona "che tutti adoreranno e serviranno ... Egli sarà chiamato figlio di Dio ed essi lo chiamano figlio dell'Altissimo". L'aramaico può anche indicare che egli si chiamerà figlio di Dio. Non fa molta differenza se l'Anticristo, pretenderà di essere Dio o di essere il figlio di Dio. Leggiamo in Didache 16:4: "e allora l’ingannatore del mondo si mostrerà come figlio di Dio e farà segni e prodigi, e cadrà la terra nelle sue mani; ed egli opererà l’iniquità quale mai non fu dal principio del mondo". La menzione di un figlio di Dio come ingannatore del mondo indica un contrasto con Gesù, il Figlio di Dio.

C'è un altro testo, si tratta di una apocalisse ebraica, vale a dire gli Oracoli di Istaspe, che si è conservata in una forma abbreviata nelle Istituzioni Divine di Lattanzio (apologeta cristiano del III secolo) e fa riferimento a due Anticristi. Riguardo il secondo si dice che "un altro re sorgerà dalla Siria, nascerà da uno spirito maligno, il distruttore della razza umana ... il re che non solo sarà il più obbrobrioso, ma sarà anche un profeta di menzogne, e chiamerà se stesso Dio e ordinerà di essere adorato come Figlio di Dio" (Lact. Divin. Inst. VII 17:24). È anche possibile che un parallelismo simile tra Dio e figlio di Dio esista nel testo di Qumran. L'inizio della riga 9 della prima colonna è andata persa. Noi leggiamo soltanto:

"... [g]rande ... sarà chiamato, e per il suo nome sarà designato". Le parole "per il suo nome" sono enigmatiche, se si assume che la persona sarà designata dal suo proprio nome, ma se noi stabiliamo che la persona sarà designata con il nome di Dio, allora è effettivamente definito. Fitzmyer suggerisce che il testo originale era: "Egli sarà chiamato il figlio del Grande Dio" ecc. Questo è ragionevole, ma allora il seguente "figlio di Dio" sarebbe una ripetizione. È quindi possibile azzardare che una volta il testo di Qumran era come segue:

"Grande [Dio] sarà chiamato e per il suo nome sarà designato. Egli sarà chiamato figlio di Dio ed essi lo chiameranno figlio dell'Altissimo".

Questo non solo rende meglio il senso, ma il parallelismo si adatta anche alla natura poetica di tutto il testo. Se questa ipotesi è corretta, allora esiste anche una grande affinità tra il frammento di Qumran e gli oracoli di Istaspe. Come abbiamo detto in precedenza, lì è scritto che l'Anticristo "costituirà e chiamerà se stesso Dio e ordinerà di essere adorato come il figlio di Dio". Anche in questa parafrasi latina del testo greco originale degli Oracoli, la somiglianza con il nostro frammento è evidente. In entrambi i casi esiste un parallelismo simile.

Per riassumere, abbiamo analizzato un frammento di Qumran pubblicato parzialmente. In esso, un veggente, probabilmente Daniele, interpreta per il re un sogno o una visione che si riferisce agli ultimi giorni. Sarà un tempo di guerre e distrette. Infine un regno malvagio dominerà il mondo "fino a che sorgerà il popolo di Dio e tutto desisterà dalla spada". Nella descrizione dei mali politici della fine dei tempi, si fa menzione anche di un re malvagio, evidentemente il sovrano del regno malvagio. Tutti lo serviranno ed egli pretenderà di essere il figlio dell'Altissimo. Questa figura non è affatto inusuale. Quello che si legge nel frammento Qumran è l'arroganza dell'Anticristo, come anche risulta in 2Tess. Il testo del nostro frammento assomiglia agli oracoli di Istaspe, un'apocalisse ebraica. È stata composta prima della distruzione del Secondo Tempio.


mercoledì 20 novembre 2019

PROTESTANTESIMO ED ERESIA - Parte 1


Protestantesimo ed eresia - Parte 1

Questo non è uno studio fatto per antipatia verso il protestantesimo, o per rancori verso gli evangelici. Non è così. Lo faccio per difendere la vera fede, senza aspirazioni belliche. In tarda età ho scoperto che non conoscevo affatto quella Chiesa Cattolica che criticavo, ed è questa ignoranza che porta molti cattolici a lasciarsi convincere o influenzare dai protestanti.

Questi sono divisi in una miriade di denominazioni, alcune delle quali non gradiscono essere chiamate "protestanti", ma vorrebbero essere indicate solamente come "cristiane", come se ogni gruppo, ad esempio i pentecostali che si dividono a loro volta in tanti rami e rametti, fossero davvero i soli veri cristiani.

Sappiamo anche che per tutti gli evangelici, i cattolici non sono cristiani, ma idolatri e pagani; ne consegue che gli evangelici nel loro voler essere chiamati solamente "cristiani" aspirano all’implicito riconoscimento di "veri cristiani".
 
Il vero problema è che solo in pochi o pochissimi evangelici conosco la storia della Chiesa, moltissimi accusano solo per sentito dire, ma non hanno mai aperto nessun libro riguardante la storia della Chiesa cristiana nei secoli. È sufficiente quello che dice il pastore, qualche film, e internet per formare la loro "cultura" anti-cattolica.

Moltissimi evangelici piuttosto che vergognarsi per la propria ignoranza sul cristianesimo, ne vanno fieri, dicendo la classica frase "A me interessa solo la Bibbia", frase che è già tutto un programma. L’ignoranza storico-biblica delle persone è fondamentale per poterle pilotare.

Un evangelico serio che si mettesse a studiare la storia del cristianesimo, smetterebbe di essere evangelico.

In tutto il protestantesimo vige una fede fai da te! Lo Spirito Santo ci guida a capire bene la Bibbia, è vero, ma nel mondo protestante si usa questo pretesto per coprire superbia e orgoglio misto a una presunzione senza freni e arrogante, che porta ogni pastore a diventare una sorta di "papa" infallibile nel dare insegnamenti alle persone.

Orgoglio, presunzione e arroganza, non si vedono subito, nessuno mostra questi difetti tanto facilmente. Sembrano tutti timorati di Dio, osservanti della Parola e pieni d’amore per il prossimo. Peccato che il loro prossimo nella maggior parte dei casi è chi non contrasta i loro insegnamenti biblici; viene amato o rispettato solo chi ascolta passivamente, e non contrasta quanto da loro insegnato. Chi si permette di dissentire dai loro insegnamenti, allora non viene più amato, spesso non viene più salutato, e alcune volte diffamato e odiato. Con qualcuno di loro ci può essere un rapporto cordiale, ci si può salutare, ma in ogni caso gli evangelici non chiamano mai "fratello" un cattolico.

Per loro il Papa – seguendo l’insegnamento di Lutero - rappresenta l’anticristo quindi va odiato e accusato, e così tutti i vescovi e preti cattolici. In questo clima rientrano anche i singoli cattolici osservanti. Criticano l’infallibilità papale, ma di fatto, si comportano come infallibili, ognuno nella propria comunità! Il problema è che la Chiesa cattolica ha sempre avuto una sola dottrina, che discende dagli apostoli e quindi da Gesù, i pastori protestanti invece sono liberi di inventarsi quello che vogliono, tirando la giacca allo Spirito Santo, a garanzia delle loro eresie!

Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: «Se non vi fate circoncidere secondo l'uso di Mosè, non potete esser salvi». Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione (Atti 15:1,2).

Quanto sono diverse invece le comunità protestanti, che in caso di controversie sulla fede non si rivolgono ai vescovi, o al papa, non li hanno (tranne qualche raro caso come i luterani) ma hanno solo il pastore, che se qualche fedele insiste troppo rischia di essere espulso alla comunità, e questo dopo qualche mese magari fonda una nuova comunità che rispecchia le sue idee sul cristianesimo.

Non ci sono subbi sul fatto che Paolo e Barnaba avessero anche loro lo Spirito Santo, eppure nei casi di controversia non dissero con superbia "noi abbiamo lo Spirito Santo, quindi siamo sicuri di capire correttamente gli insegnamenti di Dio", molto umilmente sono andati dagli apostoli di Gerusalemme per discutere la questione della circoncisione, molti credevano, infatti, che solo i circoncisi potessero diventare cristiani.

L’umiltà è la base del cristianesimo, e tutti i primi cristiani avevano ben chiaro cosa fare in caso di controversia, cioè andare dal collegio degli anziani/vescovi per discutere le questioni di fede. Ma, mancando la successione apostolica, ogni evangelico è libero di fare quello che vuole all’interno della propria comunità. Se ha idee diverse, esce e forma una chiesa nuova.

Successe così a Simon Mago che si mise a dire che gli apostoli non erano i veri cristiani, ma lo era lui, e lungo tutti i secoli non sono mai mancati gli eretici che si arrogavano l’esclusiva di essere veri cristiani.

L’umiltà di rivolgersi alla vera autorità ecclesiastica fu distrutta dalla superbia di Lutero, e nel mondo protestante vige sempre la regola della superbia, dell’orgoglio e della presunzione. Ognuno chiama in causa lo Spirito Santo, sentendosi infallibile nel capire correttamente la Bibbia. Il risultato? Una miriade di denominazioni con dottrine che spesso si contrastano pesantemente tra loro, eppure ognuno di essi si sente il vero cristiano.

Quanto sono lontani dall’umiltà che ebbero Paolo e Barnaba, che si rivolsero agli apostoli di Gerusalemme, piuttosto che dire orgogliosamente "Lo Spirito Santo ci suggerisce che siamo nel giusto"!

Il problema sta quindi nella grande ignoranza mista a presunzione, che moltissimi evangelici hanno. I cattolici sono meno ignoranti? No, la maggior parte dei cattolici, purtroppo è assai ignorante in materia biblica, ma almeno non si mette a fare il maestro verso chiunque gli capiti a tiro. Il cattolico medio è cosciente della propria ignoranza, l’evangelico medio invece è assai presuntuoso in campo biblico.

Un protestante che amasse veramente la verità, come dice, sentendo un cattolico citare i padri della Chiesa, come Giustino martire, Clemente Alessandrino, Ireneo, e altri, tanto per menzionare solo quelli che vissero prima dell’imperatore Costantino, andrebbe a verificare di persona cosa scrivevano e come vivevano i primi cristiani, nostri antenati nella fede, per capire se e come la Chiesa cattolica sbaglia, oppure dove sbagliano gli evangelici a interpretare la Bibbia.

L’evangelico medio scarta a priori gli scritti dei Padri della chiesa, fregandosene altamente di come interpretavano la Bibbia i primi cristiani, e fidandosi solo del proprio pastore, ritenuto uno specialista biblico, dal quale riceve spiegazioni sul significato di ogni versetto della Bibbia.

Per logica, piuttosto che fidarsi di un pastore che spiega la Bibbia a 2000 anni di distanza, sarebbe meglio fidarsi dei primi padri, che appresero direttamente dalla voce degli apostoli l’insegnamento cristiano. Ma, molti evangelici non fanno uso della logica, ma solo di ideologie anti-cattoliche, a priori e a prescindere dalla verità!

Tirando per la "giacca" lo Spirito Santo ogni evangelico gli fa dire quello che più gli piace, tanto c’è il dono delle lingue – soprattutto per i pentecostali - che attesta la presenza dello Spirito Santo.

Non si capisce quale "spirito" suggerisca a un pastore che si possono celebrare i matrimoni gay, vedi Valdesi, Luterani, Anglicani, e anche alcuni rami dei pentecostali; e ad altri pastori invece lo stesso spirito suggerisce di non celebrare matrimoni omosessuali.

Non si capisce nemmeno quale spirito suggerisca ad un pastore che la Trinità non esiste, mentre ad altri dice il contrario; e, per ora mi fermo qui, perché l’elenco delle diversità dottrinali tra le varie comunità evangeliche è assai lungo e pesante, basti pensare che ci sono anche quelli che bevono veleno o si fanno mordere da serpenti velenosi per dimostrare la potenza della Spirito Santo, c’è pure chi va dietro agli insegnamenti di Branham, che si crede la reincarnazione del profeta Elia. Eppure tutti costoro dicono, garantiscono, assicurano di essere loro i veri cristiani.

Io credo che lo Spirito Santo è uno, quindi la Verità deve essere una, quindi nessuno di costoro si dovrebbe dire "vero cristiano", ma l’orgoglio e la presunzione (che non vengono da Dio) gli fanno dire di tutto e di più, tra cui le tante accuse che muovono contro la Chiesa cattolica.

Gli evangelici sono semplicemente dei manipolati, che ripetono quello che sentono dire dai loro insegnanti. Se qualcuno comincia a chiedersi il perché di certi insegnamenti, e vuole vederci chiaro, allora dopo un po’ dovrà smettere di essere evangelico, ma molti rimangono tali per un’antipatia viscerale verso tutto ciò che è cattolico, non perché abbiano argomenti validi e seri, da contrapporre alle dottrine cattoliche!

O meglio, con la bocca tentano di portare argomenti "validi", ma senza alcuna credibilità, proprio perché scartano a priori le prove di come vivevano i primissimi cristiani, vissuti dopo gli apostoli ma prima di Costantino, che guarda caso rispecchia l’odierna dottrina cattolica romana.

La fede cristiana è una, perché lo Spirito di Dio è uno! Quindi molti sbagliano strada, e abbiamo il dovere di capire chi è in quella giusta e chi è proprio fuori strada. L’unità è la coesione degli elementi, delle parti che compongono un ente (per esempio, la coesione tra le parti di un’automobile come la carrozzeria, le ruote, il motore, ecc.) come già diceva Plotino, se viene meno l’unità viene meno anche quell’ente e ne possono risultare altri, ma non più quello di prima (se viene meno la coesione della carrozzeria, ruote e motore, non c’è più l’ente auto, bensì gli enti carrozzeria, ruote motore). Ecco, il protestantesimo somiglia tanto a mucchio di lamiere che una volta era una macchina.

Si critica tanto la Chiesa cattolica, ma quanti sanno, per esempio, che Bultman, famoso teologo ed esegeta protestante luterano, ha ridotto la resurrezione a un simbolo teologico? Non riteneva infatti possibile che fisicamente Gesù fosse risorto.

Per confrontare le diverse interpretazioni bibliche proposte dai vari gruppi evangelici, bisogna avere il più possibile la mente sgombra da ideologie e preconcetti. Bisogna essere aperti a qualsiasi ipotesi se correttamente motivata e dimostrata. Se ci basiamo su pregiudizi ideologici che ci legano alle nostre convinzioni dottrinali, possiamo fare a meno di leggere o ascoltare qualsiasi testo o persona, tanto è inutile, il nostro orgoglio ci impedirà di apprendere verità diverse dalla "nostra". Spesso difendiamo il nostro errore biblico con un guscio impenetrabile, ci teniamo la nostra verità, rifiutando qualsiasi altra, che sbatte sul guscio e scivola via, senza nemmeno averla ascoltata veramente.

Appena si tocca il piano religioso/spirituale, stranamente è come se molti staccassero l’interruttore al proprio cervello, o almeno a una parte di esso. In pratica è come se fossero programmati a ricevere informazioni solo da gente della loro stessa denominazione religiosa, se dialogano con un cattolico, ad esempio, non ricevono alcuna informazione, solo suoni che scivolano sui loro timpani, ma non arrivano al cervello. Non ascoltano. Se l’interlocutore cattolico è biblicamente ignorante, allora lo ascoltano, per meglio indottrinarlo con le loro teorie bibliche, molte delle quali completamente sbagliate.

La storia del cristianesimo per loro non conta nulla, non riveste alcuna importanza, se non nelle vicende da rinfacciare ai cattolici, vedi crociate, inquisizioni ecc., senza conoscere la vera storia di questi fatti, e senza sapere che anche i protestanti hanno avuto le loro guerre, e hanno pure fatto le loro inquisizioni assai più sanguinose di quelle cattoliche.

Dicono di essere sintonizzati con lo Spirito Santo, ma stranamente ci sono troppi gruppi che ricevono informazioni diverse e contraddittorie dal medesimo Spirito Santo, perdendo inesorabilmente di credibilità.

Mi rendo conto che la Chiesa cattolica trascura il problema del proselitismo protestante, i pentecostali – che sono gli evangelici oggi maggiormente in crescita -  riscuotono successo non perché hanno ragione, ma semplicemente perché trovano il popolo cattolico molto ignorante in  materia biblica. Purtroppo molti cattolici non sanno difendere in maniera opportuna la propria fede, rifugiandosi dietro al classico "non ho tempo da perdere" magari poi perdono pure la fede, il tempo però non si tocca.
 
Molti cattolici dicono di aver fede in Gesù Cristo, ma questa loro fede si vede solo nei momenti di bisogno, quando tutto scorre liscio Gesù viene dimenticato, e la Bibbia non interessa a nessuno leggerla. In contesti come questi i pentecostali trovano un popolo che deve veramente essere evangelizzato, da loro, anche se poi insegnano alcune gravi eresie. Molti cattolici non oppongono resistenza al proselitismo pentecostale perché non hanno risposte bibliche da dare, ma solo ignoranza da nascondere. In terreni simili la conquista pentecostale è facile, è come se affrontassero
un esercito disarmato. Anche i Testimoni di Geova, che di cristiano hanno ben poco, trovano terreno fertile per seminare le loro eresie.

Ma chi studia la Bibbia e si impegna ad approfondire il significato della Parola di Dio si rende conto che in realtà gli evangelici non sono affatto quei maestri biblici che sembrano, ma sono dei profondi ignoranti storici e biblici, plagiati dai loro insegnanti, questi ultimi spesso più ignoranti di loro, ma dotati di una capacità notevole di predicazione e di carisma in grado di fare proseliti. Chiamandoli ignoranti non voglio offenderli, perché altrimenti li chiamerei "falsi e bugiardi", chiamandoli ignoranti gli riconosco almeno la buona fede, credono in alcune dottrine sbagliate, non accorgendosi di sbagliare.

Chiarisco anche che non è proprio corretto confondere tutti gli evangelici con i protestanti classici come Luterani, Valdesi ecc., ma li considero ugualmente protestanti perché figli della Riforma Protestante e della "Sola Scrittura", che malamente interpretata porta a una miriade di dottrine diverse tra loro.
 
Il problema dell’interpretazione della Bibbia non è un’invenzione moderna. La Bibbia stessa attesta che la sua interpretazione presenta difficoltà. Accanto a testi chiari contiene passi oscuri. Leggendo certi passi di Geremia, Daniele meditava a lungo sul loro significato (Dan. 9:2). Secondo gli Atti degli Apostoli, un etiope del primo secolo s’interrogava circa un passo del libro di Isaia (Atti 8:30-35), riconoscendo di aver bisogno di un maestro. La seconda lettera di Pietro dichiara che "nessuna profezia della Scrittura procede da vedute particolari" (2Piet. 1:20) e osserva che le lettere dell’apostolo Paolo contengono "alcune cose difficili da capire, che gli uomini ignoranti e instabili torcono, come anche le altre Scritture, a loro propria perdizione" (2Piet. 3:16).
 
Il problema è perciò antico, ma col passar del tempo si è accentuato: due millenni separano ormai il lettore dai fatti della vita di Gesù.

È stupefacente come ogni singolo evangelico si senta una specie di maestro biblico, sicuro di avere la verità in tasca, sorvolando però sul fatto innegabile che se consideriamo solo alcune della tante denominazioni evangeliche ad oggi esistenti nel mondo, ci accorgiamo facilmente che un Avventista del Settimo Giorno nonostante ci dica e ci garantisca di essere guidato dallo Spirito Santo nel capire la Bibbia, ci accorgiamo che l’anima per lui non è immortale, chi celebra il culto a Dio la Domenica commette peccato ecc., in maniera simile ogni evangelico porta la sua parte di verità insieme ad una grossa parte di eresie.

Il pentecostale, per esempio, generalmente afferma che le proprie interpretazioni sono ispirate dallo Spirito Santo, e che quindi sono vere, ma non ha nessun elemento oggettivo per dimostrare che questo sia veramente vero; in pratica, semplicemente presuppone che le proprie opinioni siano ispirate dallo Spirito Santo. 

Il punto è che lo Spirito Santo non può contraddire se stesso, e quindi certamente queste interpretazioni contrastanti non possono essere tutte vere, né tutte ispirate. Per esempio, per gli Avventisti del Settimo Giorno tutte le altre chiese cristiane hanno abolito uno dei dieci comandamenti celebrando il culto alla domenica, e quindi tranne loro tutti sono destinati all’inferno se non si ravvedono in tempo e non aboliscono la domenica come giorno del Signore.

Ovviamente gli Avventisti motivano queste loro accuse con alcuni versetti biblici del Vecchio Testamento, interpretandoli a modo proprio. Ecco, è questo il punto che sfugge a tutti gli evangelici, classici, moderni e/o pentecostali: la Bibbia non può essere soggetta a interpretazione privata, soggettiva, perché la verità non è affatto soggettiva.

Spesso i bambini o anche i più adulti davanti a dei piatti mai assaggiati, o a qualcosa di nuovo dicono: "non mi piace, non voglio neanche provare". Questo è il comportamento tipico di chi non vuole qualcosa a prescindere, e deliberatamente dice no. Ecco, moltissimi evangelici si comportano in questo modo, non vogliono nemmeno conoscere cosa scrivevano i padri della Chiesa, ad esempio, per poter scoprire come vivevano i primi cristiani e come interpretavano la Bibbia, passo fondamentale per capire veramente chi ha ragione, vista la miriade di interpretazioni diverse che esistono oggi nel mondo protestante.

È fin troppo comodo affermare orgogliosamente che "Io capisco quello che c’è scritto nella Bibbia perché lo Spirito Santo mi guida, Dio ha nascosto la verità ai sapienti e l’ha rivelata agli umili". Ecco, ogni buon evangelico usa frasi del genere per rifiutare l’autorità interpretativa dei padri e dei dottori della Chiesa.

Ogni buon evangelico troppo spesso sopravvaluta la propria condizione spirituale, autodefinendosi "umile" e in quanto tale guidato dallo Spirito Santo nel capire correttamente la Bibbia. È vero che Dio rivela la verità agli umili, ma non sanno che cos’è l’umiltà. Quando vedo quelli che dicono di essere umili, e non sono altro che mediocri, vorrei dire loro: voi credete di essere umili, ma in realtà siete talmente pieni di voi stessi che siete intasati, ed è per questo che siete mediocri. La mediocrità non ha niente a che fare con la piccolezza evangelica.

Ognuno di noi dovrebbe rivedere il proprio metro di umiltà e ricalibrarlo con quello che Dio ci mette a disposizione tra gli uomini, quello dei santi, eroi della fede che hanno veramente dedicato tutta la loro vita a Dio.

Spesso l’umiltà diventa elemento di orgoglio da sbattere in faccia ai cattolici, che non capiscono bene la Bibbia, e non riconoscono umilmente che anche accettare l’autorità e la sapienza dei dottori della Chiesa è un gesto di umiltà!

In questo contesto si assiste a scene nelle quali qualsiasi evangelico di qualsiasi grado di cultura schernisce gli scritti di Ireneo, Agostino, Tommaso d’Aquino, in maniera disinvolta, senza alcun senso di colpa, perché si sente tanto umile da essere guidato direttamente da Dio nell’interpretare la Bibbia, ma allo stesso tempo è abbastanza cieco da non accorgersi che troppi "umili" evangelici professano poi dottrine assai diverse tra loro.

Il modello comportamentale adottato dagli evangelici è un modello orgoglioso, che disprezza il cattolico ma elegge un "fai-da-te" che inorgoglisce e dice: "Non ho bisogno di leggere gli scritti dei padri della Chiesa, mi basta la sola Bibbia", quindi i maestri di cui parla Paolo non servirebbero a nulla. I protestanti credono di capire la Bibbia "umilmente" da soli. Eppure Paolo dice:
 
Efesini 4:11 Ed è lui che ha dato gli uni, come apostoli; gli altri, come profeti; gli altri, come evangelisti; gli altri, come pastori e dottori

In questo contesto si inserisce il "dono delle lingue" tanto ostentato e altrettanto banalizzato nella sua funzione e finalità. Invece di apprezzare i doni più grandi, come quello dell’insegnamento dei maestri biblici, apprezzano l’ultimo dei doni, quello delle lingue, che per come usato da loro non serve a nulla, se non a inorgoglire chi dice di averlo.

Non serve a nulla per il semplice motivo che non viene usato per evangelizzare in altre lingue, ma solo per pregare (creando confusione) ed edificare se stessi. I doni di Dio non servono per edificare se stessi, ma per dare un beneficio alla comunità dei fratelli.

La colpa principale di tutto il protestantesimo è quella di aver separato le opere dalla fede, insegnando la salvezza per sola fede. In questo modo poco importa se chi dice di aver fede poi celebra i matrimoni omosessuali, o approva l’eutanasia, o ancora gli esperimenti sugli embrioni umani, oppure non crede alla SS. Trinità, l’importante è aver fede. Non capisco in che cosa hanno fede, visto che se capirebbero il senso profondo della fede cristiana certe cose non le dovrebbero proprio fare o insegnare.  
  
Non dimentichiamo che la fede si può pure perdere, non ci rimane incollata addosso a prescindere dal nostro comportamento. Le buone opere cristiane vengono dalla nostra fede in Cristo Gesù, ma bisogna andarci cauti ad usare frasi spavalde tipo: "Io sono già salvato, siete voi cattolici a non esserlo", perché anche Paolo ha dovuto combattere la buona battaglia per tutta la sua vita, e quando era al termine della vita terrena scrisse: 

2Timoteo 4:7 Io ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho serbata la fede;

quindi non è un fatto scontato conservare la fede fino all’ultimo dei nostri giorni, e ne consegue che non bisogna definirsi salvati a prescindere.
 
Io sono salvato, ora, se muoio in questo preciso istante e se sono in grazia di Dio, ma quello che mi potrà succedere domani io non lo so, combatterò la buona battaglia, ma non è un fatto scontato che la vinca, dovrò metterci tutta la mia buona volontà, e predisporre continuamente il mio cuore ai sussurri dello Spirito Santo; in quanto uomo potrò cadere, perché non sono un burattino nella mani di Dio, sono libero, e in quanto tale posso pure peccare in base agli eventi della vita, a volte molto dolorosi, per cui andiamoci cauti nel definirci "salvati" a prescindere.

Spesso la causa del sorgere di nuove dottrine cristiane, è proprio l’aver tagliato i ponti con la storia cristiana, con la Tradizione. Isolandosi dagli insegnamenti degli antenati cristiani, molti pastori evangelici, si autoconvincono di ricevere istruzioni direttamente da Dio, e il frutto di questi ponti tagliati con i padri della Chiesa lo vediamo tutti nelle diversità di dottrine che contraddistinguono i vari gruppi protestanti.

Una delle cose che più colpisce degli evangelici è la loro mancanza di razionalità mista ad arroganza, che li porta a bollare come "satanici" tutti i miracoli di provenienza mariana come ad esempio quelli di Lourdes. È stupefacente la loro sicurezza nel definire "di provenienza satanica" miracoli che vengono rigidamente studiati e provati, analizzati con i più moderni metodi scientifici, che si arrendono di fronte alle inspiegabili guarigioni di Lourdes. 

"Se i fatti non si adattano alla teoria, tanto peggio per i fatti" disse Hegel.

In pratica come secondo mestiere gli evangelici fanno tutti quanti i giudici, e applicano le loro condanne sui cattolici. Dovrebbero stare molto attenti e riflettere di più prima di aprir bocca sui cattolici e anche sui miracoli mariani. Io non ho la patente di cattolico, non mi sento succube della Chiesa di Roma, nessuno mi ha mai obbligato a dire qualcosa a favore della Chiesa cattolica, lo faccio di mio, perché logica vuole che sia così. Il mondo protestante è pieno di siti web e libri che accusano la Chiesa cattolica di ogni nefandezza, ma mi sono accorto che non è così, anzi la Chiesa cattolica è proprio la colonna a sostegno della Verità. Ciò non significa che sia una Chiesa fatta di uomini perfetti, la zizzania è sempre cresciuta assieme al buon grano, Giuda era un apostolo eppure tradì Gesù, Pietro lo rinnegò.

Come mai gli evangelici dicono di capire da soli la Bibbia, ma stranamente la capiscono ognuno a modo proprio? E, guarda caso un buon evangelico deve scagliarsi contro la dottrina cattolica, sorvolando sulle diversità dottrinali dei vari gruppi evangelici.

Sembrerebbe che l’evangelico medio suicidi la propria intelligenza per far posto all’ideologia anticattolica, non accorgendosi che seguendo i corsi biblici fatti dal pastore, o leggendo i commentari biblici protestanti, viene influenzato da una linea interpretativa prestabilita, quindi non sta conoscendo la verità per mezzo dello Spirito Santo, ma per mezzo dei suggerimenti del pastore o
del commentario biblico.

Sono talmente pieni di rancore verso la Chiesa cattolica, che ogni cosa passa in secondo piano, prima fra tutte la loro mancanza di logica. È logico non riflettere sul fatto che si viene indottrinati? È logico non accorgersi che nel mondo evangelico si professa dottrine diverse?

Dicono di chiamare fratello chiunque crede nella dottrina della salvezza, così come insegnata dal protestantesimo tutto, il precursore ovviamente fu Lutero che scrisse "Pecca fortemente e credi ancor più fortemente". Vorrei vedere un S. Francesco d’Assisi peccare fortemente e credere più fortemente. Questo motto protestante è di pura convenienza, e sottovaluta il peso del peccato, però ognuno crede a modo proprio, e non ha importanza se ci sono dottrine diverse, sono lo stesso fratelli, perché credono nella dottrina della salvezza protestante, se questa è logica...   

domenica 10 novembre 2019

GIUSEPPE ASSUME LA PATERNITA' LEGALE DI GESU'


Giuseppe assume la paternità legale di Gesù

Il Vangelo di Matteo incomincia con uno sguardo retrospettivo a partire da Gesù: "Libro dell'origine di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo" (1:1). Si tratta di una visione genealogica ascendente, in cui Gesù Cristo funge da chiave di lettura per le vicende del passato, mentre la genealogia discendente, da Abramo a Gesù (1:2-16), fa convergere tutta la storia veterotestamentaria nella persona di Gesù, in cui trova il suo compimento.

Questo brano è molto delicato. Ci racconta come Giuseppe entra nella storia di Gesù, e quindi ci dice come noi entriamo in contatto con Dio. Giuseppe non genera Gesù, Dio già c’è, il dono è fatto in Maria. Noi dobbiamo semplicemente, come Giuseppe, accettarlo. Il che vuol dire che noi Gesù lo riceviamo sempre con Maria, la quale è immagine della Chiesa, ci è trasmesso; il dono è già stato fatto da duemila anni. 

Questo va messo in evidenza perché la Riforma protestante ha detto: Cristo sì ma la Chiesa no. È una forma inconcepibile. Cristo è già dato da Maria, continua nel corpo dei credenti nella Chiesa, se non accetti la chiesa non accetti Dio, se non accetti i fratelli non accetti Dio. Quando Giuseppe accoglie Gesù, Gesù diventa figlio anche di Giuseppe. Giuseppe lo accetta per fede, perché avere fede significa accettare il dono, quel dono però che ci è sempre mediato dalla madre, la Chiesa. Questo è il primo tema del brano. Il secondo tema è: di chi è figlio Gesù? Allora, è l’incontro tra l’uomo e Dio, che ci viene narrato in questo brano attraverso la figura di Giuseppe.

Matteo 1:18 Or la nascita di Gesù Cristo avvenne in questo modo. Maria, sua madre, era stata promessa sposa a Giuseppe; e prima che fossero venuti a stare insieme, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo.

Chiusa la genealogia, Matteo la riprende concentrandosi sull’ultimo discendente, quello più illustre: Gesù Cristo. Non c'è, quindi, un antico e un nuovo testamento, tra loro contrapposti, ma un'unica storia che confluisce e trova il suo compimento in Gesù.

"Maria, sua madre, era stata promessa sposa...". Matteo rompe le logiche della sua genealogia, che vede essere l'uomo colui che genera, e vi mette una donna, Maria, che ci richiama in qualche modo la figura genesiaca di Eva, il cui nome vuol dire "vita" e dunque è la madre di tutti i viventi (Gen. 3:20). Anche qui, come là, Maria viene definita "madre". Là nella Genesi, come qua in Matteo, all'origine della storia e della vita c’è una donna.

Matteo rilegge il racconto della creazione alla luce di un nuovo Evento. Non a caso il suo vangelo inizia con l'espressione significativa di Biblos genéseōs Iēsou Christou, Libro di origine di Gesù Cristo – Gesù è l’inizio di una nuova genesi.

Il v. 18 comincia subito con il porre una questione cruciale: Maria si trovò incinta! Quale risposta dare a questo evento scandaloso, che poteva sfociare drammaticamente anche in una lapidazione? Gesù è un figlio illegittimo? Certo è che Gesù non è figlio di Giuseppe, poiché l'espressione "prima che fossero venuti a stare insieme" dice chiaramente che Maria si è trovata incinta prima che i due andassero ad abitare insieme. Questa è la situazione scandalosa con cui si apre il racconto di Matteo.

Ma Matteo si affretta a correggere il tiro: "si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo". Non si tratta, quindi, di una colpa, ma di un'azione divina. Non ci rivela però le modalità del fatto. Certe verità sono così misteriose che le modalità non servirebbero a svelare il mistero. Quando ci troviamo di fronte al soprannaturale, non dobbiamo comprendere, dobbiamo solamente accogliere la verità.

Maria è stata la prima ad accettare questo mistero, quindi Maria è il prototipo della fede che si apre a Dio che dà una carne al Logos/Verbo di Dio.

La lettura del testo, quindi, va spostata da un piano umano, su un diverso piano, che solo la fede è in grado di cogliere. Uno potrebbe dire: Io la Chiesa non la voglio, voglio soltanto Cristo… sarebbe come dire: Maria non la voglio, voglio solo Gesù! Gesù da solo non lo prendi. Entri sempre nella mediazione di chi prima di te l’ha generato, te lo presenta, non me lo invento io Cristo. E Maria stessa è colei che per prima ha la sorpresa di avere accolto il Verbo di Dio, ma non per iniziativa sua: per opera dello Spirito Santo, cioè per l’iniziativa di Dio. Il Messia, possiamo attenderlo ancora per trecentomila anni, non verrà mai, perché è già venuto. Il problema è accettarlo come è venuto, nella mediazione della carne di Maria, cioè della Chiesa.

Al di fuori di questa mediazione ci sono le tue invenzioni, le tue ipotesi su Dio, le tue discussioni: sono tutte sole ipotesi, non è l’opera dello spirito Santo. Quindi in Giuseppe vediamo il dramma di ogni credente, le incertezze, il cammino che deve fare per accettare il dono, perché non è generato da Giuseppe, nasce da Maria. È perfettamente umano, però si capisce anche che viene da molto lontano, dal profondo, viene da Dio.

Non a caso, infatti, dopo che Giuseppe ha ricevuto la spiegazione dei fatti, Matteo dirà che "Giuseppe, destatosi dal sonno..." (v. 24). Non è semplicemente un sonno fisico, ma indica anche che Giuseppe adesso è in grado di capire la verità di quella situazione gravemente imbarazzante, quasi a dire che se la storia della salvezza non viene colta attraverso lo sguardo della fede, diventa per l'uomo irraggiungibile, anzi un motivo di scandalo. Solo lo sguardo della fede, illuminata dalla rivelazione, fa entrare l'uomo nel mistero e lo fa diventare protagonista e collaboratore di Dio.

Quindi, lo Spirito Santo stesso produce in Maria una nuova umanità, così come era avvenuto agli inizi della storia umana, quando Dio "soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo divenne un’anima vivente" (Gen. 2:7). Ci troviamo, pertanto, in presenza di una nuova creazione, di una nuova genesi. L'uomo che ne uscirà, sarà legato alla stessa vita di Dio, e la condivide al punto tale che i due saranno una cosa sola.

Matteo 1:19 E Giuseppe, suo marito, essendo uomo giusto e non volendo esporla ad infamia, si propose di lasciarla occultamente.

Quando si giunge a questo versetto, ognuno si sente autorizzato a entrare nella mente di Giuseppe, prenderne il posto, per riflettere nel testo i propri pensieri, le proprie congetture, le proprie fantasie.

Giuseppe è qui definito "uomo giusto", dikaios; e in questo versetto si esprime il dramma di Giuseppe, che è il dramma di ogni giusto. A cosa allude esattamente questa giustizia? Certamente non al fatto che egli ha deciso tra sé di non esporre Maria a un qualche giudizio, con possibili conseguenze tragiche per lei; né al fatto di volerla ripudiare segretamente.

Il "giusto", biblicamente, è colui che mette in pratica fedelmente la Torah. La religione ebraica, infatti, è la religione dell'ortoprassi, la corretta esecuzione di ciò che Dio comanda, senza voler prima comprendere, indagare. È significativo, in tal senso, quanto il popolo risponde a Mosè: "E tutto il popolo rispose concordemente e disse: Noi faremo tutto quello che l'Eterno ha detto" (Es. 19:8). Il comandamento di Dio è una volontà che va soltanto eseguita. Giusto è colui, quindi, che sa conformarsi ed eseguire fedelmente quanto la Torah comanda. Ma in questo caso Giuseppe non applica la Torah, la quale richiederebbe il ripudio, il divorzio, ed eventualmente la lapidazione.

Allora in che senso Giuseppe è giusto? Secondo una certa interpretazione, si dice che Giuseppe non voleva giungere al punto di far lapidare Maria, ma si sarebbe comunque sentito in obbligo di accusare Maria davanti ai rappresentanti della Legge. Questa è l’interpretazione puramente legale della parola "giusto", che considera come "giusto" solo ciò che rientra nell’osservanza stretta della Legge.

Secondo un’altra interpretazione, "giusto" dovrebbe essere inteso nel senso di "buono": Giuseppe ha dei sospetti, ma è un uomo "buono", ha un "cuore buono", non farà una sceneggiata e si separerà da Maria in silenzio. Ma dikaios non ha mai il significato di "buono".

In realtà, "giusto" ha il senso tipico di Matteo, cioè accettazione del piano di Dio per quanto sconcertante possa essere. Se leggiamo in successione i due versetti (18 e 19) e mettiamo in evidenza le verità in essi contenute, e leggiamo senza pregiudizi:

Il testo dice che:

-          Maria e Giuseppe erano promessi sposi.
-          Non erano andati ancora a vivere insieme.
-          Ognuno viveva nella sua propria casa.
-          In questo frattempo Maria si trovò incinta per opera dello Spirito Santo (v. 18).
-          Giuseppe è uomo giusto.
-          Giuseppe è suo sposo.
-          Giuseppe non vuole ripudiarla.
-          Giuseppe decide di lasciarla in segreto (v. 19).

Nel testo non si dice altro, ma possiamo dedurre che: Giuseppe essendo uomo giusto, dall’altezza della sua giustizia pensa solo il bene. Giuseppe non pensa al suo bene.

Giuseppe era stato messo al corrente della gravidanza miracolosa da parte di Maria, questa era una cosa doverosa. Era del tutto normale che Maria si fosse preoccupata di informare Giuseppe di ciò che era successo. Giuseppe, uomo "giusto", non vuole interferire nell’azione misteriosa di Dio e neppure si ritiene degno. Perciò intende mettersi in disparte. Giuseppe vede Dio all’opera, e pensa che sia necessario che lui si ritiri. È allora per rispetto, per timore religioso davanti al mistero di Dio, che Giuseppe vuole ritirarsi. Cioè non è che lui voglia rimandare indietro Maria perché ha dei sospetti, sarebbe strano. È semplicemente per rispetto: Non mi riguarda, non voglio entrarci di mezzo. È troppo grande.

L’uomo "giusto" è colui che si ritira rispettosamente davanti all’intervento di Dio. Questa reazione è anche quella dei "giusti" dell’Antico Testamento: quella di Mosè al momento della teofania sul monte Sinai; quella del profeta Geremia quando viene chiamato da Dio, e quella di altri ancora. Quando Dio si manifesta e interviene nella storia dell’uomo, il "giusto" indietreggia rispettosamente davanti alla maestà di Dio.

Non volendo esporla ad infamia, traduce il verbo greco deigmatìsai, un verbo molto raro. Per cui si trovano traduzioni e interpretazioni divergenti: "non voleva diffamarla"; "non voleva denunciarla pubblicamente"; "non voleva esporla al pubblico ludibrio", tutte versioni che sembrano implicare che Giuseppe considerasse Maria colpevole.

La questione è di sapere se questo raro verbo greco deve avere un significato peggiorativo o no. In uno dei suoi scritti, Eusebio di Cesarea osserva che deigmatisai significa semplicemente: "far  conoscere", "portare alla luce". Una cosa che non è conosciuta e che viene in seguito rivelata può essere buona o cattiva, edificante o vergognosa; ma la parola in sé significa "esporre, o proporre come esempio", "apparire", "mostrare". Quindi Giuseppe non vuole esporre il fatto, non vuole farlo apparire, non vuole mostrarlo pubblicamente.

Si propose di lasciarla traduce il greco apolysai, che rimanda al senso di "liberare", "sciogliere", "prosciogliere". Quindi può significare semplicemente "lasciar libero", "lasciar andare", ma può avere anche il senso di "sciogliere, rompere i legami matrimoniali". Potrebbe dunque – secondo alcuni – significare "ripudiare", "divorziare". Nel contesto di Mat. 1:19 bisognerebbe quindi interpretarlo come se Giuseppe volesse consegnare a Maria un attestato di ripudio da sottoporre al tribunale in vista di ottenere il divorzio? Giuseppe avrebbe quindi voluto sciogliere il suo matrimonio con Maria? Ma questa è un’interpretazione secondo la linea dura. Tecnicamente parlando, la parola può significare "divorziare" soltanto con una certa forzatura. Ma siccome il divorzio è un atto pubblico, fatto davanti a dei testimoni, e qui il verbo è accompagnato dall’avverbio lathra "segretamente, occultamente", un atto pubblico non si può fare in segreto.

"Giuseppe, suo sposo, che era giusto e non voleva esporla, decise di separarsi da lei in segreto". Se noi leggiamo il versetto in questa prospettiva, esso cambia completamente tono. Giuseppe non poteva dire in pubblico ciò che Maria gli aveva rivelato in confidenza, doveva conservarlo nel suo cuore come un segreto prezioso. Ma lui, cosa doveva fare? Pieno di timore religioso davanti al mistero che si è compiuto in Maria sua sposa, Giuseppe non vede in questo momento nessun’altra via d’uscita che quella di ritirarsi discretamente. Se interpretiamo il versetto in questo modo, allora le ultime parole diventano molto belle: "Decise di separarsi da lei in segreto".

Dunque l’idea stessa di una denuncia svanisce completamente. L’ottica è radicalmente rovesciata. Pieno di rispetto per Maria, nella quale lo Spirito Santo aveva realizzato cose così grandi, Giuseppe è pronto a cederla totalmente a Dio.

Altre interpretazioni partono da presupposti del tipo che Giuseppe non fosse stato informato del concepimento verginale di Maria. Essendo giusto, non poteva in coscienza convivere con una peccatrice, in contrasto con la legge del Signore. È questa l’ipotesi tradizionale, ma che non tiene conto dell’intento cristologico e non storiografico dell’evangelista. Quindi due direzioni opposte sono possibili nell’interpretazione: una severa e un’altra più moderata.

Fin dall’inizio le dicerie su Gesù e sulla sua famiglia, sia nell’ambiente giudaico, sia in ambiente pagano, erano enormi. Sentiamo cosa scrive Celso, un filosofo del III secolo, di Gesù:

"Di essere nato da una vergine te lo sei inventato tu, tu sei nato in un villaggio della Giudea da una donna del posto, una povera filatrice a giornata. Questa fu scacciata dal marito, di professione carpentiere, per comprovato adulterio. Ripudiata dal marito e ridotta a un ignominioso vagabondaggio, clandestinamente ti partorì da un soldato di nome Pantera".

Questa è una tra le  tante dicerie che viene riportata anche nel Talmud.

Dobbiamo aprirci a qualcosa di molto più grande di quanto noi possiamo fare o meritare. È la stessa verginità di Maria che deve avere ogni credente, il che vuol dire essere disposti ad accogliere qualcosa di infinito. Solo così possiamo ricevere il dono di Dio. Perché Maria ha concepito il Verbo di Dio? Semplicemente perché essendo umile, sapendo di non meritarlo, non dice: non lo merito e quindi lo rifiuto, ma essendo umile dice: lo ricevo come dono.

L’umile desidera Dio, mentre l’orgoglioso desidera qualche cosa che può fare lui. Paradossalmente sarebbe l’orgoglioso ad essere giusto perché conosce i suoi limiti, i suoi doveri, i suoi obblighi; visto che è giusto si ferma lì: Io mi conosco, so qual è il mio limite e mi fermo. E Giuseppe fa questo ragionamento. Questa cosa è troppo grande per me, non è per me, quindi resto fuori dal dono di Dio. Sarebbe come se vai a lavorare un’ora e ti danno cinque milioni, dici: no, non è giusto. Così è della grazia: richiede umiltà per accettarla.

Pensate se Maria quando l’angelo le disse che il Signore è con te, tu concepirai un figlio, Maria avesse risposto: forse ti stai sbagliando, io non sono degna vai da un altra. Noi diciamo spesso così! Vuol dire che la Parola non è radicata in noi per questo nostro senso di indegnità che non viene da Dio. Dio non dà il senso di indegnità, dà il senso di umiltà e ti accoglie affinché tu possa accogliere il dono. Quindi si entra nel vangelo con questa apertura d’animo ad accogliere l’impossibile, perché il dono che Dio ci dà è impossibile, è Sé stesso.

Matteo 1:20 Ma mentre aveva queste cose nell'animo, ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria tua moglie; perché ciò che in lei è generato, è dallo Spirito Santo.
Matteo 1:21 Ed ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati.

"Ma mentre aveva queste cose nell’animo, ecco che un angelo del Signore gli apparve". In queste due espressioni è racchiusa la contrapposizione di due mondi: quello umano, che ragiona secondo ciò che vede e tocca e tira le sue apparentemente giuste e logiche conclusioni, ma che non sa andare oltre; e quello divino, che irrompe all'improvviso nelle vicende umane e le illumina con una nuova comprensione. Giuseppe stava pensando a queste cose. Dentro si rimugina, Giuseppe non aveva preso alcuna decisione, come faccio sbaglio forse pensava. Però la devo prendere questa decisione, non ho altra alternativa. La giustizia di Giuseppe si rivela anche come grande prudenza. La prudenza è valutazione, riflessione, attesa, non fretta, preghiera, consiglio.

Pensa a queste cose, gli appare un angelo.

Quel „doÝ ("ecco") dice dell'aprirsi di uno scenario nuovo e inaspettato, che sovrasta la dimensione umana e la costringe ad adeguarsi alla realtà di Dio. Solo ora comprendiamo bene perché Matteo ha definito "giusto" Giuseppe, poiché egli è pronto a mettersi da parte per fare spazio a Dio; pronto a ubbidire.

Quel "mentre aveva queste cose nell’animo" dice come l'irrompere del divino nelle vicende umane avviene nel "mentre", cioè nel compiersi della vita quotidiana. È Dio che si insinua nelle pieghe della storia umana. Ma perché l'incontro possa portare frutto è necessario essere "giusti", cioè aver creato in sé una sensibilità alle cose di Dio, predisponendoci alla collaborazione.

Ed ecco che il sogno, secondo la tradizione biblica, diventa il naturale luogo d'incontro tra i due mondi, la sede della rivelazione e della comunicazione del divino. 

Non temere dice l’angelo a Giuseppe. Dio dà coraggio, forza. Non temere di prendere. Dio si vuole donare: non temere ad accettare. Non temere di prendere con te Maria tua moglie, perché ciò che in lei è generato, è dallo Spirito Santo. Perché queste parole, "non temere", per parlare della coabitazione dei due sposi? Le stesse parole furono dette a Maria nel momento dell’Annuncio: «Non temere, Maria...» (Luca 1:30). Questa esortazione, nella Bibbia, ha un profondo significato. Si tratta del "santo timore" che l’uomo prova quando c’è una rivelazione della presenza di Dio.

Il timore di Giuseppe è dovuto all’azione di Dio nei confronti di Maria. Se ammettiamo come dovremmo che Giuseppe era al corrente della concezione verginale, allora possiamo capire il suo "dubbio": cosa devo fare in questa situazione piena di mistero? Per "timore" davanti all’azione di Dio nei confronti della sua sposa, egli è pronto a ritirarsi con rispetto, in segreto.

Questo perché agli occhi di Giuseppe la concezione verginale di Maria era un ostacolo alla sua coabitazione con lei. Per questo l’angelo viene a rispondere alla sua difficoltà, dandogli un ordine da parte di Dio: senza dubbio, il bambino che è stato concepito nel grembo di Maria viene dallo Spirito Santo; nonostante questo, lui, Giuseppe, deve prendere con sé Maria sua sposa, deve andare ad abitare insieme con lei e accettare il suo compito di sposo e di padre.

La generazione per opera dello Spirito Santo esclude ogni allusione a una ipotetica partenogenesi, che, secondo qualche critico, l’evangelista avrebbe derivato dalla letteratura ellenistica. Si tratta di un atto generativo, ma non nel senso di accoppiamento di una divinità con una donna come nel mondo pagano, ma di un intervento prodigioso, di un vero atto creativo da parte dello Spirito Santo.
Prendi questo che ti viene da Maria, prendilo con te, il Cristo vuole essere con te. In realtà non prendi lui, ma prendi Maria tua moglie, cioè il Cristo ce l’hai prendendo Maria.

E questa se volete è una costante: la fede si trasmette attraverso gli apostoli, attraverso quelli che l’hanno presa, noi la fede prendiamo da loro. Ed è necessario proprio che noi il Messia lo prendiamo da Maria, dalla Chiesa, da chi ha creduto prima di noi, se no, vuol dire che noi ce lo inventiamo, allora non è Cristo. Non crediamo nel Cristo storico che ha assunto la carne in Maria. Così anche il resto, se noi, non lo prendiamo con Maria, cioè con la Chiesa, non prendiamo Cristo, perché se scarti i fratelli che sono venuti prima di te scarti Lui; ma scarti anche te.

Quel che nasce in Maria non è opera d’uomo, è opera di Dio. La stessa Maria è la prima che lo prende come opera di Dio, non come opera sua. E di fatti la prima eresia è proprio quella di staccare Cristo da Maria; che poi corrisponde a quella di staccarla dal corpo di Cristo. Così il cristianesimo viene ridotto a ideologia, a illuminazione personale, a misticismo, a tutto quel che volete, ma questo non è più cristianesimo.

In Maria si sta compiendo un grande prodigio. È un prodigio inaudito, mai avvenuto nella storia umana. Solo lei ha concepito per opera dello Spirito Santo, nessuna altra donna al mondo. A questo figlio che la Vergine Maria partorirà, Giuseppe dovrà dare il nome. Lo dovrà chiamare Gesù. Dando il nome, Giuseppe riconosce Gesù come suo figlio. Porre il nome significa conferire la paternità legale, e con questo atto Gesù viene inserito nella discendenza di Abramo e di Davide.

Giuseppe fa del figlio della Vergine Maria un suo vero figlio, anche se non viene dalla sua natura, e accogliendolo come figlio, è come se fosse nato anche da lui. Anche questa è la grandezza di Giuseppe: fa del Figlio di Dio il suo proprio figlio. In un certo senso Giuseppe è vera immagine di Dio nei confronti nostri. Dio Padre ci fa suoi figli, anche se non veniamo dalla sua natura.

Giuseppe è colui che dà la discendenza davidica a Gesù, mentre Maria, in quanto moglie e madre, dà l'umanità a Gesù. Maria è il luogo dell'inserimento di Dio nella storia dell'uomo, definendo in tal modo Maria come Madre di Dio. In Maria nasce un principio fondamentale: come Maria, investita dallo Spirito Santo, concepisce Gesù e genera Dio al mondo, così ogni credente, rivestito dello Spirito promesso, diventa il luogo in cui Dio viene concepito. In questo modo Dio continua il suo cammino nella storia, incontrando gli uomini di ogni generazione, offrendo ad essi la sua salvezza, tramite la comunità credente, la Chiesa.

Maria ha il compito di generare; Giuseppe quello di dare un nome. Essi hanno il compito di portare a compimento un progetto concepito altrove. Essi sono degli umili, ma nello stesso tempo indispensabili, collaboratori di Dio.

Significativa, poi, è la motivazione del nome: "perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati". Dio salva. Chi è Dio per noi? È Gesù, cioè colui che ci salva dal peccato. Il fatto che il nome Gesù significa "Dio salva", è la realizzazione di un’attesa profetica: io perdonerò la loro iniquità, e non mi ricorderò più del loro peccato (Ger. 31:34).

L'evangelista indica subito in cosa consiste l'opera messianica di Gesù. Egli non è venuto a liberare il suo popolo dalla servitù dei Romani, come falsamente pensavano i Giudei avrebbe dovuto fare il Messia; ma è venuto per distruggere il peccato e fondare un regno non politico e temporale, ma spirituale ed eterno.

Matteo 1:22 Or tutto ciò avvenne, affinché si adempiesse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Matteo 1:23 Ecco, la vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele, che, interpretato, vuol dire: «Iddio con noi».

Ultimato il racconto dei fatti, Matteo, ora, spinge il lettore a interpretarli con il ricorso alle Scritture.

"Or tutto ciò avvenne". Ci sono degli eventi che sono accaduti, ma questo loro accadere non è casuale, non è un fatto fortuito, un imprevisto, ma è il compimento di ciò che è detto nella Scrittura. Essi hanno un significato che va colto e che viene denunciato da quel "affinché". Sono avvenimenti, quindi, che hanno una dinamica che li spinge ad evolversi fino a che si "adempiono". Il verbo che lo esprime è posto da Matteo al passivo, "affinché si adempisse". Si tratta di un passivo teologico o divino, che rimanda all'azione stessa di Dio. Dunque, questi avvenimenti sono il realizzarsi di un progetto divino, che già era stato preannunciato dalle Scritture. Sono l’adempimento di una Parola annunciata nel passato che ora si compie. La nascita di Gesù è, pertanto, letta da Matteo come un evento storico, che ha radici lontane e che ora si adempie.

La profezia citata da Matteo è presa da Is. 7:14: Perciò il Signore stesso vi darà un segno: Ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio, e gli porrà nome Emmanuele.

Nel contesto storico di Isaia, la "giovane" si riferiva alla moglie del re Achaz, quindi nulla di strano! Il timore espresso sia da Isaia che da Achaz, era che la dinastia davidica, a cui Achaz apparteneva, venisse distrutta e sostituita, secondo i propositi di Retsin e Pekah, da un loro fedele alleato, il figlio di Tabbeel (Is. 7:6), di origine aramea.

Allora si comprende come il segno sia una inequivocabile risposta ai timori di Achaz: Dio avrebbe dato un figlio maschio, che avrebbe garantito il proseguo della dinastia davidica, il cui nome, molto significativo, sarebbe stato "Emmanuele". Tale nome era una sorta di garanzia divina: la dinastia davidica, di cui Achaz era il rappresentante regale del tempo, sarebbe continuata per volere divino, e segno di tale volere era il fanciullo dal nome che indicava lo schierarsi di Dio a favore del suo popolo e della sua promessa: "Dio con noi".

Matteo rilegge la profezia di Isaia in chiave cristologica, per spiegare l’origine divina di Gesù, e la riferisce al suo concepimento verginale. Matteo ha usato la parola parthenos, "vergine"a sottolineare l'integrità fisica di Maria. Il concepimento di Gesù è avvenuto senza l'intervento umano, poiché le sorti di Gesù e dell'intera storia della salvezza non sono nelle mani degli uomini, ma di Dio.  

Matteo specifica il significato del nome "Emmanuele", rivelando in tal modo il suo modo di intendere quel bambino: egli è Dio, che, per mezzo di Maria, è giunto fino a noi; e, quindi, è il "Dio con noi". Due sono i nomi: lo chiamerà Gesù, è il suo nome personale, vuol dire Dio salva. E sarà chiamato Emmanuele. Emmanuele è il nome più bello di Dio, perché Dio nella sua essenza che è amore, si manifesta in nostra compagnia: Dio con noi. Dio come compagnia, come comunione, come amore: è il Dio-con-noi. È quel Gesù stesso che alla fine del Vangelo di Matteo dice: Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente.

Dio non è con noi, rimanendo fuori di noi. È con noi, ma in noi. È con noi, ma facendosi carne come noi. È Dio con noi perché ora è nostra carne e nostro sangue, nostra storia e nostra vita. Alla tentazione dell’uomo di volersi fare come Dio, Dio risponde con il farsi Lui come noi. È il capovolgimento di tutta la storia dell’uomo. Con l’Incarnazione del Verbo eterno, del Figlio Unigenito del Padre, viene ribaltata la nostra esistenza. È come se fosse messa sottosopra.

Matteo, qui, sta mettendo le premesse all'intero suo Vangelo e sta costruendo, pezzo per pezzo, l'identità di Gesù, così che si possa leggere correttamente, senza fraintendimenti, quello che scriverà: Gesù è il Dio che cammina in mezzo a noi ed è venuto a condividere la nostra sorte, mostrando tutta la sua solidarietà verso l'uomo decaduto. Questo è il grande tema del suo scritto. E che questa sia la sua intenzione lo sta a dimostrare il finale stesso del vangelo: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine dell’età presente" (28:20), che forma con 1:23 una grande inclusione, che abbraccia l'intero vangelo di Matteo, fornendogli una sorta di chiave di lettura.

Matteo 1:24 E Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come l'angelo del Signore gli aveva comandato, e prese con sé sua moglie;
Matteo 1:25 e non la conobbe finch'ella non ebbe partorito un figlio; e gli pose nome Gesù.

Giuseppe "fece come l’angelo del Signore gli aveva comandato". Per questo Giuseppe viene definito "uomo giusto", perché è uomo che si conforma al volere divino. Fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore, e poi si ripete cosa gli aveva ordinato: prese con sé sua moglie. Cioè è il perfetto esecutore della Parola che è il tema fondamentale di Matteo: ascoltare la Parola, vivere la Parola, eseguire la Parola. Se Giuseppe non avesse ascoltato la voce di Dio, per tramite dell’angelo, non sarebbe stato più uomo giusto. Sarebbe stato semplicemente un disobbediente a Dio e nella disobbedienza non c’è più giustizia.

Chi vuole essere giusto deve essere veramente libero. Un uomo ancorato ai suoi propri pensieri, alle sue personali leggi anche di santità, mai potrà dirsi uomo giusto. Un uomo è giusto quando solo il Signore è il Re che dirige la sua vita, nei suoi più piccoli atti, nelle più insignificanti delle decisioni. La giustizia perfetta è obbedienza perfetta. L’obbedienza è l’ascolto della voce di Dio, non della voce del proprio cuore. Secondo questi principi, o regole della perfetta giustizia è assai facile passare dalla giustizia all’ingiustizia, perché è facile rinchiudersi nel proprio cuore e pensare che il cuore sia legge di verità e di giustizia.

Risuonano nelle parole dell'evangelista il giuramento del popolo ebraico ai piedi del Sinai: "... Noi faremo tutto quello che l'Eterno ha detto'" (Es. 19:8). Gesù, quindi, sembra essere per Matteo il nuovo Sinai in cui Dio e l'uomo si incontrano nuovamente per celebrare il nuovo ed eterno patto. Per Matteo, Gesù è il compiersi delle Scritture, e le costanti citazioni delle Scritture, che caratterizza il suo racconto, lo sta a testimoniare.

Posta in questo contesto, la figura di Giuseppe, che "fece come l’angelo del Signore gli aveva comandato" diventa, in qualche modo, la figura del nuovo e ideale Israele, che nel suo conformarsi alla volontà divina, diventa lo specchio della nuova comunità credente.

L’angelo gli aveva detto di prender Maria sua moglie, che gli avrebbe partorito un figlio, che lo avrebbe chiamato Gesù. Lui cosa fa? Prende con sé Maria sua moglie, che le partorisce un figlio e lo chiama Gesù. Giuseppe fa puntualmente tutto quel che gli viene detto. Diventa anche lui come Maria. A questo figlio è Giuseppe che dà il nome. Giuseppe lo elegge a figlio. Eleggendolo lo ama, lo cura, lo nutre, lo fa crescere come suo vero figlio.

È l’atteggiamento del credente; è l’atteggiamento di Abramo che diventa figlio di Dio; è l’atteggiamento di Maria che diventa madre di Dio; è l’atteggiamento di ciascuno di noi che diventiamo figli di Dio ascoltando la Parola e diventiamo come Maria, cioè madre, generiamo il Verbo nella nostra vita.

Quindi questo racconto ci spiega qual è il nostro atteggiamento fondamentale di fede nei confronti del dono che riceviamo: non temere, prendilo! È già stato fatto il dono: duemila anni fa a Maria, da lì fu accolto da Giuseppe, dagli apostoli, dalla Chiesa e dalla Chiesa adesso chiunque vuole non deve temere di prendere questo dono attraverso Maria.

L’evangelista esclude qualunque rapporto tra Giuseppe e Maria, con la quale non ebbe rapporti sessuali finché partorì un figlio che chiamò Gesù: fino a che Gesù non è stato partorito, Matteo  esclude  categoricamente  qualunque  tipo  di  rapporto  tra  marito  e  moglie.  Però, quel finché può indicare dopo, o in greco, mai. In 2Sam. 6:23 sulla moglie di Davide si legge: E Mical, figlia di Saul, non ebbe figli fino al giorno della sua morte. Il termine greco finché (o fino a), può significare o mai o dopo. Nel testo che abbiamo citato, evidentemente Mical non ha avuto figli dopo la morte e significa mai.

Che Maria sia rimasta vergine anche dopo il parto, è una verità che si ha dalla tradizione dei Padri (Ignazio, Giustino, Ireneo, ecc.) e dall’autorità della Chiesa. L'evangelista non scrive la vita di Maria, ma quella di Gesù; quindi gli basta affermare esplicitamente la nascita soprannaturale del Salvatore.