Giuseppe assume la
paternità legale di Gesù
Il Vangelo di Matteo incomincia con uno sguardo
retrospettivo a partire da Gesù: "Libro dell'origine di Gesù Cristo,
figlio di Davide, figlio di Abramo" (1:1). Si tratta di una visione
genealogica ascendente, in cui Gesù Cristo funge da chiave di lettura per le
vicende del passato, mentre la genealogia discendente, da Abramo a Gesù (1:2-16),
fa convergere tutta la storia veterotestamentaria nella persona di Gesù, in cui
trova il suo compimento.
Questo brano è
molto delicato. Ci racconta come Giuseppe entra nella storia di Gesù, e quindi
ci dice come noi entriamo in contatto con Dio. Giuseppe non genera Gesù, Dio
già c’è, il dono è fatto in Maria. Noi dobbiamo semplicemente, come Giuseppe,
accettarlo. Il che vuol dire che noi Gesù lo riceviamo sempre con Maria, la
quale è immagine della Chiesa, ci è trasmesso; il dono è già stato fatto da
duemila anni.
Questo va
messo in evidenza perché la Riforma protestante ha detto: Cristo sì ma la
Chiesa no. È una forma inconcepibile. Cristo è già dato da Maria, continua nel
corpo dei credenti nella Chiesa, se non accetti la chiesa non accetti Dio, se
non accetti i fratelli non accetti Dio. Quando Giuseppe accoglie Gesù, Gesù
diventa figlio anche di Giuseppe. Giuseppe lo accetta per fede, perché avere
fede significa accettare il dono, quel dono però che ci è sempre mediato dalla
madre, la Chiesa. Questo è il primo tema del brano. Il secondo tema è: di chi è
figlio Gesù? Allora, è l’incontro tra l’uomo e Dio, che ci viene narrato in
questo brano attraverso la figura di Giuseppe.
Matteo 1:18 Or la nascita di Gesù Cristo avvenne in
questo modo. Maria, sua madre, era stata promessa sposa a Giuseppe; e prima che
fossero venuti a stare insieme, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo.
Chiusa la genealogia, Matteo la riprende concentrandosi sull’ultimo
discendente, quello più illustre: Gesù Cristo. Non c'è, quindi, un antico e un
nuovo testamento, tra loro contrapposti, ma un'unica storia che confluisce e
trova il suo compimento in Gesù.
"Maria, sua madre, era stata promessa sposa...".
Matteo rompe le logiche della sua genealogia, che vede essere l'uomo colui che
genera, e vi mette una donna, Maria, che ci richiama in qualche modo la figura
genesiaca di Eva, il cui nome vuol dire "vita" e dunque è la madre di tutti i viventi (Gen. 3:20).
Anche qui, come là, Maria viene definita "madre". Là nella
Genesi, come qua in Matteo, all'origine della storia e della vita c’è una
donna.
Matteo rilegge il racconto della creazione alla luce di un
nuovo Evento. Non a caso il suo vangelo inizia con l'espressione significativa
di Biblos genéseōs Iēsou Christou,
Libro di origine di Gesù Cristo – Gesù è l’inizio di una nuova genesi.
Il v. 18 comincia subito con il porre una questione
cruciale: Maria si trovò incinta!
Quale risposta dare a questo evento scandaloso, che poteva sfociare
drammaticamente anche in una lapidazione? Gesù è un figlio illegittimo? Certo è
che Gesù non è figlio di Giuseppe, poiché l'espressione "prima che fossero venuti a stare insieme"
dice chiaramente che Maria si è trovata incinta prima che i due andassero ad
abitare insieme. Questa è la situazione scandalosa con cui si apre il racconto
di Matteo.
Ma Matteo si affretta a
correggere il tiro: "si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo".
Non si tratta, quindi, di una colpa, ma di un'azione divina. Non ci rivela però le modalità del fatto.
Certe verità sono così misteriose che le modalità non servirebbero a svelare il
mistero. Quando ci troviamo di fronte al soprannaturale, non dobbiamo
comprendere, dobbiamo solamente accogliere la verità.
Maria è stata la prima ad
accettare questo mistero, quindi Maria è il prototipo della fede che si apre a
Dio che dà una carne al Logos/Verbo di Dio.
La lettura del testo, quindi, va spostata da un piano umano,
su un diverso piano, che solo la fede è in grado di cogliere. Uno
potrebbe dire: Io la Chiesa non la voglio, voglio soltanto Cristo… sarebbe come
dire: Maria non la voglio, voglio solo Gesù! Gesù da solo non lo prendi. Entri
sempre nella mediazione di chi prima di te l’ha generato, te lo presenta, non
me lo invento io Cristo. E Maria stessa è colei che per prima ha la sorpresa di
avere accolto il Verbo di Dio, ma non per iniziativa sua: per opera dello
Spirito Santo, cioè per l’iniziativa di Dio. Il Messia, possiamo attenderlo
ancora per trecentomila anni, non verrà mai, perché è già venuto. Il problema è
accettarlo come è venuto, nella mediazione della carne di Maria, cioè della
Chiesa.
Al di fuori di
questa mediazione ci sono le tue invenzioni, le tue ipotesi su Dio, le tue
discussioni: sono tutte sole ipotesi, non è l’opera dello spirito Santo. Quindi
in Giuseppe vediamo il dramma di ogni credente, le incertezze, il cammino che
deve fare per accettare il dono, perché non è generato da Giuseppe, nasce da
Maria. È perfettamente umano, però si capisce anche che viene da molto lontano,
dal profondo, viene da Dio.
Non a caso, infatti, dopo che Giuseppe ha ricevuto la
spiegazione dei fatti, Matteo dirà che "Giuseppe, destatosi dal sonno..."
(v. 24). Non è semplicemente un sonno fisico, ma indica anche che Giuseppe adesso
è in grado di capire la verità di quella situazione gravemente imbarazzante,
quasi a dire che se la storia della salvezza non viene colta attraverso lo
sguardo della fede, diventa per l'uomo irraggiungibile, anzi un motivo di
scandalo. Solo lo sguardo della fede, illuminata dalla rivelazione, fa entrare l'uomo
nel mistero e lo fa diventare protagonista e collaboratore di Dio.
Quindi, lo Spirito Santo stesso produce in Maria una nuova
umanità, così come era avvenuto agli inizi della storia umana, quando Dio
"soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo divenne un’anima vivente"
(Gen. 2:7). Ci troviamo, pertanto, in presenza di una nuova creazione, di una
nuova genesi. L'uomo che ne uscirà, sarà legato alla stessa vita di Dio, e la
condivide al punto tale che i due saranno una cosa sola.
Matteo 1:19 E Giuseppe, suo marito, essendo uomo
giusto e non volendo esporla ad infamia, si propose di lasciarla occultamente.
Quando si giunge a questo versetto,
ognuno si sente autorizzato a entrare nella mente di Giuseppe, prenderne il
posto, per riflettere nel testo i propri pensieri, le proprie congetture, le
proprie fantasie.
Giuseppe è qui definito "uomo giusto", dikaios; e in questo versetto si
esprime il dramma di Giuseppe, che è il dramma di ogni giusto. A cosa allude esattamente questa giustizia? Certamente non
al fatto che egli ha deciso tra sé di non esporre Maria a un qualche giudizio,
con possibili conseguenze tragiche per lei; né al fatto di volerla ripudiare
segretamente.
Il "giusto", biblicamente, è colui che mette
in pratica fedelmente la Torah. La religione ebraica, infatti, è la religione
dell'ortoprassi, la corretta esecuzione di ciò che Dio comanda, senza voler
prima comprendere, indagare. È significativo, in tal senso, quanto il popolo
risponde a Mosè: "E tutto il
popolo rispose concordemente e disse: Noi faremo tutto quello che l'Eterno ha
detto" (Es. 19:8). Il comandamento di Dio è
una volontà che va soltanto eseguita. Giusto è colui, quindi, che sa
conformarsi ed eseguire fedelmente quanto la Torah comanda. Ma in questo caso
Giuseppe non applica la Torah, la quale richiederebbe il ripudio, il divorzio,
ed eventualmente la lapidazione.
Allora in che
senso Giuseppe è giusto? Secondo una
certa interpretazione, si dice che Giuseppe non voleva giungere al punto di far
lapidare Maria, ma si sarebbe comunque sentito in obbligo di accusare Maria
davanti ai rappresentanti della Legge. Questa è l’interpretazione puramente
legale della parola "giusto", che considera come "giusto" solo ciò che rientra nell’osservanza stretta
della Legge.
Secondo un’altra
interpretazione, "giusto" dovrebbe essere inteso nel senso di "buono":
Giuseppe ha dei sospetti, ma è un uomo "buono", ha un "cuore
buono", non farà una sceneggiata e si separerà
da Maria in silenzio. Ma dikaios non
ha mai il significato di "buono".
In realtà, "giusto"
ha il senso tipico di Matteo, cioè accettazione del piano di Dio per quanto
sconcertante possa essere. Se leggiamo in successione i due versetti (18 e 19)
e mettiamo in evidenza le verità in essi contenute, e leggiamo senza pregiudizi:
Il testo dice che:
-
Maria
e Giuseppe erano promessi sposi.
-
Non
erano andati ancora a vivere insieme.
-
Ognuno
viveva nella sua propria casa.
-
In
questo frattempo Maria si trovò incinta per opera dello Spirito Santo (v. 18).
-
Giuseppe
è uomo giusto.
-
Giuseppe
è suo sposo.
-
Giuseppe
non vuole ripudiarla.
-
Giuseppe
decide di lasciarla in segreto (v. 19).
Nel testo non si dice altro, ma possiamo
dedurre che: Giuseppe essendo uomo giusto, dall’altezza della sua giustizia
pensa solo il bene. Giuseppe non pensa al suo bene.
Giuseppe era stato messo al
corrente della gravidanza miracolosa da parte di Maria, questa era una cosa
doverosa. Era del tutto normale che Maria si fosse preoccupata di informare
Giuseppe di ciò che era successo. Giuseppe, uomo "giusto",
non vuole interferire nell’azione misteriosa di Dio e neppure si ritiene degno.
Perciò intende mettersi in disparte. Giuseppe vede Dio all’opera, e
pensa che sia necessario che lui si ritiri. È allora per rispetto, per timore
religioso davanti al mistero di Dio, che Giuseppe vuole ritirarsi. Cioè non è
che lui voglia rimandare indietro Maria perché ha dei sospetti, sarebbe strano.
È semplicemente per rispetto: Non mi riguarda, non voglio entrarci di mezzo. È
troppo grande.
L’uomo "giusto" è colui che si ritira rispettosamente davanti
all’intervento di Dio. Questa reazione è anche quella dei "giusti"
dell’Antico Testamento: quella di Mosè al momento della teofania sul monte
Sinai; quella del profeta Geremia quando viene chiamato da Dio, e quella di
altri ancora. Quando Dio si manifesta e interviene nella storia dell’uomo, il "giusto"
indietreggia rispettosamente davanti alla maestà di Dio.
Non volendo esporla ad infamia, traduce
il verbo greco deigmatìsai, un verbo
molto raro. Per cui si trovano traduzioni e interpretazioni divergenti: "non voleva diffamarla";
"non voleva denunciarla pubblicamente"; "non
voleva esporla al pubblico ludibrio", tutte versioni
che sembrano implicare che Giuseppe considerasse Maria colpevole.
La questione è di sapere se questo raro verbo greco deve avere un significato
peggiorativo o no. In uno dei suoi scritti, Eusebio di Cesarea osserva che deigmatisai significa semplicemente: "far conoscere", "portare
alla luce". Una cosa che non è conosciuta
e che viene in seguito rivelata può essere buona o cattiva, edificante o
vergognosa; ma la parola in sé significa "esporre,
o proporre come esempio", "apparire", "mostrare".
Quindi Giuseppe non vuole esporre il fatto, non vuole farlo apparire, non vuole
mostrarlo pubblicamente.
Si propose di lasciarla traduce il greco
apolysai, che rimanda al senso di "liberare",
"sciogliere",
"prosciogliere".
Quindi può significare semplicemente "lasciar
libero", "lasciar
andare", ma può avere anche il senso di "sciogliere, rompere i legami matrimoniali". Potrebbe dunque – secondo alcuni –
significare "ripudiare", "divorziare". Nel contesto di Mat. 1:19 bisognerebbe
quindi interpretarlo come se Giuseppe volesse consegnare a Maria un attestato di
ripudio da sottoporre al tribunale in vista di ottenere il divorzio? Giuseppe
avrebbe quindi voluto sciogliere il suo matrimonio con Maria? Ma questa è
un’interpretazione secondo la linea dura. Tecnicamente parlando, la parola può
significare "divorziare" soltanto con una certa forzatura. Ma siccome il
divorzio è un atto pubblico, fatto davanti a dei testimoni, e qui il verbo è
accompagnato dall’avverbio lathra "segretamente, occultamente", un atto pubblico non si può fare in segreto.
"Giuseppe, suo sposo, che era giusto e non
voleva esporla, decise di separarsi da lei in segreto". Se noi leggiamo il versetto in questa
prospettiva, esso cambia completamente tono. Giuseppe non poteva dire in
pubblico ciò che Maria gli aveva rivelato in confidenza, doveva conservarlo nel
suo cuore come un segreto prezioso. Ma lui, cosa doveva fare? Pieno di timore
religioso davanti al mistero che si è compiuto in Maria sua sposa, Giuseppe non
vede in questo momento nessun’altra via d’uscita che quella di ritirarsi
discretamente. Se interpretiamo il versetto in questo modo, allora le ultime
parole diventano molto belle: "Decise di
separarsi da lei in segreto".
Dunque l’idea stessa di una
denuncia svanisce completamente. L’ottica è radicalmente rovesciata. Pieno di
rispetto per Maria, nella quale lo Spirito Santo aveva realizzato cose così
grandi, Giuseppe è pronto a cederla totalmente a Dio.
Altre
interpretazioni partono da presupposti del tipo che Giuseppe non fosse stato
informato del concepimento verginale di Maria. Essendo giusto, non poteva in
coscienza convivere con una peccatrice, in contrasto con la legge del Signore.
È questa l’ipotesi tradizionale, ma che non tiene conto dell’intento
cristologico e non storiografico dell’evangelista. Quindi due direzioni opposte
sono possibili nell’interpretazione: una severa e un’altra più moderata.
Fin dall’inizio le dicerie su
Gesù e sulla sua famiglia, sia nell’ambiente giudaico, sia in ambiente pagano,
erano enormi. Sentiamo cosa scrive Celso, un filosofo del III secolo, di Gesù:
"Di
essere nato da una vergine te lo sei inventato tu, tu sei nato in un villaggio
della Giudea da una donna del posto, una povera filatrice a giornata. Questa fu
scacciata dal marito, di professione carpentiere, per comprovato adulterio.
Ripudiata dal marito e ridotta a un ignominioso vagabondaggio, clandestinamente
ti partorì da un soldato di nome Pantera".
Questa è una tra le tante dicerie che viene riportata anche nel
Talmud.
Dobbiamo aprirci a qualcosa di
molto più grande di quanto noi possiamo fare o meritare. È la stessa verginità
di Maria che deve avere ogni credente, il che vuol dire essere disposti ad
accogliere qualcosa di infinito. Solo così possiamo ricevere il dono di Dio.
Perché Maria ha concepito il Verbo di Dio? Semplicemente perché essendo umile,
sapendo di non meritarlo, non dice: non lo merito e quindi lo rifiuto, ma
essendo umile dice: lo ricevo come dono.
L’umile
desidera Dio, mentre l’orgoglioso desidera qualche cosa che può fare lui.
Paradossalmente sarebbe l’orgoglioso ad essere giusto perché conosce i suoi
limiti, i suoi doveri, i suoi obblighi; visto che è giusto si ferma lì: Io mi
conosco, so qual è il mio limite e mi fermo. E Giuseppe fa questo ragionamento.
Questa cosa è troppo grande per me, non è per me, quindi resto fuori dal dono
di Dio. Sarebbe come se vai a lavorare un’ora e ti danno cinque milioni, dici:
no, non è giusto. Così è della grazia: richiede umiltà per accettarla.
Pensate se Maria quando l’angelo
le disse che il Signore è con te, tu concepirai un figlio, Maria avesse risposto:
forse ti stai sbagliando, io non sono degna vai da un altra. Noi diciamo spesso
così! Vuol dire che la Parola non è radicata in noi per questo nostro senso di
indegnità che non viene da Dio. Dio non dà il senso di indegnità, dà il senso
di umiltà e ti accoglie affinché tu possa accogliere il dono. Quindi si entra
nel vangelo con questa apertura d’animo ad accogliere l’impossibile, perché il
dono che Dio ci dà è impossibile, è Sé stesso.
Matteo 1:20 Ma mentre aveva queste cose nell'animo,
ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: Giuseppe, figlio
di Davide, non temere di prendere con te Maria tua moglie; perché ciò che in
lei è generato, è dallo Spirito Santo.
Matteo 1:21 Ed ella partorirà un figlio, e tu gli
porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati.
"Ma mentre aveva
queste cose nell’animo, ecco che un angelo del Signore gli apparve".
In queste due espressioni è racchiusa la contrapposizione di due mondi: quello
umano, che ragiona secondo ciò che vede e tocca e tira le sue apparentemente
giuste e logiche conclusioni, ma che non sa andare oltre; e quello divino, che
irrompe all'improvviso nelle vicende umane e le illumina con una nuova
comprensione. Giuseppe stava
pensando a queste cose. Dentro si rimugina, Giuseppe non aveva preso alcuna
decisione, come faccio sbaglio forse pensava. Però la devo prendere questa
decisione, non ho altra alternativa. La giustizia di Giuseppe si rivela anche
come grande prudenza. La prudenza è valutazione, riflessione, attesa, non
fretta, preghiera, consiglio.
Pensa a queste
cose, gli appare un angelo.
Quel „doÝ ("ecco") dice dell'aprirsi di uno
scenario nuovo e inaspettato, che sovrasta la dimensione umana e la costringe
ad adeguarsi alla realtà di Dio. Solo ora comprendiamo bene perché Matteo ha
definito "giusto" Giuseppe, poiché egli è pronto a mettersi da
parte per fare spazio a Dio; pronto a ubbidire.
Quel "mentre aveva queste cose nell’animo"
dice come l'irrompere del divino nelle vicende umane avviene nel "mentre",
cioè nel compiersi della vita quotidiana. È Dio che si insinua nelle pieghe
della storia umana. Ma perché l'incontro possa portare frutto è necessario
essere "giusti", cioè aver creato in sé una sensibilità alle
cose di Dio, predisponendoci alla collaborazione.
Ed ecco che il sogno, secondo la tradizione biblica,
diventa il naturale luogo d'incontro tra i due mondi, la sede della rivelazione
e della comunicazione del divino.
Non temere dice l’angelo a Giuseppe. Dio dà coraggio, forza. Non temere di prendere. Dio si
vuole donare: non temere ad accettare. Non
temere di prendere con te Maria tua moglie, perché ciò che in lei è generato, è
dallo Spirito Santo. Perché queste parole, "non temere",
per parlare della coabitazione dei due sposi? Le stesse parole furono dette a
Maria nel momento dell’Annuncio: «Non
temere, Maria...» (Luca 1:30). Questa esortazione, nella Bibbia, ha un
profondo significato. Si tratta del "santo
timore" che l’uomo prova quando c’è una rivelazione
della presenza di Dio.
Il timore di
Giuseppe è dovuto all’azione di Dio nei confronti di Maria. Se ammettiamo come
dovremmo che Giuseppe era al corrente della concezione verginale, allora
possiamo capire il suo "dubbio": cosa devo fare in questa situazione piena di
mistero? Per "timore" davanti all’azione di Dio nei confronti della
sua sposa, egli è pronto a ritirarsi con rispetto, in segreto.
Questo perché
agli occhi di Giuseppe la concezione verginale di Maria era un ostacolo alla
sua coabitazione con lei. Per questo l’angelo viene a rispondere alla sua
difficoltà, dandogli un ordine da parte di Dio: senza dubbio, il bambino che è
stato concepito nel grembo di Maria viene dallo Spirito Santo; nonostante
questo, lui, Giuseppe, deve prendere con sé Maria sua sposa, deve andare ad
abitare insieme con lei e accettare il suo compito di sposo e di padre.
La generazione per opera dello Spirito
Santo esclude ogni allusione a una ipotetica partenogenesi, che, secondo
qualche critico, l’evangelista avrebbe derivato dalla letteratura ellenistica.
Si tratta di un atto generativo, ma non nel senso di accoppiamento di una
divinità con una donna come nel mondo pagano, ma di un intervento prodigioso,
di un vero atto creativo da parte dello Spirito Santo.
Prendi questo
che ti viene da Maria, prendilo con te, il Cristo vuole essere con te. In
realtà non prendi lui, ma prendi Maria tua moglie, cioè il Cristo ce l’hai
prendendo Maria.
E questa se
volete è una costante: la fede si trasmette attraverso gli apostoli, attraverso
quelli che l’hanno presa, noi la fede prendiamo da loro. Ed è necessario
proprio che noi il Messia lo prendiamo da Maria, dalla Chiesa, da chi ha
creduto prima di noi, se no, vuol dire che noi ce lo inventiamo, allora non è
Cristo. Non crediamo nel Cristo storico che ha assunto la carne in Maria. Così
anche il resto, se noi, non lo prendiamo con Maria, cioè con la Chiesa, non
prendiamo Cristo, perché se scarti i fratelli che sono venuti prima di te
scarti Lui; ma scarti anche te.
Quel che nasce
in Maria non è opera d’uomo, è opera di Dio. La stessa Maria è la prima che lo
prende come opera di Dio, non come opera sua. E di fatti la prima eresia è
proprio quella di staccare Cristo da Maria; che poi corrisponde a quella di
staccarla dal corpo di Cristo. Così il cristianesimo viene ridotto a ideologia,
a illuminazione personale, a misticismo, a tutto quel che volete, ma questo non
è più cristianesimo.
In Maria si sta compiendo un grande
prodigio. È un prodigio inaudito, mai avvenuto nella storia umana. Solo lei ha
concepito per opera dello Spirito Santo, nessuna altra donna al mondo. A questo
figlio che la Vergine
Maria partorirà, Giuseppe dovrà dare il nome. Lo dovrà
chiamare Gesù. Dando il nome, Giuseppe riconosce Gesù come suo figlio. Porre il
nome significa conferire la paternità legale, e con questo atto Gesù viene
inserito nella discendenza di Abramo e di Davide.
Giuseppe fa del figlio della Vergine
Maria un suo vero figlio, anche se non viene dalla sua natura, e accogliendolo
come figlio, è come se fosse nato anche da lui. Anche questa è la grandezza di
Giuseppe: fa del Figlio di Dio il suo proprio figlio. In un certo senso
Giuseppe è vera immagine di Dio nei confronti nostri. Dio Padre ci fa suoi
figli, anche se non veniamo dalla sua natura.
Giuseppe è colui che dà la discendenza davidica a Gesù,
mentre Maria, in quanto moglie e madre, dà l'umanità a Gesù. Maria è il luogo dell'inserimento
di Dio nella storia dell'uomo, definendo in tal modo Maria come Madre di Dio.
In Maria nasce un principio fondamentale: come Maria, investita dallo Spirito
Santo, concepisce Gesù e genera Dio al mondo, così ogni credente, rivestito
dello Spirito promesso, diventa il luogo in cui Dio viene concepito. In questo
modo Dio continua il suo cammino nella storia, incontrando gli uomini di ogni generazione,
offrendo ad essi la sua salvezza, tramite la comunità credente, la Chiesa.
Maria ha il compito di generare; Giuseppe quello di dare un
nome. Essi hanno il compito di portare a compimento un progetto concepito
altrove. Essi sono degli umili, ma nello stesso tempo indispensabili,
collaboratori di Dio.
Significativa, poi, è la motivazione del nome:
"perché è lui che salverà il suo
popolo dai loro peccati". Dio salva. Chi è Dio per noi? È Gesù, cioè
colui che ci salva dal peccato. Il fatto che il nome Gesù significa "Dio salva",
è la realizzazione di un’attesa profetica: io
perdonerò la loro iniquità, e non mi ricorderò più del loro peccato (Ger.
31:34).
L'evangelista indica subito in cosa consiste l'opera
messianica di Gesù. Egli non è venuto a liberare il suo popolo dalla servitù
dei Romani, come falsamente pensavano i Giudei avrebbe dovuto fare il Messia; ma
è venuto per distruggere il peccato e fondare un regno non politico e
temporale, ma spirituale ed eterno.
Matteo 1:22 Or tutto ciò avvenne, affinché si
adempiesse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Matteo 1:23 Ecco, la vergine sarà incinta e
partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele, che, interpretato,
vuol dire: «Iddio con noi».
Ultimato il racconto dei fatti, Matteo, ora, spinge il
lettore a interpretarli con il ricorso alle Scritture.
"Or tutto ciò avvenne". Ci sono degli
eventi che sono accaduti, ma questo loro accadere non è casuale, non è
un fatto fortuito, un imprevisto, ma è il compimento di ciò che è detto nella
Scrittura. Essi hanno un significato che va colto e
che viene denunciato da quel "affinché". Sono avvenimenti,
quindi, che hanno una dinamica che li spinge ad evolversi fino a che si "adempiono".
Il verbo che lo esprime è posto da Matteo al passivo, "affinché si
adempisse". Si tratta di un passivo teologico o divino, che rimanda
all'azione stessa di Dio. Dunque, questi avvenimenti sono il realizzarsi di un
progetto divino, che già era stato preannunciato dalle Scritture. Sono
l’adempimento di una Parola annunciata nel passato che ora si compie. La nascita di Gesù è, pertanto, letta da Matteo come un
evento storico, che ha radici lontane e che ora si adempie.
La profezia citata da Matteo è presa da Is. 7:14: Perciò il Signore stesso vi darà un segno:
Ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio, e gli porrà nome Emmanuele.
Nel contesto storico di Isaia, la "giovane"
si riferiva alla moglie del re Achaz, quindi nulla di strano! Il timore
espresso sia da Isaia che da Achaz, era che la dinastia davidica, a cui Achaz
apparteneva, venisse distrutta e sostituita, secondo i propositi di Retsin e
Pekah, da un loro fedele alleato, il figlio di Tabbeel (Is. 7:6), di origine
aramea.
Allora si comprende come il segno sia una inequivocabile
risposta ai timori di Achaz: Dio avrebbe dato un figlio maschio, che avrebbe
garantito il proseguo della dinastia davidica, il cui nome, molto
significativo, sarebbe stato "Emmanuele". Tale nome era una
sorta di garanzia divina: la dinastia davidica, di cui Achaz era il
rappresentante regale del tempo, sarebbe continuata per volere divino, e
segno di tale volere era il fanciullo dal nome che indicava lo schierarsi di
Dio a favore del suo popolo e della sua promessa: "Dio con noi".
Matteo rilegge la profezia di Isaia in chiave cristologica,
per spiegare l’origine divina di Gesù, e la riferisce al suo concepimento
verginale. Matteo ha usato la parola parthenos,
"vergine", a
sottolineare l'integrità fisica di Maria. Il concepimento di Gesù è
avvenuto senza l'intervento umano, poiché le sorti di Gesù e dell'intera storia
della salvezza non sono nelle mani degli uomini, ma di Dio.
Matteo specifica il significato del nome "Emmanuele",
rivelando in tal modo il suo modo di intendere quel bambino: egli è Dio, che,
per mezzo di Maria, è giunto fino a noi; e, quindi, è il "Dio con noi".
Due sono i nomi: lo chiamerà Gesù,
è il suo nome personale, vuol dire Dio salva. E sarà chiamato Emmanuele. Emmanuele è il nome più bello
di Dio, perché Dio nella sua essenza che è amore, si manifesta in nostra
compagnia: Dio con noi. Dio come compagnia, come comunione, come amore: è il
Dio-con-noi. È quel Gesù stesso che alla fine del Vangelo di Matteo dice: Io sono con voi tutti i giorni, sino alla
fine dell’età presente.
Dio non è con noi, rimanendo fuori di
noi. È con noi, ma in noi. È con noi, ma facendosi carne come noi. È Dio con
noi perché ora è nostra carne e nostro sangue, nostra storia e nostra vita.
Alla tentazione dell’uomo di volersi fare come Dio, Dio risponde con il farsi
Lui come noi. È il capovolgimento di tutta la storia dell’uomo. Con
l’Incarnazione del Verbo eterno, del Figlio Unigenito del Padre, viene
ribaltata la nostra esistenza. È come se fosse messa sottosopra.
Matteo, qui, sta mettendo le premesse all'intero suo Vangelo
e sta costruendo, pezzo per pezzo, l'identità di Gesù, così che si possa
leggere correttamente, senza fraintendimenti, quello che scriverà: Gesù è il
Dio che cammina in mezzo a noi ed è venuto a condividere la nostra sorte,
mostrando tutta la sua solidarietà verso l'uomo decaduto. Questo è
il grande tema del suo scritto. E che questa sia la sua intenzione
lo sta a dimostrare il finale stesso del vangelo: "Ecco, io sono con
voi tutti i giorni fino alla fine dell’età presente" (28:20), che
forma con 1:23 una grande inclusione, che abbraccia l'intero vangelo di Matteo,
fornendogli una sorta di chiave di lettura.
Matteo 1:24 E Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come
l'angelo del Signore gli aveva comandato, e prese con sé sua moglie;
Matteo 1:25 e non la conobbe finch'ella non ebbe
partorito un figlio; e gli pose nome Gesù.
Giuseppe "fece come
l’angelo del Signore gli aveva comandato". Per questo Giuseppe viene
definito "uomo giusto", perché è uomo che si conforma al
volere divino. Fece come gli
aveva ordinato l’angelo del Signore, e poi si ripete cosa gli aveva ordinato:
prese con sé sua moglie. Cioè è il perfetto esecutore della Parola che è il
tema fondamentale di Matteo: ascoltare la Parola, vivere la Parola, eseguire la
Parola. Se Giuseppe non avesse ascoltato la voce di Dio, per tramite dell’angelo,
non sarebbe stato più uomo giusto. Sarebbe stato semplicemente un disobbediente
a Dio e nella disobbedienza non c’è più giustizia.
Chi vuole essere giusto deve essere veramente
libero. Un uomo ancorato ai suoi propri pensieri, alle sue personali leggi
anche di santità, mai potrà dirsi uomo giusto. Un uomo è giusto quando solo il
Signore è il Re che dirige la sua vita, nei suoi più piccoli atti, nelle più
insignificanti delle decisioni. La giustizia perfetta è obbedienza perfetta. L’obbedienza
è l’ascolto della voce di Dio, non della voce del proprio cuore. Secondo questi
principi, o regole della perfetta giustizia è assai facile passare dalla
giustizia all’ingiustizia, perché è facile rinchiudersi nel proprio cuore e
pensare che il cuore sia legge di verità e di giustizia.
Risuonano nelle parole dell'evangelista il giuramento del
popolo ebraico ai piedi del Sinai: "... Noi faremo tutto quello che l'Eterno ha detto'" (Es. 19:8). Gesù, quindi, sembra essere per Matteo
il nuovo Sinai in cui Dio e l'uomo si incontrano nuovamente per celebrare il
nuovo ed eterno patto. Per Matteo, Gesù è il compiersi delle Scritture, e le
costanti citazioni delle Scritture, che caratterizza il suo racconto, lo sta a
testimoniare.
Posta in questo contesto, la figura di Giuseppe, che "fece
come l’angelo del Signore gli aveva comandato" diventa, in qualche
modo, la figura del nuovo e ideale Israele, che nel suo conformarsi alla
volontà divina, diventa lo specchio della nuova comunità credente.
L’angelo gli
aveva detto di prender Maria sua moglie, che gli avrebbe partorito un figlio,
che lo avrebbe chiamato Gesù. Lui cosa fa? Prende con sé Maria sua moglie, che
le partorisce un figlio e lo chiama Gesù. Giuseppe fa puntualmente tutto quel
che gli viene detto. Diventa anche lui come Maria. A questo figlio è Giuseppe
che dà il nome. Giuseppe lo elegge a figlio. Eleggendolo lo ama, lo cura, lo
nutre, lo fa crescere come suo vero figlio.
È
l’atteggiamento del credente; è l’atteggiamento di Abramo che diventa figlio di
Dio; è l’atteggiamento di Maria che diventa madre di Dio; è l’atteggiamento di
ciascuno di noi che diventiamo figli di Dio ascoltando la Parola e diventiamo
come Maria, cioè madre, generiamo il Verbo nella nostra vita.
Quindi questo
racconto ci spiega qual è il nostro atteggiamento fondamentale di fede nei
confronti del dono che riceviamo: non temere, prendilo! È già stato fatto il
dono: duemila anni fa a Maria, da lì fu accolto da Giuseppe, dagli apostoli,
dalla Chiesa e dalla Chiesa adesso chiunque vuole non deve temere di prendere
questo dono attraverso Maria.
L’evangelista esclude qualunque rapporto tra Giuseppe e
Maria, con la quale non ebbe rapporti sessuali finché partorì un figlio che
chiamò Gesù: fino a che Gesù non è stato partorito, Matteo esclude
categoricamente qualunque tipo
di rapporto tra
marito e moglie.
Però, quel finché può indicare
dopo, o in greco, mai. In 2Sam. 6:23 sulla moglie di
Davide si legge: E Mical, figlia
di Saul, non ebbe figli fino al giorno della sua morte. Il termine greco finché
(o fino a), può significare o mai o dopo. Nel testo che abbiamo citato, evidentemente Mical non ha
avuto figli dopo la morte e significa mai.
Che Maria sia rimasta vergine anche dopo il parto, è una verità
che si ha dalla tradizione dei Padri (Ignazio, Giustino, Ireneo, ecc.) e dall’autorità
della Chiesa. L'evangelista non scrive la vita di Maria, ma quella di Gesù;
quindi gli basta affermare esplicitamente la nascita soprannaturale del
Salvatore.