mercoledì 23 settembre 2020

L'O.N.U.

 

Non vi è stata alcuna potenza mondiale dopo la caduta dell'impero romano. Ora, il meccanismo per un nuovo governo mondiale anti-Dio è stato istituito nella forma delle Nazioni Unite.

I nuovi Cesari del mondo del denaro, del potere industriale, economico e politico, sono i banchieri internazionali, i veri creatori di uno strumento per il potere mondiale.

Le Nazioni Unite, con sede a New York, sono un'assemblea senza Dio. Il suo unico emblema religioso è la statua nuda dell'uomo che trasforma la spada in vomere, ma in realtà è Vulcano (o Efesto in greco), il dio della metallurgia, figlio di Zeus e di Hera, il Tubalkain biblico (Gen. 4:22).


È molto interessante la leggenda greca che vede Efesto concepito solo da sua madre Hera senza il concorso di Zeus (una sorta di nascita verginale ad imitazione di quella di Gesù Cristo). Appena lo vide, Hera lo lanciò dall'Olimpo facendolo cadere giù, causando in lui una deformità e non fu riconosciuto come dio, ma grazie a uno stratagemma riusci a farsi riconoscere come dio.

Lo sviluppo del governo mondiale di "Babilonia"

Nella Bibbia, la parola Babilonia è usata per simboleggiare tutto ciò che è osceno e pagano. Le maledizioni su Babilonia di Isaia 13-14 e Geremia 50-51 non si riferiscono solo all'impero babilonese dei tempi antichi, ma anche a una futura potenza mondiale dei tempi della fine.

In Apocalisse leggiamo: "I primi cinque sono caduti, ne resta uno ancora in vita, l'altro non è ancora venuto e quando sarà venuto, dovrà rimanere per poco" (Apoc. 17:10) Cinque regni erano caduti: Egitto, Assiria, Babilonia, Medo-Persia, Grecia. Roma era allora al potere. Un altro regno deve ancora venire. Babilonia cavalca (agisce per mezzo di) una bestia con dieci corna, che sono dieci re che regneranno per breve tempo - "un'ora". La prostituta "regna su tutti i re della terra" (Apoc. 17:18) e ha il controllo del commercio e dell'industria (Apoc. 18:11).

Le parole dell'Apocalisse contro Babilonia, dopo oltre 600 anni dalla caduta dell'impero babilonese, devono necessariamente riferirsi a un futuro governo mondiale controllato da un regime dalla mentalità di prostituta babilonese, anti-Dio e anti-cristico.

Le dieci parti componenti questo governo mondiale che fanno guerra all'Agnello, come riportato in Apoc. 17:12-14, così come la profezia dell'anti-Cristo satanico, corrispondono alla profezia di Dan. 7:24.

Così Geremia descrive gli eventi finali:

"Ora, quando avrai finito di leggere questo rotolo, vi legherai una pietra e lo getterai in mezzo all'Eufrate dicendo: Così affonderà Babilonia e non risorgerà più dalla sventura che io le farò piombare addosso. Fin qui le parole di Geremia" (Ger. 51:63,64).


E l'Apocalisse, dopo aver profetizzato la caduta della potenza mondiale babilonese anticristica gestita da uomini ricchi, dice:

"Un angelo possente prese allora una pietra grande come una mola, e la gettò nel mare esclamando:

Con la stessa violenza sarà precipitata Babilonia, la grande città e più non riapparirà … Perché i tuoi mercanti erano i grandi della terra; perché tutte le nazioni dalle tue malìe furon sedotte" (Apoc. 18:21,23).

Isaia, nel 712 a.C., predisse la caduta della potenza mondiale babilonese con parole simili a quelle dell'Apocalisse. La donna malvagia babilonese deve cadere "nonostante la moltitudine delle tue magie, la forza dei tuoi molti scongiuri" (Is. 47:9).

Quindi l'ultimo verso, sulla prostituta babilonese:

"In essa fu trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti coloro che furono uccisi sulla terra" (Apoc. 18:24).

In Matteo 23, quando Gesù Cristo si trovò di fronte ai farisei faccia a faccia, disse:

" e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. Ebbene, colmate la misura dei vostri padri! Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna? Perciò ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città; perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra ..." (Mat. 23:31-35).

Il regno "messianico" ebraico

Sebbene una parte della comunità ebraica cerchi un "Signore della Guerra" che metta gli ebrei sul trono del mondo, la visione di maggioranza dell'ebraismo è che il popolo ebraico è egli stesso il Messia e dunque ha il diritto di essere collettivamente il regno "messianico". 

Un passaggio del Talmud recita:

"Un Min [cristiano] ha detto a Rabbi Abbahu: 'Quando verrà il Messia?' Ha risposto: 'Quando l'oscurità copre quel popolo' - Alludendo all'interrogante e ai suoi compagni".

Per quanto riguarda "l'oscurità":

“Il gallo ha detto al pipistrello: 'Attendo con ansia la luce, perché ho la vista; ma a che serve la luce a te"?

E tutto questo è spiegato:

"Quindi Israele dovrebbe sperare nella redenzione, perché sarà un giorno di luce, ma perché i gentili dovrebbero sperare, dato che per loro sarà un giorno di oscurità?" (Sanedrin 98b-99a).

Il Talmud delinea il posto da dare ai non farisei (chiamati "Cananei") in questo mondo "messianico" del futuro. Gli ebrei sepolti in Israele saranno "risuscitati" e i non farisei avranno il loro posto "come persone che sono come asini - schiavi considerati proprietà del padrone". Un versetto biblico su Abramo che sale sul monte Moriah e dice ai suoi servi di "rimanere con l'asino" e che sarebbe tornato da loro (Gen. 22:5), viene interpretato nel senso che i non ebrei sono "asini - schiavi considerati proprietà del padrone" (Sanedrin 44b-45a).






martedì 15 settembre 2020

GALATI E LEGGE DI MOSE'


Galati 6:15 Poiché tanto la circoncisione che l'incirconcisione non sono nulla; quel che importa è l'essere una nuova creatura.

Di fronte alla croce e alla vita nuova, tutte le grandi differenze religiose, circoncisione, incirconcisione, sono niente, sono indifferenti, perché la vera differenza sta nel fatto che diventiamo uomini nuovi attraverso l'amore di Dio rivelato sulla croce; quindi la vera differenza è in questa creatura nuova.

Le cose che appartengono al mondo vecchio hanno perso tutto il loro valore e la loro importanza. Per mezzo del battesimo si ha la nuova creazione in Cristo (Gal. 3:27,28), nel quale le antiche vie di salvezza dell’umanità non hanno più valore alcuno. Quindi non ha più senso vantarsi di esse. L’unico oggetto di vanto legittimo ora è soltanto la croce di Gesù, per mezzo della quale il mondo è stato crocifisso, ossia è morto.

Di fronte alla croce di Cristo, che valore può avere, per la salvezza dell’uomo, il fatto di portare o no una piccola mutilazione corporale? Assolutamente nessuno. È una delle cose del mondo che per il credente sono morte. Ciò che importa è «l’essere una nuova creatura». Essere nati di nuovo, partecipare alla natura divina, vivere non più io, ma Cristo in me, essere riconciliati con Dio mediante il sangue della croce, ecco ciò che conta.

Nel nuovo ordine dì cose stabilito da Gesù Cristo, non ha alcun valore l'essere circonciso o incirconciso, perché queste distinzioni appartengono a quel mondo a cui i battezzati sono morti; l'unica cosa che ha valore è la nuova creazione, ossia l'elevazione dell'uomo allo stato di grazia, per cui è divenuto figlio adottivo di Dio ed erede del cielo. Allora tutte le altre differenze sono indifferenti; perciò il vero problema è un altro: siamo o non siamo uomini nuovi che vivono secondo lo Spirito?

Dalla croce, Gesù ha fatto sorgere una nuova creazione. La legge di Mosè è parte dell’antica creazione. Si affannino altri in inutili lotte e disquisizioni riguardo alla necessità o meno della circoncisione. Noi di Cristo siamo creature nuove: un altro è il nostro vanto.

Galati 6:16 E su quanti cammineranno secondo questa regola siano pace e misericordia, e così siano sull'Israele di Dio.

Paolo chiama regola il vantarsi della croce e l’essere creatura nuova generata dalla croce. La parola greca è kanon, «canone», cioè il regolo o la squadra che serve per tirare le linee dritte; la croce è la squadra, è la norma, è il criterio che ci serve per andare dritti, cioè la croce è il criterio di verità della vita cristiana, perché nella croce c’é la verità di Dio che mi ama infinitamente, ed è da questa verità che deriva tutto il resto, che divento uomo nuovo, uomo libero, uomo che conosce Dio, uomo che sa comportarsi di conseguenza; quindi è proprio questo il canone della vita.

"E su quanti cammineranno secondo questa regola siano pace e misericordia". Paolo invoca la pace, lo shalom, la benedizione messianica, cioè un profondo senso della riconciliazione con Dio, e misericordia, che cancella i falli, colma le lacune, conforta nelle necessità. La nostra pace viene dalla croce di Cristo, da lì ci viene ogni bene, Dio ci ha dato sé stesso, non può darci di più. E c’è pace su quelli che lo accettano.

I destinatari di questa promessa non sono solo i Galati, ma l’Israele di Dio, cioè i figli spirituali di Abrahamo che sono gli eredi delle promesse di Dio.

L'Israele di Dio, per opposizione all'Israele secondo la carne, è la Chiesa, che ha vita per la fede in Cristo, un popolo composto da credenti in Cristo, da circoncisi nel cuore, in grado di offrire il loro culto a Dio per mezzo dello Spirito, che si vantano in Cristo Gesù e non mettono la loro fiducia nella carne.

L’Israele secondo la carne, invece, si stava palesando sempre più avverso al vangelo e nemico della croce di Cristo. Altrove Paolo dirà: "non i figli della carne sono figli di Dio: ma i figli della promessa sono considerati come progenie" (Rom. 9:8), "poiché i veri circoncisi siamo noi, che offriamo il nostro culto per mezzo dello Spirito di Dio, che ci gloriamo in Cristo Gesù, e non ci confidiamo nella carne" (Fil. 3:3).

Paolo è molto secco in questa lettera perché gli preme di dire delle cose molto precise: sono l’essenza del vangelo, l’essenza della vita cristiana che era in pericolo presso i Galati a causa dei giudaizzanti, non era come presso altre comunità dove non era in pericolo l’essenza della vita cristiana; qui, invece, è in gioco proprio il nocciolo della vita cristiana e, allora, ci tiene a riaffermarlo con forza. Peraltro, che la croce sia il canone della nostra vita e che da questo canone derivi la pace è interessante, perché, allora, quando c’è inquietudine in noi è perché non seguiamo questo canone.

lunedì 14 settembre 2020

LA BOMBA ATOMICA


Nagasaki e Hiroshima erano le due città in cui vivevano i cattolici del Giappone; quindi, le prime due bombe atomiche degli Stati Uniti furono sganciate su queste due città, per uccidere la quasi totalità dei cattolici del Giappone! Questo fu un messaggio chiaro per Pio XII. E come si potevano realizzare gli obiettivi finali del piano Rothschild di “spopolare la terra” e “cancellare il vero nome di Dio dal lessico della vita”, con l'ostacolo di una Chiesa Cattolica che non rinunciava alla sua dottrina millenaria? La minaccia dell'uso della bomba atomica era l'arma di persuasione per incanalare la Chiesa cattolica verso il tradimento di Cristo e verso la sua completa rovina.

Herbert G. Wells, nel suo libro “Crux Ansata” propugnava apertamente la distruzione del Vaticano: «Perché non bombardiamo Roma? … Un bombardamento totale della capitale italiana sembra non solo auspicabile ma necessario».

Nel 1945, il conflitto armato in Europa era giunto al termine, ma le tattiche d'intimidazione violenta, esercitate dai nemici della Chiesa contro il Papa, non si fermarono con la fine della guerra. Molti fatti indicano che, già dal 1949, i poteri secolari tentavano di intimidire Papa Pio XII con la minaccia di una bomba nucleare sul Vaticano per forzare un cambiamento nell'insegnamento della Chiesa che ostacolava l'agenda dell'emergente Governo mondiale dell'Anticristo.

Avro Manhattan, lanciò una minaccia pubblica contro il papa: «La Chiesa cattolica s'intromette negli affari dei corpi politici (…). Le bombe atomiche, che in pochi secondi hanno spazzato Hiroshima e Nagasaki dalla faccia della terra (…) dovrebbero essere un monito per tutte quelle forze che si occupano del futuro dell'umanità (…). La Chiesa cattolica dovrebbe fare attenzione a questo avvertimento e, tenendo il passo con lo spirito del XX secolo, dovrebbe cercare di seguire una nuova strada».

Alice B. Bailey, l'ex alta sacerdotessa di quello che oggi è conosciuto come il “New Age”, nel 1957, un anno prima della morte di papa Pio XII, descrisse, senza mezzi termini, come le potenze mondiali hanno cercato di terrorizzare segretamente la Chiesa con le armi nucleari.

E questo serviva ad aprire la strada ad una “ONU” delle religioni mondiali come ingrediente necessario per favorire il “Nuovo Governo Mondiale”.

domenica 13 settembre 2020

IL PROFETA GEREMIA


Se si volesse con una parola presentare la verità principale che viene messa in evidenza nel Libro del profeta Geremia, essa non potrebbe essere che: “processo”. Non si tratta però di un processo così come comunemente avviene tra gli uomini: un’aula di tribunale, gli avvocati dell’accusa e della difesa, i testimoni, l’imputato, la giuria, il giudice, la sentenza, la pena. Dio non procede così. Il processo del Signore è singolare, anzi unico.

Il Signore ha osservato la condotta del suo popolo, che è di idolatria, immoralità, trasgressione della sua Parola, divorzio da Lui. Vede la sua sposa traditrice, infedele, che si è data a molti amanti, gli idoli. Per questi peccati la sua sposa merita la morte. Lui però non vuole la morte del peccatore. Vuole che il peccatore si converta e viva.

Cosa fa allora il Signore? Non manda zolfo e fuoco su Gerusalemme e sulle città di Giuda come fece con Sodoma e Gomorra. Manda invece il suo profeta, Geremia, perché dica al suo popolo tutti gli orrendi misfatti, invitando Gerusalemme e tutto il popolo di Giuda alla conversione, ritornando nella piena osservanza della Legge dell’alleanza, il cui primo comandamento condanna ogni forma di idolatria. Il profeta viene e svela al popolo tutti i suoi misfatti, i suoi orrendi peccati, i suoi molteplici tradimenti, il suo abbandono del Signore. Gli annuncia che per tutte queste nefandezze da esso commesse ci sarà la distruzione di Gerusalemme e di tutte le città di Giuda assieme a quattro flagelli che si abbatteranno sugli abitanti del paese: la fame, la peste, la spada, l’esilio. Tutti sono avvisati. La fine è questa.

Il popolo ritorna al suo Dio? Questi flagelli scompariranno. Il popolo non ritorna a Dio? Vi sarà in terra di Giuda devastazione, desolazione, distruzione, fuoco, peste, fame, spada, esilio. Lo stesso tempio di Gerusalemme, che è la gloria del regno, in quanto casa del Signore sulla terra, sarà profanato, incendiato, depredato. Di tutta la sua ricchezza nulla resterà. Ogni cosa sarà portata a Babilonia. Di esso resterà solo qualche rudere e così anche avverrà per Gerusalemme. Diverrà la città rifugio di sciacalli e altri animali selvatici. Tutto dipende dalla conversione, dal ritorno al Signore.

La logica del Signore è una. Essa è la stessa che troviamo all’origine del tempo e della storia, non appena l’uomo è stato creato: “Se ne mangi, muori”. Quello del Signore è un processo senza sentenza, poiché la sentenza è già stata pronunciata il giorno dell’Alleanza stipulata tra Lui e il suo popolo. La pena è già sentenziata così come anche il premio. Ma tutta la Scrittura procede per “latae sententiae”, per sentenza emessa nell’atto stesso di iniziare la vita, dopo il disastro degli inizi che ha portato la rovina nell’umanità.

Ma anche nel Vangelo troviamo la stessa logica. Tutti i giudizi e i processi a cui il Vangelo ci fa assistere, non sono forse tutti di “latae sententiae”? Non rivelano già quale sarà la nostra fine, qualora il patto non sia osservato? Non sappiamo che Gesù in persona, ci dirà: “Non vi conosco. Allontanatevi da me voi, operatori di iniquità?”. Ogni discorso di Gesù sul futuro dell’uomo non è forse un annuncio di ciò che avverrà domani se non ci si converte alla sua Parola e non si vive secondo norme e regole da Lui offerte all’uomo?

Dio sentenzia prima che la storia si compia, prima che le scelte vengano operate.

Pertanto, il processo che Dio fa al suo popolo nel libro di Geremia, non è un processo per emettere una sentenza. Essa è già stata emessa. È invece un processo per trovare un qualche motivo, una qualche ragione perché la sentenza venga revocata. Prove perché la sentenza venga revocata non ne esistono. Per questa ragione, il Signore chiama Geremia, lo costituisce profeta, lo manda in mezzo al suo popolo, perché sia lui a creare una prova che sia sufficiente per la non applicazione della sentenza di distruzione già emessa dal Signore al momento della stipula del patto dell’alleanza.

Così l’invio del profeta si rivela come atto di misericordia del Signore. Per la sua opera, il Dio d’Israele dovrà essere messo nelle condizioni di poter far grazia al suo popolo disobbediente, infedele, idolatra, trasgressore della giustizia.

Il profeta con la sua parola, il suo convincimento, anche lasciandosi perseguitare, insultare, condannare, incarcerare, deve impedire che la sentenza del Signore si compia. È questa la sua missione. Dio vigila sulla sua Parola. Il profeta deve impedire che il popolo perisca. Per questo Geremia è mandato. Se lui riuscirà a convertire il suo popolo, il Signore non potrà più applicare la sua sentenza, dovrà necessariamente perdonare, così come avvenne per il popolo di Ninive.

Purtroppo la missione di Geremia risulterà vana. Il popolo non solo non si converte, si ribella e si ostina nella sua idolatria, nella sua immoralità. La sentenza viene applicata, il popolo distrutto, Gerusalemme rasa al suolo, i suoi tesori presi e trasportati in Babilonia. Nel pieno fallimento della missione del suo profeta, il Signore rivela che Lui ha nel cuore di rifondare ogni cosa. Lui stipulerà una nuova alleanza. Nuova nelle forme, nei contenuti, nelle modalità, nuova nella sua verità, nuova in ogni cosa. Questa nuova alleanza darà all’uomo un cuore nuovo, nel quale il Signore ogni giorno scriverà la sua legge.

Questa rivelazione è l'apice di Dio. Dopo questa nuova alleanza, non vi è più altra rivelazione. Dio si ferma perché in essa dona tutto se stesso. Si dona nel Figlio fino alla morte, alla morte della croce.

Il Padre ha dato a Gesù Cristo dodici Apostoli e settanta discepoli. Cristo li ha formati, illuminati, ammaestrati sul suo mistero, dicendolo e mostrandolo compiuto sulla Croce e con la gloriosa risurrezione. Ha anche mandato lo Spirito Santo, come sorgente e fonte di nuova vita. Lo Spirito Santo, come Spirito di nuova creazione, è stato spirato sugli Apostoli, perché d’ora in poi siano essi a spirarlo sul mondo. Quanto ha fatto Cristo, dovrà operarlo ogni suo discepolo.

Essi ogni giorno dovranno chiedere al Padre che mandi degli operai nella sua messe. Se il cristiano non diviene strumento nelle mani del Signore, Dio dovrà vigilare perché la sentenza sia eseguita in ogni sua parte ed è l’inferno per i molti. Preghiamo e supplichiamo per la Chiesa, che in molti suoi figli è divenuta insipida, buona a nulla, perché riprenda la sua vera natura di sale e porti la Sapienza salvatrice e redentrice in questo mondo già condannato alla morte eterna.

venerdì 11 settembre 2020

LA DOMENICA


La domenica

La domenica cristiana nasce come memoriale della Risurrezione: il suo nome deriva infatti dal greco 

Kyriakē hemēra, «giorno del Kyrios», del Signore vittorioso ovvero Risorto, tradotto poi in latino con Dominicus o Dominica dies.

Si cominciò a celebrarla il primo giorno dopo il Sabato ebraico perché in esso il Risorto apparve ai discepoli per la prima volta. Sicché la riunione domenicale con la celebrazione eucaristica rievoca l'incontro dei primi credenti con il Cristo risorto nel quale si realizza in pienezza la parola di Gesù: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».

Gli Atti degli Apostoli (20:7) testimoniano che la domenica era già praticata al tempo dei viaggi di san Paolo: «Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane e Paolo... conversava con loro...».

La stretta unione fra la domenica e la risurrezione di Cristo è testimoniata dalla tradizione dei primi secoli. «Giorno della risurrezione del Signore» la definisce Tertulliano; Eusebio di Cesarea: «giorno della risurrezione salvifica del Cristo», e perciò, soggiunge, «ogni settimana, nella domenica del Salvatore, noi celebriamo la festa della nostra pasqua»; e san Girolamo: «La Domenica è il giorno della Risurrezione, è il giorno dei cristiani, è il nostro giorno».

Originariamente coesisteva con il sabato in alcune comunità che li osservavano entrambi, l'uno come memoria della creazione, l'altro della Risurrezione. Ma con la polemica contro i giudaizzanti di san Paolo «Nessuno dunque vi condanni più in fatto di cibo o di bevande, o riguardo a feste, a noviluni e a sabati; tutte queste cose sono ombre delle future, ma la realtà è invece Cristo» - le comunità di provenienza ellenistica non si sentirono più obbligate al riposo sabbatico né lo trasferirono alla domenica.

La pratica della domenica consisteva inizialmente nell'obbligo di pregare insieme con entusiasmo e nella celebrazione dell'eucaristia. «Questo pasto» scriveva san Giovanni Crisostomo «è un pasto di unione fraterna perché tutti vi prendono parte come al Signore stesso. Astenersi da questo pasto significa separarsi dal Signore: il pasto domenicale è quello che noi prendiamo in comune con il Signore e i fratelli».

La si festeggiava in due distinte riunioni, l'una all'alba, durante la quale si cantava un inno a Cristo e ci si impegnava con un giuramento alla pratica delle virtù morali; l'altra la sera, quando si consumava un pasto celebrandovi l'eucaristia. Queste notizie le ricaviamo da una lettera di Plinio il Giovane, procuratore di Bitinia nell'Asia Minore, indirizzata nel 112 all'imperatore Traiano. Plinio aggiunge che fece applicare l'ordine imperiale che proibiva i pasti collettivi. Sopprimendoli, si spinsero i cristiani a separare il sacramento eucaristico dall'agape, così che non si celebrò più l'eucaristia durante il pasto collettivo a imitazione dell'Ultima Cena.

Da quel momento, l'eucaristia fu celebrata al mattino dopo le preghiere cantate, gli insegnamenti e la confessione dei peccati. L'interdizione di Traiano avrebbe così contribuito alla costituzione essenziale della messa nelle sue due parti, la prima con la riunione di genere sinagogale, la seconda con il sacramento del pane e del vino.

Tuttavia, a partire dal secolo IV, per motivi non chiari, cominciò in alcuni gruppi un ritorno graduale alle usanze sabbatiche. In alcune comunità, a imitazione degli Ebioniti ebraico-cristiani, rimasti per tradizione rigidi osservanti della Legge mosaica, si celebrava il sabato con la domenica perché venivano considerati «due giorni fratelli», secondo la definizione di Gregorio di Nissa: il primo della creazione, il secondo della Risurrezione, ovvero della «seconda creazione».

Ma l'evento determinante fu la legge del 7 marzo 321 che imponeva l'obbligo civile del riposo nel «venerabile giorno del Sole» - così lo chiamava ancora Costantino - che fino ad allora era lavorativo per tutti. A partire da quella data e attraverso un processo che si sviluppò nel corso dei secoli la domenica ha assunto le caratteristiche attuali, con il duplice precetto di riposo festivo obbligatorio per i lavori detti un tempo «servili» e di partecipazione alla celebrazione eucaristica.

La messa domenicale può essere anticipata al sabato sera perché per la liturgia vige ancora la divisione antica del giorno, dall'Avemaria a un'altra, ovvero secondo la regola ebraica che il giorno va da “sera” a “sera”.

L'assunzione del riposo sabbatico nella domenica comportava logicamente anche l'assunzione del memoriale della creazione. D'altronde già Eusebio d'Alessandria aveva scritto: «in questo giorno che Dio ha cominciato le primizie della creazione del mondo e, nel medesimo giorno, Egli ha dato al mondo le primizie della risurrezione, principio della settimana». Sicché si considera giustamente la domenica come il giorno memoriale sia della prima che della seconda creazione (ricordiamo che Dio ha iniziato a creare nel primo giorno della settimana, cioè di domenica).

In essa infine è redento e illuminato anche il pagano «giorno del Sole» perché il Sole è un simbolo del Cristo, Luce che ha creato la luce all'inizio del mondo, ed è con la Risurrezione Sole di giustizia, Lumen gentium.

La domenica è dunque, analogamente allo Shabbat, memoria del passato, attuazione del presente e profezia del futuro. «Questo settimo giorno» scriveva sant'Agostino «sarà il nostro sabato la cui fine non sarà più una sera, ma una domenica come ottavo giorno che è consacrato alla risurrezione del Cristo; che prefigura il riposo non soltanto dello spirito ma anche del corpo. Là noi saremo liberi e vedremo; vedremo e ameremo; ameremo e loderemo. Ecco che cosa ci sarà alla fine senza fine».

domenica 6 settembre 2020

PENSIERO CRISTIANO E PENSIERO GRECO


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ensiero cristiano e pensiero greco - Le rivoluzione del cristianesimo


L’avvento del cristianesimo ha segnato una svolta irreversibile nel pensiero occidentale. In cosa consisteva la novità del cristianesimo e in che rapporto si è posto con il pensiero e la filosofia greca?
    
Un esempio è sufficiente a farci intendere il valore della rivoluzione culturale operata dal cristianesimo: il filosofo non credente Benedetto Croce, nel famoso saggio del 1942 Perché non possiamo non dirci cristiani, scrisse: «il Cristianesimo è stata la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuto (…) per la ragione (…) che la rivoluzione cristiana operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale e, conferendo risalto all’intimo e proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino ad allora era mancata all’umanità».

La religione cristiana consiste in una serie di credenze che l’uomo accetta in virtù di una “rivelazione”, ossia una verità testimoniata dall’alto, comunicata direttamente dalla Divinità.


La ricerca dei 
filosofi cristiani nasce da un’esigenza tutta interna alla religione cristiana: chiarire a se stessi e agli altri il significato più profondo della “Rivelazione”, avvicinarsi tramite la ragione a Dio e, dunque, ad una comprensione autentica della “Rivelazione” stessa.

La grandezza della 
filosofia cristiana consistette soprattutto nella sua capacità di operare una sintesi a partire dalla tradizione ebraica e di porsi in continuità con la filosofia greca (utilizzando i suoi strumenti concettuali e la terminologia) innovandola, però, profondamente. Ciò dà origine ad un nuova concezione dell’uomo, del divino e del mondo che può essere così riassunta:   

  • Il monoteismo: Con la concezione cristiana si afferma in tutto il mondo, in modo netto e incontrovertibile, l’esistenza di un solo Dio. Tale concezione era sconosciuta nel mondo greco che, nella maggioranza dei casi, ammetteva una pluralità di divinità.
  • Il creazionismo: La filosofia greca aveva offerto le più disparate teorie sull’origine degli esseri di cui la più celebre è sicuramente quella del filosofo Platone. Quest’ultimo aveva inteso il mondo come un’opera d’arte, una materia originaria plasmata da un’entità detta Demiurgo. Nessun filosofo dell’antichità aveva mai creduto, però, in un Dio buono e creatore che, dal nulla, aveva originato liberamente (volontariamente e gratuitamente) il mondo, quale era quello dei cristiani.
  • La centralità dei comandamenti divini e della fede: Ai filosofi greci è estranea la concezione di un Dio che legifera in merito al comportamento nell’uomo: la legge morale è, per i Greci, la legge della natura. Nel cristianesimo c’è, dunque, una nuova concezione del bene (inteso come virtù, nel senso di vicinanza a Dio) e del male (inteso come peccato, nel senso di lontananza da Dio). Allo stesso modo, è la fede in Dio (e non la conoscenza) a costituire l’impegno e la realizzazione più alta dell’uomo.
  • Il peccato originale: la dottrina ebraico-cristiana fa annidare in una colpa originaria, quella della superbia di Adamo ed Eva, l’inizio dell’infelicità, della morte e del dolore dell’uomo. Per il cristianesimo, solo Gesù Cristo, Dio fattosi uomo e morto sulla croce, ha salvato l’umanità dal peccato mortale di cui si era macchiata. Per l’antica credenza greca, una non ben specificata colpa originaria poteva essere cancellata soltanto attraverso il ciclo delle nascite (la metempsicosi) o avvalendosi della filosofia e della conoscenza in generale.
  • La nuova concezione dell’amore: Il pensiero greco ha creato una descrizione dell’amore-Eros inteso come la forza che permette all’uomo di elevarsi. Il cristianesimo ribalta questa concezione attraverso la sua idea di amore-agape. Per il cristiano è soprattutto Dio che ama, di un amore infinito, gratuito e disinteressato, non giustificato dalla levatura dell’oggetto. Dio è amore e ama fino al sacrificio della croce e l’uomo può essere portatore di amore solo nella fede e nell’amore disinteressato per il prossimo.
  • La resurrezione dei morti: nella filosofia greca domina il tema dell’uomo scisso tra corpo e anima, dove quest’ultima riveste un’importanza prioritaria. Al contrario, il cristianesimo parla di resurrezione dei corpi, che avverrà alla fine dei tempi con l’avvento del Regno di Dio.
  • La concezione della storia: I Greci avevano in prevalenza una visione della storia ciclica, un’evoluzione che riportava l’umanità, se non il cosmo, sempre allo stadio iniziale. Il cristianesimo, al contrario, inaugurò una concezione della storia rettilinea, i cui eventi rappresentano delle tappe decisive verso un fine prestabilito. Il tempo cristiano è infatti scandito da un inizio (la Creazione) e da una fine (il Giudizio Universale) che dà all’uomo il senso stesso della sua vita.
I filosofi cristiani più noti sono Sant'Agostino e San Tommaso d'Aquino.

venerdì 4 settembre 2020

TEMPI MALVAGI

«Sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vivano bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi» 
                                                            (Sant'Agostino)

mercoledì 2 settembre 2020

L'APPRENDISTA STREGONE

L'APPRENDISTA STREGONE: COME CREARE UNA FALSA PANDEMIA


La prima cosa di cui abbiamo bisogno per un'impresa del genere è essere padroni di alcuni Media. Fabbricare una pandemia che non esiste è molto più facile di quanto si possa pensare. Abbiamo bisogno della giusta pubblicità, della ripetizione, di numeri inventati e di qualche trucco.


Per iniziare, abbiamo bisogno di un buon virus. Dovrebbe essere qualcosa di nuovo di cui la gente sappia poco o niente - in questo modo le si può dire praticamente di tutto, e non potranno dire nulla per contraddire le nostre affermazioni. È meglio qualcosa che abbia un nome che faccia paura o che suoni strano.


Tornerà utile se questo nuovo virus è correlato ad altri virus che non sono né nuovi né rari. In questo modo è possibile gettarli nel mix ogni volta che sia necessario gonfiare i numeri. Il mondo dei virus è molto vario, ma la gente comune non ne sa nulla, quindi c'è ampia possibilità di scelta. In altre parole, la maggior parte delle persone non sa distinguere un virus da un batterio, o anche da un ragno molto piccolo.


La parte più difficile è trovare il momento giusto. Non si può inventare una pandemia letteralmente dal nulla: ci deve essere qualcosa sotto. Una volta individuata la situazione giusta, si tratta di sfruttarla al meglio.


Una volta trovato il virus adatto che si diffonde a una velocità abbastanza elevata, è il momento della propaganda! Ora dobbiamo raccontarlo alla gente ogni giorno in maniera molto seria, con un senso di pericolo ed allarme nella voce.


Se abbiamo le risorse adeguate, possiamo fabbricare noi stessi il virus, rilasciarlo in segreto in un altro paese, lasciare che lo scoprano, e poi incolpare loro per aver dato inizio alla pandemia. In questo modo non ci metteremo in cattiva luce se il virus si diffondesse nel nostro paese e, naturalmente, potrà essere usato per demonizzare un paese a nostra scelta se gestiamo bene la situazione.


Qualunque sia il modo in cui il virus si diffonde, ora è necessario concentrarsi sui numeri. La gente muore di malattie ogni giorno, ma la popolazione non ha idea di quali siano i numeri reali, ed è su questo che contiamo. E anche se la gente sente un numero, non sa cosa pensare a meno che non lo si dica. Si può dire alla gente che più di mezzo milione di persone muoiono ogni anno a causa dell'influenza, ma il cittadino medio non sa se questo sia vero o meno. Questo lo capirà dalla nostra voce e dalla nostra faccia.


Così avremo un virus ordinario, che si diffonde a un ritmo ordinario, uccidendo un numero ordinario di persone, ma diremo ogni giorno alla gente che tutto ciò è straordinario, addirittura senza precedenti, mostreremo loro il numero di nuovi casi ogni giorno, e ripeteremo che la situazione sta per peggiorare e potrebbe raggiungere proporzioni catastrofiche. Certo, alla fine si scoprirà, come in passato, che il numero effettivo di morti è stato l'1% del numero previsto, ma a quel punto distrarremo la gente con altre storie inventate, così nessuno ci farà caso.


Una volta che il virus si diffonde in molti paesi, cosa che oggi è inevitabile, bisogna individuare rapidamente il paese dove la situazione è peggiore, il che avverrà per mezzo di vari fattori locali, e focalizzarsi soprattutto su questo paese. Ogni giorno segnaleremo quanto sia grave la situazione, suggerendo che molto presto sarà così grave ovunque, a meno che le persone non facciano quello che gli diciamo.


Dobbiamo convincere la gente che questo virus è peggiore di altri virus. Devono credere di avere più possibilità di morire di quante ne abbiano mai avute prima. Qui c'è un'ampia scelta di trucchi.


Di solito il tasso di mortalità in caso di decesso viene calcolato sulla base della popolazione infetta stimata. Non è quello che faremo in questo caso. Lo calcoleremo a partire dai soli casi confermati, il che ci darà un tasso di mortalità molto più alto, forse da dieci a cento volte superiore.


Per ottenere un tasso di mortalità più alto, ci sono due tipi di trucchi.


1. Bisogna gonfiare il numero dei deceduti.


2. Bisogna mantenere relativamente alto il numero dei contagiati perché la gente veda che questa cosa si sta diffondendo velocemente e che raggiungerà le loro case da un momento all'altro.


Il numero di casi confermati dipende dai test e dalle diagnosi delle persone, quindi bisogna pensare a quante persone testare e chi. È meglio testare le persone che hanno più probabilità di avere il virus e di morirne. Quindi testare il più nelle aree con il già più alto numero di casi, e testare principalmente persone anziane e malate. Sono quelle che moriranno di più, naturalmente. Non si fa il test in luoghi dove si otterrebbero pochi risultati positivi. Poiché il tasso di mortalità dei casi non sarebbe abbastanza spaventoso


È anche necessario che il numero di nuovi casi giornalieri aumenti. Quindi iniziamo a fare i test lentamente, e poi aumentiamo la percentuale di test. Il tasso di casi confermati aumenterà insieme all'aumento dei test, così sembrerà che il virus si stia diffondendo più velocemente di quanto non sia in realtà. Se testiamo 500 persone oggi e troviamo 50 nuovi casi, testiamone 1000 domani, e probabilmente troveremo circa 100 casi. La gente si convincerà facilmente che oggi il numero di persone infettate è il doppio rispetto a ieri.


Ma come facciamo a gonfiare il numero dei defunti? Come facciamo a falsificare i registri? Non c'è da preoccuparsi! Una volta che avremo convinto tutti che c'è una crisi, potremo dare a questo virus uno status speciale, e quando le persone con cancro o polmonite moriranno con questo virus, invece che con il cancro o la polmonite, che normalmente sarebbe la causa ufficiale della morte, potremo scrivere il nome del nostro nuovo virus. Dal momento che tutti sentiranno parlare di questo virus 24 ore su 24, 7 giorni su 7, nessuno si accorgerà che questo è molto insolito. Così avremo tutti questi vecchi malati che moriranno per cose che li avrebbero comunque uccisi in poche settimane o mesi, ma saremo in grado di attribuire i decessi al nostro virus. Questo aumenterà il tasso di mortalità in modo significativo.


Monitoriamo attentamente tutto ciò che sta accadendo, cerchiamo eventuali picchi nelle statistiche e concentriamoci su quelli. Abbiamo tutto il mondo tra cui scegliere, quindi assicuriamoci di non perdere nessun caso grave. Naturalmente, ovunque le cose si calmino, iniziamo a ignorare il luogo. Dato che gli anziani moriranno in continuazione, dobbiamo cercare i rari casi di persone più giovani che muoiono e ingrandire la cosa il più possibile.


martedì 1 settembre 2020

CONFUSIONE E SPERANZA


Viviano in un clima di grande confusione e incertezza, ma che non deve farci prendere dalla paura. Ci prepariamo alla battaglia attraverso la vita spirituale e l'aiuto di Dio, con la preghiera, la testimonianza e la verità. Questo deve farci confidare ciecamente che la Provvidenza di Dio inizierà proprio adesso, e agirà con la sua forza, benignità e assistenza speciale per coloro che rimarranno fedeli.

Dobbiamo vivere giorno per giorno abbandonandoci completamente alla divina Provvidenza. Ogni giorno nelle mani di Dio sperimenteremo come il Signore non ci abbandonerà, proprio come diciamo nel Padre Nostro di darci oggi il nostro pane quotidiano. Preghiamo per l'oggi, non per il domani o il dopodomani. Chiediamo per l'oggi, perché l'oggi è nelle nostre mani mentre domani non sappiamo neanche se ci saremo. Il domani è nelle mani di Dio. Dunque è necessario abituarci a vivere il momento presente in un abbandono totale nella Provvidenza di Dio il quale aumenterà ogni giorno di più il suo aiuto nei confronti di coloro che si abbandoneranno ciecamente a Cristo.

PAOLO E LA TORAH IN 1CORINZI 9:19-23


Paolo e la Torah in 1Cor. 9:19-23

1Corinzi 9:19 Poiché, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo a tutti, per guadagnarne il maggior numero;
1Corinzi 9:20 e con i Giudei, mi sono fatto Giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, mi sono fatto come uno sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge;
1Corinzi 9:21 con quelli che sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza legge (benché io non sia senza legge riguardo a Dio, ma sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che sono senza legge.
1Corinzi 9:22 Con i deboli mi sono fatto debole, per guadagnare i deboli; mi faccio ogni cosa a tutti, per salvarne ad ogni modo alcuni.
1Corinzi 9:23 E tutto faccio a motivo dell'Evangelo, al fine di esserne partecipe anch'io.

Paolo dice: pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo a tutti, cioè per nulla legato a quello che fanno gli altri. Chi è diventato in Cristo una nuova creatura, è morto al mondo. Egli è solo di Cristo. È questa la libertà che il Vangelo conferisce a coloro che lo accolgono.

Quest’uomo completamente libero, che ha votato la sua vita interamente al Vangelo, che ha fatto della sua esistenza una missione di salvezza per il mondo intero, si fa servo di tutti e lo fa per guadagnare il maggior numero di persone.

Per il Vangelo egli rinuncia alla libertà che il vangelo gli ha conferito, si sottomette a ogni cosa, pur di manifestare al mondo la straordinaria grandezza del vangelo in modo che gli altri possano accoglierlo. In questa semplice affermazione Paolo ci rivela la modalità giusta, anzi l’unica modalità, attraverso la quale è possibile rendere credibile il vangelo nel mondo: farsi servo di tutti, perché attraverso la propria vita solo il vangelo di Gesù possa risplendere nella sua luce di verità, di libertà, di grazia, di carità, di rigenerazione e di santificazione dell’uomo.

Farsi servo per gli altri, per guadagnare tutti a Cristo, è la suprema delle libertà, è la libertà di Cristo in croce che si fece servo di tutti per condurre ogni uomo al Padre suo che è nei cieli. Si comprende allora che il vangelo non si diffonde nel mondo perché si dicono frasi, o perché lo si insegna nelle scuole. È il cristiano il garante del vangelo; è il cristiano che incontra sulla sua via l’uomo cui annunciarlo; se il cristiano non è credibile, il vangelo fallisce nel suo scopo, non raggiunge il suo fine.

Il cristiano deve divenire pertanto visibilmente trasformato dal vangelo. Per Paolo questo significa farsi lui stesso servo di tutti, al fine di rendere credibile e accettabile la verità che egli annuncia e che per lui è una Persona, Gesù Cristo nostro Signore, per cui con i Giudei è Giudeo, con coloro che sono sotto la legge è come coloro che sono sotto la legge, pur essendo libero di essere sotto a legge, cioè si comporta come uno di loro riguardo all’osservanza della legge.

Si sa che Paolo iniziava la sua predicazione partendo proprio dai Giudei, dal suo popolo. Ora i Giudei erano fortemente attaccati alla legge. Paolo sa che la legge non conferisce la salvezza; bisogna per questo eliminare la legge quando i Giudei vengono al vangelo? Niente affatto. Il vangelo può anche sussistere nell’osservanza della legge, a condizione che questa legge non sia in contraddizione con la nuova legge della fede che è Cristo Signore.

Paolo sa che la legge giudaica non ha valore di salvezza; ma trovandosi in mezzo a loro egli stesso si sottopone alla legge, sempre che non sia incompatibile con la fede in Cristo. Lo fa per rendere credibile il vangelo, il quale non viene per distruggere ciò che è buono e santo, ma viene per togliere il peccato, la disobbedienza a Dio.

Facendosi Giudeo con i Giudei egli in verità mostra loro ciò che del giudaismo si può vivere nel vangelo e ciò che non si può vivere, perché se lo si facesse diverrebbe tradimento di Cristo e della sua croce.

Per fare questo occorre separare con taglio netto la verità dall’errore. È sempre lo Spirito di Dio che consente di incarnare il vangelo nelle diverse culture, non omologando il vangelo alle culture, ma separando quello che in una cultura può essere vissuto del vangelo e ciò che deve essere abbandonato perché contrario al dettato del Vangelo.

Oggi manca a molti annunciatori del vangelo questa separazione netta, precisa, tra ciò che si può conformare al vangelo, purificandolo, e ciò che mai potrà essere conformato al vangelo, perché deve essere eliminato.

La libertà è questa: che appartenendo a Cristo, puoi osservare la legge dei Giudei tranquillamente, e Paolo lo fa con i Giudei perché l’importante è l’amore, e per l’amore dei Giudei è giusto farlo e lo fa; con i Gentili, siccome l’importante è l’amore, la libertà è non fare. La libertà quindi è fare e non fare, secondo ciò che è utile all’altro.



Paolo spiega come con i senza legge, anche lui vive senza legge. I gentili erano senza la legge. Ebbene, Paolo non presentava loro la legge; annunciava direttamente Gesù Cristo. Viveva con loro come uno di loro, alla loro maniera.

Però dice: Io la legge ce l’ho. Quale legge? La legge di Cristo. In greco dice: sono en nomos. Non è contro la legge: ha una legge precisa e la sua legge è quella di Cristo, lasciando così capire che la legge di Mosè è superata. Cos’è la legge di Cristo? Lo dice chiaramente in Gal. 6:2: Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo. La legge di Cristo è portare: in greco è bastare, è il basto, quello dell’asino, che porta il peso. Questa è la legge, cioè amare vuol dire portare il peso dell’altro. Lui vive in questa legge che è la legge del servo, che è la legge di Cristo che si è fatto servo e ultimo di tutti. È la legge dell’amore contraria alla legge dell’egoismo che è servirsi degli altri. Ed è per questo che è debole coi deboli, che si fa tutto a tutti perché quello che gli interessa è che ognuno, fosse anche uno solo, giunga alla salvezza.

Paolo è il fulgido esempio di come ci si deve comportare con le diverse culture, forme religiose, o pagane, dell’uomo: tutto ciò che è contrario alla fede e al vangelo di Cristo bisogna eliminarlo, tutto ciò che è compatibile con la sua santità si può continuare a fare. Sappiamo dalle stesse lettere di Paolo la sua lotta impegnata a sradicare dal cuore dei pagani tutte le loro cattive abitudini peccaminose e l’impegno profuso a far sì che germinassero nella loro vita solo le opere dello Spirito.

Il Vangelo rispetta l’uomo nella sua forma concreta di vita. Il Vangelo abolisce solo ogni forma di peccato. Il resto è dell’uomo e glielo lascia, perché fa parte della sua natura, della sua storia, della sua stessa vita.



Deboli sono quei cristiani non ancora bene illuminati nelle cose della fede. San Paolo si è adattato a loro, per guadagnarli al bene e non scandalizzarli per pericolo di indurli al male.

Nel mondo ognuno ha una sua forma mentis particolare, un suo modo di essere e di pensare, un modo di concepirsi e di concepire le cose; ognuno è a se stante.

La saggezza del cristiano è proprio quella di comprendere la situazione spirituale di colui che gli sta di fronte, quali sono i suoi pensieri e come realmente si concepisce dinanzi a Dio, qual è la sua relazione con la verità e con l’errore. Se riesce a capire la forma nella quale l’altro è calato, facendosi suo amico e compagno potrà aiutarlo a liberarsi dal male che lo avvolge, conservando invece il bene.

Mi faccio ogni cosa a tutti. Parole stupende, che riassumono tutta la vita apostolica e tutto il programma di san Paolo.

Questa libertà non sempre si riscontra nei missionari del Vangelo. Non si trova quando manca in loro la spinta verso la santità. La santità sprigiona in noi tutta la potenza di Spirito Santo, il quale ci dona l’intelligenza di sapere ciò che non è vangelo. La spinta verso la santità del missionario del vangelo è la più alta preparazione a compiere la sua missione nel mondo.



Nel v. 23 Paolo riassume il principio che finora lo ha guidato e che sempre lo guiderà. La sua è una vita interamente consacrata al vangelo. Questo è lo scopo del suo vivere e del suo operare.

La struttura religiosa, la forma esteriore, per Paolo è uno strumento. Se ne serve, se gli serve; se non gli serve, è disposto ad abbandonarla. L’abbandono delle sue forme religiose gli consente di poter condividere il vangelo con i gentili.

Il suo fine è uno solo, come una sola è la meta delle sue fatiche e delle sue rinunce: far sì che egli possa condividere il vangelo con gli altri, con il maggior numero, con tutti, se possibile. Questa libertà non è di tutti; questa libertà è solo dei santi. Sono loro lo strumento principale dello Spirito Santo.