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Presentazione.………………….…………………………………………………………5
Introduzione………………………………………………………………………………7
Capitolo 1……………………….…………………….…………………………………..10
Indirizzo e
saluti (1:1)….………………………………………...…………………….10
Rendimenti di
grazie per la vita spirituale della chiesa (1:2-10)…....…………………14
Capitolo 2………...……………………………………………………….………………24
L’apostolato di Paolo in Tessalonica (2:1-16)……………………...…...……………..24
Paolo desidera
rivedere i Tessalonicesi (2:17-20)…..…………………...………….…37
Capitolo 3……………………………………………….………………………………...40
Gioia
dell’apostolo per le notizie recategli da Timoteo (3:1-13)…………..…………..40
Capitolo 4…………………..……………………………………………………………..50
Esortazioni alla
santità, all’amor fraterno, al lavoro (4:1-12)………………………….50
I fedeli morti
prima del ritorno di Cristo (4:13-18).……………………………………61
Capitolo 5………………………...…………………………………………………...…..69
Il tempo del
ritorno di Cristo e come prepararvisi (5:1-11)….………………………...69
Precetti vari e
saluti (5:12-28)………………………………..………………………...80
CAPITOLO 1
Indirizzo e saluti
(1:1)
1Tessalonicesi
1:1 Paolo, Silvano e
Timoteo alla chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signor Gesù
Cristo, grazia a voi e pace.
Dal momento che la prima lettera ai Tessalonicesi è la
prima lettera di Paolo, fa da modello per tutte le altre lettere: mittente,
destinatari e saluto, che poi era anche lo schema classico di scrivere lettere
nell’ambiente greco-romano. Dentro questo schema, Paolo introduce la novità
della fede cristiana, precisando che la
chiesa dei Tessalonicesi ha il suo fondamento e trova la sua identità nel
rapporto don Dio Padre per mezzo del Signore Gesù Cristo. Da questa origine
divina proviene la grazia e la pace che Paolo e i suoi collaboratori, Silvano e
Timoteo, augurano ai tessalonicesi.
Paolo si presenta con il suo nome di cittadino romano –
Paulos – e associa con sé Silvano (il nome grecizzato di Sila che incontriamo
negli Atti) e Timoteo, che hanno partecipato con lui alla fondazione della
Chiesa di Tessalonica.
Abbiamo visto che Timoteo non compare nella narrazione
degli Atti degli Apostoli circa la missione a Tessalonica. Quindi Timoteo non
era stato coinvolto nel tumulto di piazza contro Paolo e Sila, e per questo
Paolo lo ha mandato ad aver notizie sulla situazione della comunità, dato che
la sua presenza non sollevava sospetti. Ritornerà da Tessalonica recando buone
notizie circa la fede dei tessalonicesi.
La
1Tessalonicesi è dunque una lettera con più mittenti, infatti troveremo spesso
la prima persona plurale «noi» nel corso dello scritto, anche se, chi tiene le
fila del discorso è Paolo. La fede infatti si annuncia in comunione. Ogni
discepolo di Gesù è chiamato ad annunciare la verità, la Parola, dalla quale
scaturisce la fede. Ogni discepolo di Gesù deve essere una sola voce con tutti
gli altri discepoli. Una sola Parola, una sola verità, una sola fede, una sola
voce. È questa la regola santa, l’unica regola, perché vi sia la retta
predicazione. La comunione nella verità e nella fede, l’univocità e la coralità
della predicazione dell’unica verità e dell’unica fede, dona vigore, forza alla
fede e alla verità.
È
questo l’insegnamento di Gesù: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina».
La verità e la fede annunciate in una frantumazione di voci, di concetti, di
parole umane, proclamate in disaccordo e in disarmonia nella stessa loro
essenzialità altro non fanno che il gioco della menzogna e dell’errore. Una
verità così annunziata, una fede così proclamata non ha incidenza in nessun
cuore. La divisione nella fede e nella verità, che è una e indivisibile, non
giova alla causa di Cristo.
Tutti gli scritti del Nuovo Testamento si rifanno in
qualche maniera agli apostoli, cioè la chiesa ha un fondamento apostolico. Il
cristianesimo non è un’ideologia inventata a tavolino o non è un’illuminazione
di qualche mistico, ma è una storia, è una storia che degli uomini hanno visto,
di cui sono testimoni e che, quindi, raccontano. E questo è estremamente
importante: il cristianesimo non lo invento io, non l’ha inventato nessuno di
noi; questo è il grande problema di tutte le sette, dove uno si inventa
qualcosa e la gente gli corre subito dietro. Noi non dobbiamo inventare nulla,
tutto quello che diciamo deve misurarsi sulla storia di Gesù, questo è il primo
criterio della chiesa, se no è una balla che si è inventato l’uomo e se la
tenga pure, serve solo per gabbare la gente!
Noi il massimo che possiamo dire è qualcosa di quel che è
scritto, secondo l’intelligenza e l’esperienza che il Signore ce ne dà; non
possiamo inventare niente, possiamo solo cercare di capire con grande umiltà e
nella misura in cui ci è dato di capire.
L’uomo che non ha tradizioni, che non ha radici, è come
una pianta senza radici: non porta nessun frutto, va di qua e va di là, non
distingue più le cose vere dalle cose false, rincorre le ultime notizie, ma non
ha più l’identità. La chiesa ha invece una radice apostolica, che è la sua
connessione col Gesù storico; e la nostra fede è in Gesù. Se togli la storia di
Gesù e, quindi, la successione apostolica che la testimonia, si fa di Gesù
un’invenzione propria e questo non ha nulla a che fare con il cristianesimo.
La verità non è da inventare, è da cercare, è da
comprendere, è da amare, è da vivere. Le verità inventate si chiamano, appunto,
favole, menzogne. Questo è un aspetto da non trascurare. Perché c’è il dogma?
Perché è necessario; mica la prima cosa che mi viene in mente è vera; mica
perché la maggioranza pensava che la terra era piatta, la terra era piatta. La
terra è quello che è, così i fatti di Gesù Cristo sono quello che sono e noi
possiamo solo accostarci a questo.
È per questo che leggiamo ancora adesso le Lettere e i
documenti della prima chiesa: sono la norma della nostra fede e il fondamento;
come la storia ci è comunicata e trasmessa attraverso la testimonianza e la
parola, così, attraverso questa parola, noi entriamo nella storia di Gesù,
diventiamo attuali oggi a questa parola, cioè la viviamo oggi.
È un fatto vitale; la fede, l’esperienza cristiana,
l’esperienza di salvezza è un fatto vitale; e la vita la si riceve in una
continuità che ci aggancia noi oggi, attraverso tutte le generazioni, a quel
fondamento che sono gli apostoli e poi a quella pietra fondamentale che è
Cristo Gesù.
I destinatari della Lettera sono indicati come chiesa dei tessalonicesi. È una cosa
abbastanza inconsueta, dato che di solito scrive: la chiesa che è in Corinto…
in Galazia… in Filippi…
Il gruppo dei tessalonicesi viene chiamato ekklēsia, parola usata dagli ebrei della
LXX per tradurre il verbo ebraico qāhāl
(chiamare, dall’ebr. qol = voce). In
greco chiamare si dice kalein, che
sta alla base del sostantivo ek-klēsia
(chiamata fuori, convocazione). Richiama la santa assemblea convocata da Dio
(cfr. Deut. 4:10), in ascolto della sua parola. La scelta di ekklēsia, invece di synagōgē, è intenzionale per distinguere il gruppo dei credenti
cristiani dalle altre comunità ebraiche.
L’ekklēsia viene
presentata subito in termini religiosi: en
Theo Patri kai Kirio Iesou Christo (= in
Dio Padre e Signore Gesù Cristo). La particella en (in) indica il ruolo di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo
nella «convocazione» dei credenti di Tessalonica. Dio Padre, per mezzo del
Signore Gesù Cristo, è all’origine e a fondamento dell’ekklēsia dei tessalonicesi.
Ma
che significa esattamente per una Chiesa essere in Dio Padre e nel Signore Gesù
Cristo? Significa essenzialmente una cosa sola: fondarsi nella volontà di
salvezza di Dio Padre, nella verità che Cristo Signore ha portato sulla terra,
e nella grazia di giustificazione, di redenzione e di santificazione che Gesù
ha operato per noi sul legno della croce. Se uno solo di questi tre fondamenti
dovesse venire a mancare, non avremmo più la vera Chiesa.
La chiesa non è una cosa che facciamo noi, ma è una
chiamata di Dio, è Dio che con la sua Parola parla e noi rispondiamo e la
chiesa è esattamente la risposta che l’uomo dà alla chiamata di Dio, alla
Parola di Dio, all’ascolto di Dio, di Dio che parla nella storia, storia
testimoniata negli scritti della Bibbia. Per questo la chiesa non è
un’invenzione umana, non è che stiamo insieme perché ci siamo simpatici, ma
stiamo insieme per quest’unica chiamata del Padre. Chiamata ad amare e a unirci
a suo Figlio e a formare così tra di noi la fraternità.
La chiesa si realizza su due fronti; uno in modo concreto:
quando ci riuniamo per ascoltare la Parola di Dio formiamo chiesa, siamo
riuniti attorno alla Parola di Dio; però questa chiesa, che risponde alla
convocazione di Dio, che è Padre di tutti, è necessariamente unita a tutte le
chiese formando un’unica chiesa, se no diventa una setta e non risponde più a
Dio che è Padre comune; diventa un consumo privato di Dio, quindi insieme la
chiesa è estremamente concreta - sono le persone che si trovano in un
determinato posto per un determinato scopo - ed è contemporaneamente
universale.
La Chiesa per Paolo ha una dimensione universale che si
riconduce necessariamente a una dimensione locale. Non si ha Chiesa se questa
non è collocata in un determinato luogo. E tutte le chiese di determinati
luoghi formano la grande Chiesa di tutto il mondo.
Da qui il senso di cattolicità – cattolico vuol dire
universale – però anche di concretezza; dove si perde uno dei due termini la
chiesa un po’ si dissolve o nell’ideologia o nella setta: se non c’è la
comunità reale di chi ascolta c’è l’ideologia, se non c’è la comunità
universale c’è la setta e, quindi, la negazione della verità. È interessante
che non sono io che scelgo i miei fratelli - se scelgo i miei fratelli non amo
i fratelli, amo quello che mi interessa, cioè quello che mi dà di più - i
fratelli sono quelli che ho, io la mia chiesa non la scelgo, sono le persone
concrete che ho intorno, che con me ascoltano, con me faticano, con me lottano,
con me vivono, con me hanno gli stessi difetti, le stesse mancanze; cioè non è
che la chiesa è fatta di persone pure, selezionate, se no non ne farebbe parte
nessuno.
La chiesa è fatta da quelle persone che sono en Theo Patri (in Dio Padre); è complemento di luogo "essere
in", cioè abitano in Dio come Padre. Il luogo dell’uomo è Dio
come Padre, lì l’uomo è di casa, lì l’uomo trova famiglia, lì l’uomo trova le
proprie radici, lì l’uomo trova sé stesso; ed è bella questa definizione di
chiesa come coloro che sono in Dio Padre. Si racconta che quando Dio chiede ad
Adamo, "Adamo dove sei"?
Gli domanda "dove sei"
perché Adamo si era spostato dal suo luogo e il luogo dell’uomo è Dio, è lì che
l’uomo è di casa. Il cristiano è colui che torna a essere di casa in Dio,
dimora in Dio, e ritrova, quindi, la propria identità; e questo Dio non è un
dio vago, come uno lo pensa lui, ma è quel Dio Padre rivelato dal Signore
nostro Gesù.
Dio subito è qualificato con il nome di Padre e,
immediatamente dopo, sullo stesso piano, si pone il nome del Figlio, il
Signore, il Kyrios, Gesù Cristo; è proprio grazie a Cristo, che è il Figlio,
uniti a lui che siamo nel Padre anche noi.
E, a questa chiesa, Paolo, Silvano e Timoteo augurano grazia e pace (charis ed eirēnē). Questo binomio è una novità
assoluta, non ha precedenti, perché i greci salutavano con charis – che significa anche salute
(chaire "stai bene") – mentre gli ebrei
salutavano con shalom. Paolo mette
insieme le due cose, e questo poteva essere un antico uso liturgico di
benedizione o di saluto nelle chiese cristiane. Ecco
uno stupendo saluto cristiano che è greco ed ebraico nello stesso tempo: grazia
e pace.
Paolo dice grazia a
voi (charis hymin), anteponendo
la grazia alla pace, mettendo prima la grazia, perché se non c’è la grazia non
ci può essere la pace, e la grazia è l’esperienza prima di chi è in Dio. La
grazia evoca l’iniziativa gratuita di Dio Padre che, per mezzo di Gesù Cristo
Signore, comunica il dono della «pace» a quelli che sono chiamati a far parte
dell’ekklēsia. La pace diventa lo
stato di salvezza della persona, cha va dalla chiamata iniziale fino
all’incontro finale con Dio.
La
grazia è conversione, giustificazione, santificazione. Ci si converte alla
Parola. Ci si lascia giustificare e santificare dai sacramenti. Si compie un
cammino di santificazione attraverso la realizzazione nella Parola, di tutta la
Parola. Senza grazia non c’è pace, perché la pace è la trasformazione del cuore
dell’uomo ad immagine perfetta del cuore di Gesù Cristo.
Volere
una pace senza la conformazione del nostro cuore a quello di Gesù Cristo è,
evangelicamente parlando, un non senso. Cristo è il solo vero costruttore di
pace sulla terra, perché solo nella conversione e nella fede, il nostro cuore
viene sciolto dalla sua grazia e ricreato tutto nuovo, ricolmo di amore, di
verità, di giustizia secondo Dio.
È
Cristo la pace di Dio con l’umanità, ma è anche Cristo la pace di un uomo con
un altro uomo. Se la pace fosse possibile senza Cristo, significherebbe che ci
può essere un cuore nuovo senza Cristo. Questo è veramente impossibile. Il
cuore dell’uomo solo Dio lo può cambiare e solo Dio lo cambia in Cristo, con
Cristo, per Cristo.
Che
senza Cristo non c’è pace lo attesta anche il mondo che è senza Cristo ed è
senza pace. Lo attesta anche la Chiesa quando vive senza Cristo, perché è senza
pace e incapace di costruirla. Lo attesta ogni cuore che è in guerra ed è in
guerra perché è senza Cristo.
Praticamente, in questo primo versetto – che è
l’intestazione della lettera – Paolo traccia lo sfondo su cui si muoverà questo
suo primo scritto: l’iniziativa gratuita di Dio Padre in Gesù, riconosciuto e
proclamato nella fede come Cristo e Signore.
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