domenica 28 febbraio 2021

VI RICORDA QUALCOSA?

QUESTO ERA IL RISORGIMENTO MASSONICO (E GIUDAICO)... VI RICORDA QUALCOSA CON OGGI?

La legge Pica



SOTTOPREFETTURA DI ISERNIA

DECRETO

Isernia 28 Maggio 1865

Veduta la ordinanza pubblicata dal Signor Prefetto della Provincia di Terra di Lavoro a di 14 Maggio cadente mese, con la quale, ritenendosi che il territorio di quella Provincia nuovamente è infestato da parecchie bande di ladroni, si decretano varii provvedimenti nello interesse della pubblica sicurezza o per ottenere la estirpazione del brigantaggio.

Veduto il telegramma del Sig. Prefetto della Provincia di Molise in data d'oggi, con cui autorizza che una ordinanza contenente provvedimenti analoghi a quelli decretati dal Sig. Prefetto di Terra di Lavoro sia pubblicata in tutt'i Comuni di questo Circondano, i quali sono esposti allo scorrerie delle stesse bande che infestano la Provincia vicina.

Veduto l'articolo 120 della legge di P. Sicurezza pubblicata nelle provincie Napolitane a di 8 Gennaio 1861, tuttora vigente.

DECRETA

1. A partire dal 1 Giugno prossimo sino a nuova disposizione, in tutt'i i Comuni de' mandamenti di Venafro e Castellone a Volturno, ne' Comuni di Fornelli, Macchia d'Isernia, Monteroduni, Longano, S. Agapito, Castelpizzuto e Roccamandolfi, e nelle parti montuose del territorio di Pettoranello di Molise, S. Massimo, Boiano, S. Polo Matese, Campochiaro e Guardiaregia, avranno effetto i seguenti provvedimenti.

2. Nessuno potrà girare per le campagne senza una carta di ricognizione rilasciata dal rispettivo Sindaco sotto la costui più stretta responsabilità personale. Tale carta non potrà mai esser concessa a persona sottoposta alla sorveglianza speciale o notoriamente sospetta.

3. Chi fosse autorizzato come sopra ad andare in campagna non potrà portare viveri, Vino, liquori, e tabacco in quantità maggiore di quella puramente necessaria per una sola giornata.

4. Nessuno potrà andar fuori de' luoghi abitati da un'ora di notte sino all'alba senza positiva necessità che dovrà essere giustificata ed espressa in un permesso speciale rilasciato dal Sindaco.

5. Nessuno potrà dimorare in tempo di notte nelle masserie nelle case e pagliai sparse in campagna, senza un'apposita autorizzazione del Sindaco, e sotto condizione di non tenere maggior quantità di viveri vino, liquori e tabacco di quella strettamente necessaria per una giornata.

6. I Sindaci trasmetteranno senza indugio a' Comandanti le rispettive stazioni de' R. Carabinieri l'elenco de' permessi e delle autorizzazioni date secondo gli art. 4 e 5: del presente decreto.

7. I contravventori alle disposizioni contenute negli art. 2. 3. 4. e 5. saranno arrestati e presentati all'Autorità Giudiziaria per essere puniti con gli arresti o con l'ammenda, secondo le circostanze, salvo il caso di connivenza co' briganti.

8. I Sindaci, i Delegati di Pubblica Sicurezza, le Guardie Nazionali in servizio, l'Arma de' R. Carabinieri, e tutti gli Agenti della forza pubblica sono incaricati della esecuzione del presente decreto.

Il Sottoprefetto F. DE FEO

"Gia' nel 1844 , cioe' quattro anni prima del moto insurrezionale , che diede inizio al Risorgimento; Beniamino Disraeli , l'Ebreo Primo Ministro d'Inghilterra, faceva dire a Sidonia, personaggio del suo romanzo "Coningsby": "Quella possente rivoluzione che si prepara al presente in Germania, si sviluppa sotto l'egida degli Ebrei, che cominciano a monopolizzare le cattedre professionali in Germania". Le parole di Disraeli, si riferivano al movimento che faceva capo alle societa' segrete del tipo della Giovane Germania, ma anche si riferivano alla Giovine Italia imperniata in Mazzini nella quale l'ebraismo non faceva difetto.

Anche nel capitolo XXIV della "Vita di Lord George Bertinek" , Disraeli osservava: "Se il lettore getta gli occhi sui governi provvisori di Germania, d'Italia e perfino di Francia formati in questo periodo , egli riconoscera' in tutti l'elemento ebreo...L'abolizione della proprieta' e' proclamata dalle societa' segrete che formano i governi provvisori... Alla testa di ciascuna di esse vi sono uomini Ebrei...gli Ebrei vogliono distruggere questa ingrata cristianita' di cui non possono piu' sopportare la tirannia."


da Carlo Alberto Roncioni - Il Potere Occulto - ediz. Sentinella d'Italia


domenica 21 febbraio 2021

IL FRUTTO DELLO SPIRITO: GIOIA

Galati 5:22 Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé;

La gioia è un frutto o è uno stato emozionale derivato da una qualche situazione? Noi normalmente pensiamo che la gioia sia uno stato di emozione, di felicità, come conseguenza di una situazione che ci è capitata.

La gioia dello Spirito non è una emozione, ma un atteggiamento. La gioia cristiana è frutto dello S.S. Ricordo sempre che i frutti non sono punti di partenza, ma punti di arrivo. Questo vuol dire che la gioia, al pari degli altri frutti che abbiamo visto, è una realtà derivata da un processo. Una cosa è il seme, una cosa è il frutto.

Quindi la prima sorpresa è che non si tratta di uno stato emozionale e basta. È anche uno stato emozionale, ma come derivato da un cammino, da un percorso. Dobbiamo quindi uscire dalla spontaneità della gioia. La gioia non ci capita per caso, viene come processo finale di una lunga pedagogia interiore, che può essere anche breve dal punto di vista temporale, ma che comunque ha i suoi passi.

La parola greca per gioia usata da San Paolo è charà, dal verbo chairō che vuol dire rallegrarsi, gioire, e ha il suo corrispondente ebraico nel termine simḥat. La radice ultima di charà ha come senso “punta di lancia” o un oggetto che buca un muro. Infatti si parla di esplosione di gioia, esultare, uscire fuori, la gioia è una cosa che sboccia. Anche il simḥat ebraico appartiene a un gruppo di termini che indica lo sbocciare, il crescere rigogliosamente, il fiorire.

È piuttosto enigmatico a prima vista pensare che la gioia sia la punta che buca qualcosa. Allora quello che dobbiamo chiederci è che cosa deve bucare, da cosa deve venir fuori, oltre cosa deve crescere? Ci torna utile questo testo:

Luca 6:20 Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. 21 Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. 22 Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo. 23 Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti. 24 Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. 25 Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. 26 Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti.

Qui abbiamo un confronto tra due gioie. Infatti il problema è sapere qual è la gioia cristiana frutto dello Spirito e se ha un suo alter ego, un suo opposto. Bene, il primo opposto è la tristezza. Dobbiamo decidere di non essere tristi, dobbiamo scegliere di non autocommiserarci; ma la gioia può essere di due tipi: c'è una gioia che è la gioia cristiana, ma ci sono altre gioie, altre forme di rallegramento. Il testo di Luca che abbiamo letto parla tantissimo di gioia, rallegrasi, esultare, beati voi. C'è una felicità che si oppone a questa ripetizione del “guai”, a questo annuncio di sventura. Ma a chi viene dato questo annuncio di sventura? A gente che ride. Curioso!

Il confronto è tra chi ora piange perché domani riderà, contro chi ora ride perché domani piangerà. Qual è il punto di questo discorso? La gioia ha due sorgenti, l'immediato e la conseguenza. C'è una gioia che viene dal prendersi subito l'occasione, sfruttare l'occasione che ho per godere. Nel testo abbiamo letto: “guai a voi ricchi perché avete già la vostra consolazione... guai a voi che ora siete sazi... guai a voi che ora ridete”. C'è un presente che porta a un futuro triste.

La gioia effimera, la gioia falsa, è la gioia come quella di una gomma da masticare, due minuti di sapore e poi non sa più di niente. Tante gioie di questa vita sono così, un piacere da bruciarsi subito adesso come un fuoco di paglia. Queste sono le gioie che noi normalmente ci cerchiamo: la soluzione immediata di un problema.

La gioia cristiana è essere poveri ora, avere fame ora, piangere ora. La gioia non è una emozione ma un atteggiamento. La gioia è un atto che deriva dalla fede. Gli orientali parlano della gioia pasquale. La gioia pasquale è di chi esce fuori da un evento.

Un atto di amore non è mai un atto che ha come primo scopo la mia gioia. Ha come primo scopo l'altro, l'ubbidienza a Dio. Il momento pasquale è passare da un momento di negazione per arrivare a una affermazione. Partire dalla negazione di oggi per arrivare al frutto stabile della conseguenza. Nella vita ciò che conta non sono le premesse ma le conseguenze delle cose. Io dei miei atti mi devo chiedere sempre: ma dove mi portano?

Un problema si può risolvere con uno scatto di rabbia. Si batte un pugno sul tavolo e viene il silenzio. Il problema è risolto... ma poi? Poi ci sono rapporti da ricostruire. Invece c'è l'atto di ricercare una gioia che è dopo, che è conseguenza, derivata da una scelta che oggi mi costa, mi chiede di negarmi, di andare oltre la mia immediata soddisfazione.

Scelgo la pace oggi – rinunciando alla guerra – forse negandomi certe rivendicazioni o certi piaceri, ma il piacere vero è quello stabile e duraturo, quello che deriva da una scelta di bene. La gioia cristiana è frutto dell'ubbidienza allo Spirito Santo. Gesù all'inizio del suo ministero invita a credere alla buona notizia, a credere al bene, e quindi a convertirsi. Convertitevi e credete al vangelo (buona novella). Ma prima c'è qualcosa da lasciare, Gesù chiede sempre di lasciare qualcosa per andare dietro a lui.

Quante soddisfazioni ci siamo tolti ma poi in realtà ci hanno lasciato i problemi irrisolti. La gioia cristiana è l'oggetto finale di un percorso che passa per il deserto per arrivare alla terra promessa, che passa per l'abbandono della tristezza per vivere da figlio di Dio. La gioia è una scelta che costa l'abbandono di ciò che non ci fa bene. 





giovedì 18 febbraio 2021

DIFFERENZA TRA "MORIRE" E "RENDERE LO SPIRITO"

Nei Vangeli non si dice che Gesù è morto. È scritto che Gesù "rese lo spirito", è spirato. È la stessa cosa o è differente?

Un'altra domanda, riguarda solo Gesù questo fatto o anche altri? Ebbene, ci sono altri sei personaggi nell'A.T., che hanno vissuto la stessa esperienza di Gesù, il quale sarebbe il settimo. Anche di questi è scritto che hanno reso lo spirito, cioè hanno spirato, poi sono morti, come conseguenza di aver reso lo spirito... volontariamente. 

Di Adamo si dice che è morto, non si dice che spirò, egli morì. Mosè è morto. Davide è morto. Tutti noi moriamo, ma sei persone hanno fatto l'esperienza come Gesù: hanno prima ceduto lo spirito e poi sono morti.

Vediamo chi sono. Di Abrahamo è scritto che spirò e morì - wayyigwa‛ wayyāmāt - (Gen. 25:8). Due suoi figli, Ismaele e Isacco, prima sono spirati e poi sono morti (Gen. 35:28; Gen. 25:17). Il quarto è Giacobbe, anche lui spirò (Gen. 49:33). Il prossimo è Aronne, di cui si dice che morì (wayyāmāt) in Num. 20:28, ma al verso successivo (Num. 20:29), quasi che l'autore sacro ci avesse ripensato, scrive che spirò (gāwa). L'ultimo personaggio è Giobbe, il quale dice di sé: “sarei spirato senza che occhio mi vedesse” (Giob. 10:18).

Questo è un modo diverso di passare all'altro mondo. La differenza, sostanzialmente, è questa: tutti gli uomini, anche i grandi uomini della Bibbia, hanno fatto il possibile – giustamente - per trattenere il proprio spirito, per non morire, ma non ci sono riusciti. Il corpo, essendo un corpo di peccato, non può trattenere lo spirito, il quale se ne va - se tutto va bene - alla decadenza del corpo, ed è un'esperienza drammatica, un'esperienza di agonia.

Qual è la differenza tra morire e spirare? Abrahamo, finita la sua missione, ha ceduto volontariamente lo spirito, quindi è morto. Così gli altri. Hanno consegnato volontariamente lo spirito.

L'apostolo Paolo aveva capito questa cosa, e quando parla dei santi, rigenerati d'acqua e di spirito, dice che si sono addormentati in Cristo.

Allora dobbiamo riflettere sulla morte dei cristiani. Quando si è in Cristo, è molto probabile che qualcuno in punto di morte dica: Non voglio essere vinto dalla malattia, Signore ti consegno il mio spirito, la mia missione l'ho fatta, adesso puoi farmi anche morire. Ti consegno il mio spirito, come l'hai fatto Tu sulla croce.

Lo spirare in questo modo è una grazia di Dio, ma bisogna avere un grande rispetto anche per chi muore senza spirare, perché di fronte alla morte siamo chiamati al silenzio e pregare. Le persone devono essere accompagnate, perché in quel momento può avvenire un grande miracolo.

Pensate alla diabolicità di quanto avviene oggi negli ospedali, morire in solitudine, senza vedere nessuno, e i figli del diavolo dicono ai parenti e amici del malato: lo facciamo per te, per il tuo bene, e un giorno lo capirai e ci ringrazierai. E a questo punto chi ha orecchi per intendere non può non sentire il diavolo che sghignazza.






martedì 16 febbraio 2021

IL FRUTTO DELLO SPIRITO: PACE

Galati 5:22 Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé;

Il frutto della pace è il terzo nell'elenco della lettera ai Galati, ed è frutto. Il frutto è una cosa ben precisa, è il risultato di qualcosa, non è qualcosa da cui si parte, ma qualcosa a cui si arriva attraverso un processo.

In greco il termine è eirēnē, che significa appunto pace. Nella sua origine greca ha un senso lievemente diverso da quello che noi pensiamo. L'unica pace che veniva concepita nel mondo greco era la pace in quanto assenza di guerra. Quando non c'è la guerra, allora c'è la pace. Noi però abbiamo un concetto di pace anche come condizione personale, ma questo era estraneo alla letteratura greca. Questo concetto di pace come condizione personale, deriva dalla novità cristiana, che porta nel mondo qualcosa che era in nuce nella cultura ebraica.

Infatti, la parola ebraica shalom non vuol dire semplicemente il momento di assenza di guerra, ma è molto più complicato come concetto, ed anche più personale. È l'idea di una abbondanza, di stare nelle cose in maniera florida. Lo shalom non è l'assenza di conflitti, ma può essere anche una guerra impostata bene, il fatto di essere ben messi di fronte alla guerra, anche questo è shalom.

Allora, come siamo arrivati al nostro concetto di pace come stato personale? L'A.T. comincia a generare questo concetto di pace in quanto realtà che non dipende dal contesto. Il Signore Gesù ci dice, nel Vangelo di Giovanni: Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace, non come la dà il mondo io la do a voi. Qui abbiamo un confronto tra due tipi diversi di pace.

Fermiamoci innanzitutto sul pensiero che la pace che il mondo dà è solamente una tregua, è soltanto una fase di stallo prima della prossima guerra. Nel mondo la pace c'è quando uno dei due antagonisti perde e viene sottomesso. Ecco, questa è la pace che dà il mondo.

Questo porta una persona a dire: sto in pace non quando ho risolto i conflitti, ma quando mi sottraggo ai conflitti. Per esempio, due coniugi che litigano trovano la pace quando si separano. Io posso stare in pace con una persona quando posso dire: tu non pesti i calli a me e io non pesto i calli a te; facciamo un trattato di non belligeranza e viviamo il nostro rapporto ipocrita dove non ci diciamo più quello che veramente pensiamo. Questo è il sistema che molta gente persegue, e magari ci mette pure qualcosa di spirituale dentro.

Partiamo dalla frase: non come la dà il mondo io la do a voi. Gesù va per via negativa per descrivere come lui la dà. Non come il mondo. La pace ellenistica, prima che maturasse il concetto di pace come condizione personale e non come contesto, era appunto una pace che dipendeva dalla situazione. Il mondo dà pace soltanto creando un contesto d'assenza di conflitto. Cristo non dà questa pace qui, cioè non la dà per il contesto. Non è il contesto che mi dà pace, non è la situazione che mi dà pace, è questa la novità cristiana.

Cristo che è la nostra pace, non ci dice: Vi darò la pace lì, o là, ora o domani o in quel momento ben preciso, ma io vi darò la pace in un altro modo. La pace di Cristo è la pace che sorge dal suo dono, ce la dà lui.

Andiamo nel concreto. Mi trovo in un contesto difficile, conflittuale, di grande tensione. Se la pace me la deve dare il mondo, io non potrò trovare pace finché la situazione non cambia. Se la pace mi viene da Cristo vuol dire che io posso avere pace anche in un contesto non pacifico, e qui voglio dire una cosa molto importante: di pacifisti ce ne stanno tanti, uomini di pace molto pochi. Di pacifisti possiamo riempire gli stadi, gli uomini di pace sono molto rari da trovare, perché è un atteggiamento interiore, personale. È il frutto di un rapporto con Cristo. Egli è la nostra pace, dipende dall'avere consapevolezza di ciò che lui è per me.

La pace cristiana è una scelta profonda del cuore. Se io voglio stare in guerra ho sempre motivi per stare in guerra, se mi voglio lamentare avrà sempre motivi per lamentarmi, se voglio ricordare i torti subiti avrò sempre qualcosa da ricordare, se voglio fare la guerra avrò sempre ottimi motivi per farla. Se io voglio un motivo per stare in stato di contrasto con chicchessia, ne avrò sempre uno. Se voglio un motivo per stare in pace con una persona, ne troverò sempre uno.

C'è un salmo che dice: Cerca la pace e perseguila. Cercare la pace, c'è sempre una via per la pace. Questo non è uno slogan, ma una regola profonda del cuore, è una scelta che non facciamo molto spesso.

Per esempio all'interno di un matrimonio, la pace non arriverà quando un coniuge otterrà dall'altro coniuge tutto quello che gli sta chiedendo, ma quando troverà pace nel fatto di avere quel coniuge così come è, a prescindere, amarlo per come è. È chiaro che ci vuole una dimensione molto adulta per vivere questo; ma c'è un pericolo: il pericolo di passare dal concetto di pace dipendente dal contesto (stiamo bene se gli altri ci fanno stare bene), al concetto di pace individualistico, un concetto di pace un po' new age, dove io personalmente sto in pace. Cioè, non sto in pace se sto in una condizione di riconciliazione con gli altri, ma sto in pace io anche se gli altri magari stanno malissimo, e io tranquillamente me ne infischio, l'importante è che stia in pace io. Questo è individualismo.

Questo è un rischio spirituale. Cioè, possiamo perseguire un rapporto cristiano dove io cerco con il Signore Gesù Cristo di essere in pace, ma in maniera completamente egoistica. Però, la mia pace non può essere autentica se mi chiude il mio essere relazionale. Stare in pace veramente prescinde dall'atteggiamento dell'altro, ma è un atteggiamento verso l'altro, deve produrre un risultato relazionale.

Non sta in pace chi resta tranquillo di fronte a una critica; sta in pace chi non prova malanimo, ma anzi pena, per chi lo odia. Cristo non ci ha detto di essere indifferenti davanti ai nemici, ci ha detto di amarli. È molto difficile tutto questo. Questo lo dà lo Spirito Santo, che è amore.

La pace che noi agogniamo, l'assenza di problemi, ce l'avremo soltanto nella bara, è la morte, è l'assenza di relazione. Allora ciò che noi dobbiamo trovare come soluzione, come autentico luogo di pace duratura, è un saper stare con gli altri. Questo è quello che lo Spirito Santo fa. Se questo è frutto dello Spirito, guardiamo il giorno di Pentecoste. I discepoli chiusi in una stanza, paurosi, escono e sanno parlare con gli altri, sanno stare con gli altri. La pace che mi dà Cristo è il saper parlare con chi ce l'ha con me, è il saper cercare con abbondanza (secondo il concetto ebraico di shalom) la via per lasciare il mio sacrificio davanti all'altare e andare a riconciliarmi con chi ce l'ha con me, come dice il vangelo. Quella è la pace.

San Paolo dice: «Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace» (Efes. 2:14)

La pace, e Cristo è la nostra pace, è colui che distrugge in se stesso, nella sua carne, l'inimicizia. Cioè usa il suo corpo come strumento per trovare il modo di riconciliare le persone.







martedì 9 febbraio 2021

IL SUDARIO DI GESU'

Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte (Giov. 20:6,7).

Il sudario che copriva il volto del Signore è stato ritrovato piegato e sistemato per bene.

C’è una tradizione ebraica secondo la quale i servi che imbandivano la tavola per il pasto dei loro padroni, avevano un’etichetta da seguire. Quando il padrone aveva finito di mangiare, si alzava e si ripuliva mani e viso; si asciugava, dunque, col tovagliolo che gettava, poi, li, sul tavolo, per indicare di aver finito. Il tovagliolo lasciato li era il segno, per il servo, che poteva sparecchiare.

Nel caso invece il padrone si fosse alzato, lasciando il tovagliolo ben piegato al lato del piatto, il messaggio per il servo sarebbe stato diverso: non poteva assolutamente sparecchiare, poiché il suo padrone sarebbe tornato presto!

Questa tradizione è stata poi portata nel matrimonio. All'atto del fidanzamento e della firma della Ketubah, lo sposo dava alla sposa un fazzoletto piegato. La sposa glielo avrebbe restituito quando lo sposo sarebbe ritornato per perfezionare il matrimonio con la convivenza.

Il significato del sudario piegato di Gesù ha una valenza straordinaria per tutti noi, che attendiamo il suo ritorno.

IL FRUTTO DELLO SPIRITO: PAZIENZA

Galati 5:22 Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé;

Arriviamo a questo frutto dopo i primi tre, amore, gioia e pace che non abbiamo ancora visto, perché abbiamo fatto il cammino a ritroso, dal meno al più. Sta crescendo la qualità del frutto, stiamo arrivando a qualche cosa di sempre più grande, notevole.

In italiano la parola pazienza è collegata al patire, è la capacità di saper soffrire.

Il testo greco usa il termine makrothymìa. Makro vuol dire grande, thymìa è collegata al termine thymos, e indica l'animo, la parte interiore dell'uomo, la sorgente del proprio essere, non nel senso troppo spirituale ma nel senso esistenziale, cioè io ho un animo. Infatti noi abbiamo i termini italiani che usano la parola animo/anima. Quando diciamo anima diciamo qualcosa di molto spirituale, quando diciamo animo diciamo qualcosa di un po' meno spirituale. Abbiamo le parole malanimo, o magnanimo. Ecco esattamente che cosa vuol dire la parola makrothymìa, è la parola magnanimo in italiano.

Noi abbiamo la pazienza come una realtà che è correlata alla magnanimità. Allora, che cosa vuol dire essere magnanimi. Cosa vuol dire avere un animo grande. I sinonimi di magnanimità sono: generosità, liberalità, munificenza, nobiltà d'animo. I contrari sono: grettezza, meschinità, inclemenza, inflessibilità, spietatezza, bassezza.

Dunque, quando noi parliamo di pazienza, tolleranza, parliamo di una realtà che è in relazione all'altro. Cioè non esiste un tollerante se non c'è qualcosa da tollerare, non abbiamo nessun generoso se non c'è nessuno oggetto di generosità. Noi abbiamo a che fare con un tipo di frutto dello Spirito che è una grandezza della propria anima, è la capacità, in fondo – ed è per questo che viene tradotta come pazienza – di dare all'altro il tempo, di dare all'altro spazio, di dare all'altro possibilità.

Vediamo la mansuetudine quando qualcuno non reagisce alla violenza, vediamo la calma quando una persona non si lascia prendere dalla fretta o dall'ansia. La magnanimità è la capacità di avere pazienza di fronte agli errori altrui. È l'atto per cui una persona dà al prossimo la possibilità di riprendersi, di pentirsi, di ravvedersi, di calmarsi.

La radice di tutto questo è Dio, e infatti abbiamo a che fare con il frutto dello Spirito, cioè con qualcosa che deriva dallo Spirito Santo. Lo Spirito Santo che entra nell'uomo, cosa fa? Gli parla di Dio. Gesù dice: Quando verrà lo Spirito prenderà del mio e ve lo annuncerà. Che cos'è di Cristo, che cos'è di Dio?

Ebbene nell'Antico Testamento è interessante notare che la parola magnanimo è una qualità di Dio che Dio dà di se stesso. Dio si proclama lento all'ira. Ha un'ira lenta Dio, l'ira non gli parte facilmente

2Pietro 3:9 Il Signore non ritarda nell'adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi.

Dio è colui che non ci tratta secondo i nostri peccati, ma è lento all'ira, ricco di misericordia. Una domanda interessante è: Perché Dio ci dà tempo per pentirci? Perché nei nostri confronti è paziente? Risposta facile e semplice: Perché Lui di tempo ne ha tanto. Perché Lui non guarda al tempo, guarda a noi.

Perché noi non abbiamo pazienza con il prossimo? Perché per noi il tempo finisce, perché noi non possiamo dare tanto tempo perché non ne abbiamo. Perché anche se accetto che tu in futuro possa anche ravvederti, io non ho tutto questo futuro da gestire. Allora, se non sto dalla parte di Dio che è eterno, io sono schiavo del tempo, ho un animo piccolo compresso dalle mie ansie, io devo farti cambiare subito, ed ecco perché le persone sono impazienti, premono, spingono gli altri, perché se io ti do il mio tempo non ho altro in cambio.