venerdì 25 dicembre 2020

GESU' È NATO IL 25 DICEMBRE A MEZZANOTTE

Gesù è nato il 25 dicembre a mezzanotte

1. PREMESSA

Il Natale, la festa più amata da ogni cristiano, non è però la più importante all’interno del cristianesimo. Se, infatti, Gesù fosse nato ma non fosse risorto, resterebbe soltanto uno dei tanti grandi saggi che hanno popolato la storia dell’umanità. Al contrario, Gesù è stato l’unico uomo che ha vinto l’insormontabile problema dell’uomo: la morte. Per questo la celebrazione cristiana più importante è la Pasqua, giorno della sua resurrezione, la cui data è fissata storicamente ed è astronomicamente certa: l’alba della domenica 9 aprile dell’anno 30 d.C., così come la data della sua morte: circa alle 15 pomeridiane del venerdì 7 aprile del medesimo anno 30.

Il Natale per il cristiano non è tanto il ricordo di una data, quanto la celebrazione di un evento biblico e salvifico, infatti negli stessi Vangeli non c’è nessun riferimento alla data di nascita di Gesù. Anche nel calendario cristiano il dies natalis in cui si commemora un determinato santo è il giorno della morte, non della nascita.

Soltanto nel II e III secolo i cristiani cominciarono a prendere in considerazione anche la data di nascita di Gesù, anche se con una certa diffidenza.

2. IL 25 DICEMBRE HA UN’ORIGINE PAGANA?

La vulgata corrente ritiene che il 25 dicembre sia una data convenzionale, scelta appositamente dalla chiesa primitiva per sostituire la festa pagana del Sol invictus.

Alcuni utilizzano questa argomentazione per sostenere che il cristianesimo si sarebbe imposto con la forza sul paganesimo. C'è chi, addirittura, nel mondo ebraico, si appoggia a tale tesi per affermare l’inesistenza storica di Gesù Cristo, inventato da qualcuno che avrebbe copiato le sue gesta dalla divinità pagana Mitra, la cui festa si ritiene fosse celebrata il 25 dicembre. In realtà le prime notizie sulla storia di Mitra sono certamente posteriori ai Vangeli.

Molti sostengono che il Natale cristiano si basi sulla festa del “Sol Invictus”, mentre altri sulle feste “Saturnali” dedicate all’insediamento nel tempio del dio Saturno. In realtà queste non sono mai state celebrate il 25 dicembre, ma si svolgevano dal 17 al 23 dicembre e non avrebbe avuto alcun senso far cadere il Natale cristiano dopo due giorni dal termine delle celebrazioni.

Nel 275 d.C., l’imperatore romano Aureliano eresse un tempio a Roma, istituendo un collegio sacerdotale e fissando la data del dies natalis del Sol invictus al 25 dicembre. Tale festa avveniva tra il 22 e il 24 dicembre. Occorre precisare che nessuna fonte storica contemporanea ad Aureliano, o a lui precedente, testimonia una festa del sole il 25 dicembre. La prima attestazione in questo senso risale alla Cronografia del 354 (detta anche Calendario filocaliano), un composito testo cristiano redatto a Roma.

Non c’è dunque certezza su chi abbia per primo usato la data del 25 dicembre come festa propria: sono stati i cristiani a far calare la nascita di Cristo sulla festa del Sole Invitto, sono stati i pagani a tentare di contenere l’esplosione della nuova religione nell’impero romano, oppure le due date sono state scelte in modo indipendente?

Sostenitori della tesi “pagana”. Secondo diversi studiosi, sarebbero stati i cristiani ad “arrivare dopo”: avrebbero identificato la nascita di Gesù il 25 dicembre per “cristianizzare” la festa pagana. Questa ipotesi è stata avanzata per la prima volta verso la fine del XII secolo dal vescovo siriano Jacob Bar-Salibi, il quale sostenne che la festa di Natale fu spostata dal 6 gennaio al 25 dicembre in modo da cadere sulla stessa data della festa pagana:

«era costume dei pagani celebrare al 25 dicembre la nascita del Sole, in onore del quale accendevano fuochi come segno di festività. Anche i Cristiani prendevano parte a queste solennità. Quando i dotti della Chiesa notarono che i Cristiani erano fin troppo legati a questa festività, decisero in concilio che la “vera” Natività doveva essere proclamata in quel giorno.». (J. Bar-Salibi da Christianity and Paganism in the Fourth to Eighth Centuries, Ramsay MacMullen. Yale, 1997, p. 155).

Tuttavia tale spiegazione è decisamente in contrasto con il fatto che i primi cristiani erano perseguitati proprio perché non partecipavano alle feste e alle celebrazioni pagane (dato che adoravano un Dio invisibile, furono definiti “atei” dai pagani). In ogni caso l’idea è stata ripresa da studiosi del tardo XVII secolo, sopratutto da puritani inglesi e presbiteriani scozzesi e da Paul Ernst Jablonski, un tedesco protestante con l’intenzione di dimostrare che la celebrazione della nascita di Cristo il 25 dicembre è stata una delle tante “paganizzazioni” del cristianesimo che la Chiesa del IV secolo ha abbracciato.

Altri sostengono che fu l’Imperatore Costantino - cultore del Dio Sole prima di abbracciare la fede cristiana - a trasformare nel 330 d.C. la festa pagana del Deus Sol Invictus del 25 dicembre in festa cristiana.

Obiezioni e sostenitori della tesi “cristiana”. La pensano diversamente altri studiosi. La prima citazione della celebrazione del Natale cristiano al 25 dicembre proviene da Ippolito di Roma (martirizzato nel 235 d.C.), quando nel suo Commentario su Daniele risalente al 203 d.C., scrive: «La prima venuta di nostro Signore, che nella carne, nella quale egli nacque a Betlemme, ebbe luogo otto giorni prima delle calende di gennaio», vale a dire otto giorni prima del 1° gennaio, cioè il 25 dicembre.

Dunque, l’uso di tale data da parte dei cristiani sarebbe accertata molti anni prima di Costantino. Lo studioso Michele Loconsole, ha affermato anche che la Chiesa primitiva, soprattutto d’Oriente, aveva fissato la data di nascita di Gesù al 25 dicembre già nei primissimi anni successivi alla sua morte (cfr. M. Loconsole, La festa del Natale precede quella pagana del dio sole).

Steven Hijmans, docente di arte romana e archeologia presso l’University of Alberta, ha sostenuto che «rappresentare la religione pagana come una potenziale minaccia al cristianesimo, non è supportata da alcuna prova evidente. L’affermazione che il 25 dicembre era un festa particolarmente popolare per il Sol Invictus nella tarda antichità è altrettanto infondata [...]. non vi è alcuna prova che Aureliano istituì una celebrazione del Sol Invictus in quel giorno. Non vi è alcuna prova che una celebrazione religiosa del Sol Invictus in quel giorno abbia preceduto la celebrazione del Natale». Nel suo studio egli mette fortemente in dubbio la tesi che il Natale sia stato istituito il 25 dicembre per contrastare una popolare festa pagana.

Si sottolinea inoltre che prima del 354 d.C, ancora durante il regno di Licinio (imperatore dal 308 al 324 d.C.) il culto al dio solare veniva celebrato il 19 dicembre, e non il 25. Si aggiunge poi che questa antica festa astronomica veniva celebrata anche in diverse altre date dell’anno, tra cui spesso veniva scelto il periodo compreso tra il 19 e il 22 ottobre. Quella del 25 dicembre si sarebbe imposta soltanto dopo la metà del IV secolo d.C. (cfr. M. R. Salzman, New Evidence for the Dating of the Calendar at Santa Maria Maggiore in Rome, Transactions of the American Philological Association 1981, pp. 215-227, a p. 221, citata da M. Loconsole, “La festa del Natale precede quella pagana del dio sole”).

Secondo Thomas Talley, l’imperatore Aureliano avrebbe inaugurato la festa del Sol Invictus cercando di dare nuova vita – una rinascita – ad un morente Impero Romano. È molto più probabile, egli sostiene, che l’azione dell’imperatore sia stata una risposta alla crescente popolarità e alla forza della religione cattolica, che celebrava la nascita di Cristo il 25 dicembre, e non il contrario (T. Talley, The Origins of the Liturgical Year, Collegeville, MN: Liturgical Press, 1991, pag. 88-91). Aureliano, lo ricordiamo, fu effettivamente un forte persecutore dei cristiani.

Inoltre diversi autori cristiani contemporanei ai fatti, come Ambrogio (c. 339-397) hanno avanzato un collegamento tra il solstizio d’inverno e la nascita di Gesù, descrivendo Cristo come il vero sole che ha eclissato gli dèi caduti del vecchio ordine, ma mai alludendo a una “operazione politica” della Chiesa, piuttosto osservando la coincidenza come un segno provvidenziale. Si fa anche presente che a Petovio (l’attuale Ptuj, in Slovenia), è stata recuperata la testimonianza di Vittorino che verso la fine del III secolo afferma: «Abbiamo trovato, tra le carte di Alessandro, che fu Vescovo a Gerusalemme, ciò che egli trascrisse di suo pugno da documenti apostolici: l’ottavo giorno dalle calende di gennaio [ossia il 25 dicembre] è nato Nostro Signore Gesù Cristo, sotto il consolato di Sulpicio e Camerino […]» Alessandro morì nel 251 d.C.

Occorre anche ricordare che fino a quando non è stato pubblicato l’Editto di Milano (313 d.C.), i cristiani erano fortemente perseguitati e si rifugiavano frequentemente nelle catacombe. Quindi, anche se avessero festeggiato il Natale al 25 dicembre non lo avrebbero certo fatto in modo pubblico, inoltre fin da subito hanno rivendicato una propria identità in opposizione al loro ambiente culturale, soprattutto in relazione ad altre religioni. Esisterebbero infatti inni e preghiere dei primi cristiani che mostrano il festeggiamento del Natale prima dell’Editto di Costantino (Daniel-Rops, Prières des Premiers Chrétiens, Paris: Fayard, 1952, pp 125-127, 228-229, citato in M.T. Horvat, Christmas Was Never a Pagan Holiday).

Pertanto, la festa pagana della “Nascita del Sole Invitto”, istituita dall’imperatore romano Aureliano il 25 dicembre 274, fu certamente un tentativo di creare una valida alternativa pagana a una data che era già di una certa importanza per i cristiani.

Ma anche ammessa e non concessa la validità della “tesi pagana”, ciò non dovrebbe imbarazzare i cristiani. In qualunque incontro tra culture diverse, ci sono sempre fenomeni di assimilazione e sostituzione: in questo caso il cristianesimo ne avrebbe colto il significato simbolico e lo avrebbe trasferito a Cristo, così come ha valorizzato diversi elementi della cultura greco romana, basti pensare al termine logos. L’inculturazione della fede è un fenomeno normale, comune e legittimo della vita della Chiesa, si tratta della trasformazione, dell’integrazione e del potenziamento dei valori che si incontrano nelle civiltà in cui si innesta il cristianesimo. Esse non vengono cancellate, ma valorizzate attraverso una spiritualità nuova. È avvenuta la stessa cosa con il popolo d'Israele, le cui principali feste erano feste agricole celebrate anche dai popoli pagani. L’importante, teologicamente parlando, è che l'inculturazione non produca l’abbandono dei dogmi cristiani o l’introduzione di credenze pagane, producendo una nuova religione sincretistica, ma questo ovviamente non è il caso della natalità di Cristo, la cui vicenda rimane unica, irripetibile.

3. IL 25 DICEMBRE HA UN’ORIGINE CRISTIANA-SIMBOLICA?

Diversi studiosi hanno avanzato la tesi che la data del 25 dicembre sia stata scelta usando criteri indipendenti e non legati alle feste pagane, anche se sovrapponibili.

Ipotesi del calcolo. Essa, si basa sulla tradizione dei patriarchi ebrei che vuole che siano morti nella data del loro compleanno (calcolando con un numero intero di anni, dato che le frazioni di anni erano ritenute imperfezioni): essendo il Cristo un essere perfetto, anche per lui la data del giorno in cui fu concepito doveva essere la stessa data della sua morte. Nel 207 d.C. Tertulliano ha identificato come data di morte del Cristo il 25 marzo, l'ottavo giorno alle calende d’Aprile (cfr. Tertulliano, Contro i Giudei 8,18), una scelta certamente simbolica, legata all’equinozio di primavera del calendario romano (il giorno perfetto, dove la notte ed il giorno si equilibrano) e alla ipotetica creazione del mondo secondo la tradizione ebraica (come anche del sacrificio di Abramo e del passaggio del Mar Rosso). Assumendo tale data, anche il concepimento del Cristo (l’annuncio a Maria) sarebbe avvenuto il 25 marzo e dunque la nascita nove mesi dopo, al 25 dicembre.

S. Agostino è testimone della tradizione secondo cui Cristo fu concepito e morì il 25 marzo: «Octavo enim Kalendas apriles conceptus creditur quo et passus» (De Trinitate IV, 5 ; cfr. De diversis quaestionibus, 56) e la stessa cosa affermò nel 221 d.C. Sesto Giulio Africano, il quale nel suo Chronographiai, pose al 25 marzo sia la data della passione di Cristo che quella dell’annuncio a Maria (concepimento di Gesù). Abbiamo poi già citato Ippolito di Roma, il quale nel 203 d.C. certifica la festa del Natale cristiano al 25 dicembre, e la testimonianza di Vittorino sul vescovo di Gerusalemme, Alessandro, il quale, prima del 251 d.C. affermò il 25 dicembre come festa cristiana.

Una variante della stessa tesi è basata sull’astronomia: secondo le idee del tempo si riteneva che la creazione del mondo fosse avvenuta all’equinozio di primavera, assegnato allora al 25 di marzo (non al 21). Ragionando secondo questa idea, si riteneva che anche la seconda creazione, ossia la concezione di Cristo nel seno di Maria, doveva essere avvenuta il 25 di marzo. Ne derivava di conseguenza che la nascita del Salvatore andava assegnata al 25 dicembre, nove mesi dopo la sua concezione.

Un’altra considerazione, con basi astronomiche ma anche bibliche, confermava i padri della chiesa in questo loro ragionamento. Verso il 25 dicembre il sole riprende la sua ascesa dopo il solstizio invernale. Era questo un particolare che induceva gli antichi a collegarvi il sorgere del Sole di giustizia, che è Cristo Signore.

Una conferma di tutto questo arriva anche dall’arte: i primi cristiani avvertivano infatti la necessità di manifestare questa loro fede anche con le arti figurative. Ci sono arrivati diversi affreschi e mosaici che paragonano Cristo al sole. Un esempio per tutti si trova nella necropoli vaticana dove nel mosaico del soffitto del mausoleo M, composto tra il 150-180 d.C., abbiamo la raffigurazione di Cristo-Sole che ascende al cielo.

Secondo queste tesi, dunque, la scelta del 25 dicembre vene identificata in modo totalmente autonomo e indifferente dal fatto che la stessa data fosse eventualmente già usata dalle feste pagane. Le due feste potrebbero dunque essere sorte senza alcuna intenzione di mutua incidenza.

4. IL 25 DICEMBRE È LA VERA DATA DI NASCITA DI GESU

Il 25 dicembre non è affatto una data simbolica-convenzionale, ma è la data storicamente esatta della nascita di Cristo.

Tesi archeologico-biblica. Tale tesi è basata sulle importanti scoperte archeologiche di Qumran, grazie al Calendario di Qumran e al ritrovamento sopratutto del Libro dei Giubilei (II secolo a.C.). L’evangelista Luca riferisce che l’arcangelo Gabriele annunciò a Zaccaria la nascita del figlio Giovanni, mentre egli stava svolgendo le sue funzioni sacerdotali davanti a Dio nel tempio, nel turno di Abia (Luca 1:62). Nel 1953 la famosa specialista francese Annie Jaubert studiò il calendario del Libro dei Giubilei, scoprendo che numerosi frammenti di tale testo dimostrano non solo che esso era stato fatto proprio dagli Esseni, ma che essi lo avevano usato almeno fino al I secolo d.C. (A. Jaubert, Le calendrier des Jubilées et de la secte de Qumran. Ses origines bibliques, in “Vetus Testamentum, Suppl.” 3, 1953, pp. 250-264). Nel 1958, lo studioso ebreo Shemarjahu Talmon, docente presso l’Università di Gerusalemme, ha ricostruito le turnazioni sacerdotali degli ebrei e, applicandole al calendario gregoriano, ha scoperto che la classe sacerdotale del turno di Abia svolgeva le sue funzioni due volte l’anno, e una di esse corrispondeva all’ultima decade di settembre (cfr. The Calendar Reckoning of the Sect from the Judean Desert. Aspects of the Dead Sea Scrolls, in Scripta Hierosolym itana, vol. IV, Jerusalem 1958, pp. 162-199). Risulta dunque storicamente attendibile la data tradizionale attribuita alla nascita di Giovanni Battista (24 giugno), avvenuta nove mesi dopo l’annuncio di Gabriele a Zaccaria (23 settembre)

Se è storicamente attendibile la data della nascita di Giovanni Battista (24 giugno), avvenuta nove mesi dopo l’annuncio di Gabriele a Zaccaria (23 settembre), allora ne consegue anche il fondamento storico dell’annunciazione dell’arcangelo Gabriele a Maria (e il concepimento verginale di Gesù) avvenuta “sei mesi dopo”, quindi nel marzo dell’anno successivo (il 25 marzo, secondo il calendario cattolico, come affermato nel 221 d.C. (circa) da Sesto Giulio Africano in Chronographiai):  «Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile» (Luca 1:36).

Ovviamente, essendoci sei mesi di distanza tra la nascita di Giovanni Battista e Gesù, tutto questo implica che anche la data del 25 dicembre (nove mesi dopo), per determinare la nascita di Gesù, è storicamente fondata. Di conseguenza, è una data storica anche quella della santa circoncisione, avvenuta otto giorni dopo la nascita, secondo la legge di Mosè, e così quaranta giorni dopo la nascita, il 2 febbraio, la “presentazione” di Gesù al tempio.

L’obiezione dei pastori

Una postilla finale: contro la nascita di Gesù il 25 dicembre viene spesso citato il fatto che in Palestina i pastori, non più tardi del 15 ottobre, riportano il loro gregge al riparo per proteggerlo dal freddo, dalla pioggia e dalla neve. Nei Vangeli, invece, si legge che la notte in cui ebbero l’annuncio della nascita del Salvatore, stavano facendo la guardia al gregge all’aperto (Luca 2:8). A questa obiezione ha risposto Michele Loconsole, il quale ha spiegato che i giudei distinguono tre tipi di greggi: quello composto da sole pecore dalla lana bianca, quello formato da pecore la cui lana è in parte bianca, in parte nera e quello formato da pecore la cui lana è nera: questi ultimi animali, ritenuti non adatti per i sacrifici del tempio, non possono entrare in città, neppure dopo il tramonto, quindi costretti a permanere all’aperto con i loro pastori sempre, giorno e notte, inverno e estate.

Quindi, se questa era la situazione nell’Israele dei tempi di Gesù, la presenza dei pastori nelle vicinanze della grotta e mangiatoia non era una invenzione (e poi perché? I pastori non davano certo particolare lustro all’evento) da parte del Vangelo di Luca.

5. CONCLUSIONE

Abbiamo dunque valutato alcune tesi dibattute sull’origine del 25 dicembre. Quella che sostiene la vulgata corrente, cioè la “cristianizzazione” di una festa pagana potrebbe avere qualche motivazione ma esistono altrettante valide obiezioni di cui non si può non tenere conto: è infatti altrettanto probabile che siano stati i romani a “paganizzare” la festa cristiana.

Ad una osservazione oggettiva risulta tuttavia molto più attendibile l'idea basata sugli studi di Annie Jaubert e soprattutto di Shemarjahu Talmon (ebreo, quindi al di sopra delle parti), i quali hanno sostenuto che la data del 25 dicembre è storicamente accertata, e di conseguenza anche tutte le date stabilite dalla tradizione cristiana che vanno perfettamente a collimare con le scoperte di Qumran: l’annuncio di Gabriele a Zaccaria della nascita di Giovanni Battista (23 settembre), la nascita di Giovanni Battista avvenuta nove mesi dopo (24 giugno), l’annuncio dell’arcangelo Gabriele a Maria (e il concepimento verginale di Gesù) avvenuta sei mesi dopo (25 marzo) e, infine, la nascita di Gesù avvenuta nove mesi dopo (25 dicembre).

PER QUANTO RIGUARDA LA MEZZANOTTE... Oggi noi suddividiamo il giorno in 24 ore, facendolo cominciare alla mezzanotte. Ma dal medioevo fino al Settecento il giorno cominciava all'Avemaria, ovvero mezz'ora dopo il tramonto. Oggi ancora, d'altronde, gli Ebrei ne fissano l'inizio al tramonto, come gli Ateniesi antichi.

La messa di Mezzanotte è l'orario trasmesso dalla tradizione, la quale, non a caso, applica alla nascita di Cristo un testo della Sapienza che si riferisce a tutt’altro:

Sapienza 18:14,15 Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale...guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo ordine inesorabile.

La parola di Dio è personificata. La tradizione ebraica riteneva che di notte fossero accaduti i grandi interventi di Dio: la creazione, l'apparizione ad Abramo, l'esodo dall'Egitto, e di notte s'aspettava che venisse anche il Messia. 

























lunedì 21 dicembre 2020

FRASI CELEBRI DI MARTIN LUTERO

 

FRASI CELEBRI DI MARTIN LUTERO


«Io non ammetto

che la mia dottrina possa

essere giudicata da alcuno,

neanche dagli Angeli.

Chi non riceve la mia dottrina

non può giungere

alla salvezza».

(Martin Lutero, Weim., X, P. II, 107, 8-11)



«Io sono stato

un grande mascalzone

e omicida».

(Martin Lutero,

WA WW 29,50,18)



«Questi idioti di asini

(cattolici) non conoscono che le 

 tentazioni della carne. (...). In

realtà, a queste tenta-

zioni il rimedio è faci-

le: vi sono ancora don-

ne e giovanette...».

(Martin Lutero)



«Se la moglie

trascura il suo dovere

(sessuale),

l’autorità temporale

ve la deve

costringere,

oppure

metterla a morte».

(Martin Lutero)



«Il motivo per cui bevo

tanto più forte, parlo

tanto più licenziosamente, 

 gozzoviglio tanto più 

 frequentemente, è quello di 

 pigliare in giro il diavolo

che voleva canzonarmi».

(Martin Lutero)



«Prima di me, non si è conosciuto nulla. Sono certo 

 che né Sant’Agostino, né Sant’Ambrogio, che

pure in queste materie sono grandissimi, mi stanno 

alla pari. Sono superbo in Dio sopra ogni misura, 

né la cedo di un dito agli Angeli del Cielo, né a

Pietro né a Paolo, né a cento imperatori, né a mille

Papi, né a tutto quanto il mondo.

Ecco il mio motto: Non cedo a nessuno!».

(Martin Lutero)



Lutero, un giorno, rispondendo 

 a sua madre che gli aveva 

chiesto  se doveva anche

lei cambiare religione,

disse: «No, restate cattolica, 

 perché io non

voglio né ingannare né

tradire mia madre!».

(Questo significativo

“documento” si conserva

nella Biblioteca del Convento

domenicano di Santa Maria

della Minerva in Roma).



lunedì 30 novembre 2020

IL FRUTTO DELLO SPIRITO: BENEVOLENZA

 

Galati 5:22 Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé;

Ricordiamo che i frutti dello Spirito Santo non sono qualità personali, cioè realtà che si trovano in una persona e in un'altra possono non trovarsi, ma sono operazioni dello Spirito, delle possibilità offerte a ogni uomo che si lasci guidare dallo Spirito.

Il frutto della benevolenza non è molto diverso da quello della bontà. Ha comunque un'accezione diversa. Voglio solo ricordare che l'attitudine filantropica del buonismo tanto di moda, è molto distante da questo frutto dello Spirito.

Benevolenza in greco è chrēstotēs, che viene da una radice che significa «utile, adatto», mentre la benevolenza viene molto spesso tradotta come gentilezza o affabilità. Invece la radice semantica della parola indica un senso di utilità, di adattabilità, di essere adatto per qualcosa, buono sì ma per qualcosa.

Differisce da agathōs, dalla bontà, perché la bontà esprime un concetto assoluto, una bontà che si finalizza all'altro, mentre questo è un concetto relativo: «buono per...». Quello che abbiamo qui è un concetto di efficacia.

Il benevolente è colui che vede nelle cose che affronta una utilità. È una attitudine di fronte alla vita, di fronte alle persone, per cui si coglie sempre l'aspetto costruttivo, si coglie sempre il bene possibile.

Mentre con la bontà ci chiedevamo qual è il bene dell'altra persona, qui siamo di fronte a qualcosa che mira più a uno scopo oggettivo, cioè vede nelle cose e nelle persone una finalità buona. È un cogliere l'occasione, la vita come occasione, le situazioni della vita come occasioni proficue, costruttive. È una visione pasquale della vita, di fronte anche alle cose negative io penso che il fine però sarà buono, che tutto va verso qualcosa di positivo.

Facciamo degli esempi. Una cosa non va come ce l'aspettiamo. Devo partire e si rompe la macchina. Le mie aspettative non si realizzano. Questo sfocia nella tristezza, nella mormorazione, nella reazione arrabbiata, ecc. Praticamente c'è il rifiuto di ciò che è accaduto. La benevolenza, la chrēstotēs, di fronte a questo fatto è quel tipo di attitudine per cui si chiede: Ma se fosse un bene? Se questa cosa fosse guidata da una mano sapiente? Forse era qualcos'altro quello che dovevo fare oggi. È un'apertura a un aspetto positivo.

Attenzione, però, qui si può sfociare facilmente a pensare la benevolenza come una sorta di ottimismo, di quello che vede il bicchiere mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto. Non è così. Questo tutt'al più è un buon carattere, è un pensare sempre a cose migliori, uno sperare di cavarsela in tutte le situazioni che avvengono.

Qui parliamo di un'altra cosa. Quando ci troviamo di fronte a qualcosa che non accettiamo, lo Spirito Santo semina nel nostro cuore un dubbio, un pensiero profondo: il sospetto che ci sia qualcosa di buono in quella situazione che ci sta succedendo.

Per capire meglio questa benevolenza, facciamo un salto di qualità e applichiamolo a Dio. Dio è il Benevolente, per questo lo Spirito Santo opera la benevolenza nell'uomo. Qual è la benevolenza di Dio? Dio è benevole verso gli ingrati e i malvagi dice il Vangelo di Luca. Essere benevole verso un ingrato e un malvagio vuol dire cogliere nell'altro la sua potenzialità anche quando mostra il suo aspetto peggiore. Dio guarda all'uomo non in quanto capacità di distruzione, ma in quanto capacità di costruzione. In ogni uomo c'è una potenzialità che Dio guarda con occhio di padre. Dio è di fronte all'uomo con una attitudine positiva, e dà inizio a una storia di salvezza dinanzi al nostro male, e addirittura il nostro male può divenire incontro con la sua misericordia. Cristo non è venuto nel mondo per condannarlo, ma per salvarlo, e allora le mie debolezze diventano l'occasione per conoscere l'amore di Dio per me, il suo atteggiamento sempre paterno.




giovedì 26 novembre 2020

INCANTARE I CRISTIANI ATTRAVERSO IL MOVIMENTO MESSIANICO

 

INCANTARE I CRISTIANI  ATTRAVERSO IL MOVIMENTO MESSIANICO

Molti cristiani non si rendono conto che è in corso una battaglia tra i rituali esteriori ebraici, come mezzo di spiritualità e santificazione, e quelli cristiani. Nessuno sosterrebbe che essere sempre più simili a Cristo non sia un obiettivo lodevole. Dobbiamo tenere costantemente lo sguardo su di Lui (Ebr. 12:2) e vederlo come esempio da seguire (1Piet. 2:21). Ma come per ogni viaggio, dobbiamo decidere come arrivarci. Il problema più grande dell'essere come Gesù è: cosa significa veramente? Che cosa comporta? e come si può realizzare?

Viene detto, anche giustamente, che "Gesù era un ebreo". Non si può assolutamente negare che Gesù sia nato ebreo e abbia vissuto una vita ebraica. Lo ha fatto per soddisfare ogni richiesta della legge, l'ha fatto per noi (Rom. 8:1-4).

Quindi, se vogliamo essere come Gesù, significa che dobbiamo diventare ebrei osservanti, come alcuni sostengono? Significa questo essere veramente come Gesù? I credenti gentili dovrebbero cercare di essere ebrei messianici? I gentili dovrebbero indossare la kippah, adorare in una sinagoga, suonare uno shofar, indossare un tallit, chiamare Gesù Yeshua, osservare le feste dell'Antico Testamento, le leggi alimentari e dare ai loro pastori il titolo di Rabbi? Le cerimonie e le pratiche ebraiche sono efficaci?

Dobbiamo ripristinare le pratiche ebraiche del primo secolo? I farisei praticavano tutte le cerimonie, ma la loro è una storia ammonitrice poiché Gesù disse loro che facevano queste cose invano (Mat. 15:7-9; vedi anche Matteo 23).

Il movimento messianico moderno rispondere alla domanda con un forte: "sì!". È un movimento trasversale che si è infiltrato nel cristianesimo, privo di una teologia condivisa e coerente, senza un organo di controllo dottrinale, e molto attaccato all'esteriorità ebraica.

Sono talmente divisi dottrinalmente che alcuni negano anche la Trinità, cioè il fondamento del cristianesimo. In realtà, ciò che li tiene uniti è un'idea, un punto di vista, un atteggiamento o una filosofia: il concetto condiviso che le tradizioni ebraiche e il giudaismo sono di gran lunga superiori alla Chiesa, una via sicura per una santificazione più profonda, e per alcuni anche una via più sicura per la salvezza. Di certo, pensano di essere credenti più "autentici"

È difficile definire il Movimento Messianico perché è così diversificato e composto da così tanti gruppi e individui disparati che sembra un bersaglio in movimento, un vasto assortimento di tutto. Può anche includere la Kabbala, con la sua numerologia esoterica.

È un movimento che insiste sul fatto che bisogna risuscitare l'ebraismo del I secolo (le cosiddette nostre radici ebraiche) e l'ambiente e lo stile di vita degli ebrei del I secolo e introdurli nelle comunità cristiane. È un movimento di restaurazione che afferma che la Chiesa ha abbandonato le sue radici ebraiche e deve tornare a uno stile di vita più ebraico per essere autentica.

Sebbene abbia la sua utilità studiare l'archeologia, la geografia, la sociologia, la religione e le usanze dell'antico mondo biblico, non ne consegue che dobbiamo reintrodurre e copiare quei tempi. Va anche aggiunto che il Movimento Messianico, più che le usanze ebraiche del I secolo, sta introducendo le tradizioni e le pratiche del Talmud, che fu completato molto tempo dopo Gesù, nel V-VI secolo. Ci sono addirittura due Talmud, cioè il Talmud babilonese e il Talmud palestinese, ed essi variano nelle loro tradizioni e pratiche.

Il movimento messianico è in realtà basato sulla tradizione ebraica/rabbinica del Talmud, mentre la questione se i gentili debbano assumere uno stile di vita ebraico è stata risolta dal Concilio di Gerusalemme descritto in Atti 15. La notizia nuova del Vangelo è che, in Gesù, ebrei e gentili hanno accesso diretto a Dio.

In pratica, i promotori del Movimento Messianico traggono i loro contenuti più dal giudaismo talmudico che dal giudaismo del Vecchio o Nuovo Testamento. Atti 15 affronta direttamente il rapporto dei credenti gentili con il giudaismo. L'apostolo Giacomo disse ai credenti ebrei che non dovevano disturbare i credenti gentili: "io ritengo che non si debba importunare quelli che si convertono a Dio tra i pagani" (Atti 15:19). Quindi una lettera ufficiale è stata inviata ai gentili riaffermando la decisione: "Abbiamo saputo che alcuni da parte nostra, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con i loro discorsi sconvolgendo i vostri animi" (Atti 15:24). In altre parole: "guardatevi bene dal tentativo di trasformare i gentili in ebrei!"

L'ebreo messianico Stan Telchin vede l'imposizione della Torah e della pratica ebraica sui gentili come un aspetto molto preoccupante: “So che la stragrande maggioranza dei credenti ebrei non frequenta le sinagoghe messianiche. È stato suggerito che meno del cinque per cento dei credenti ebrei negli Stati Uniti vi assistano... Molti ebrei che ho portato in tali sinagoghe mi hanno detto che si sentivano come se stessero guardando una caricatura, un'imitazione e non la cosa reale" (Messianic Judaism Is Not Christianity , p. 83).

Telchin dice che fino al 95% dei partecipanti alle sinagoghe messianiche sono gentili e solo il 5% sono ebrei. Questo ci dice che i gentili vengono "convertiti" a forme di giudaismo che anche molti ebrei rifiutano. Questo ribalta Atti 15. La domanda a cui gli insegnanti messianici devono rispondere è: "Perché ci sono molti più credenti gentili che ebrei nelle comunità messianiche?"

Queste imposizioni delle pratiche ebraiche ai credenti non ebrei è una questione seria che promuove l'elitarismo, divisioni inutili, confusione e pratiche non bibliche. Possiamo capire gli ebrei che si convertono a Cristo che cercano ancora di conservare alcuni aspetti culturali e celebrazioni della loro eredità storica. Tuttavia, imporli ai gentili (come è il caso, il più delle volte) è una diretta violazione delle parole di Paolo ai Colossesi: "Nessuno dunque vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda, o riguardo a feste, a noviluni e a sabati: tutte cose queste che sono ombra delle future; ma la realtà invece è Cristo!" (Col. 2:16,17). Paolo dice ai pagani di Colosse che non devono permettere a nessuno di costringerli alle pratiche giudaiche. Gli ebrei e i gentili salvati sono ora un corpo nuovo e un uomo nuovo: la chiesa.

Ho già accennato alla pratica molto confusa di sovrapporre le successive tradizioni talmudiche ai credenti del Nuovo Testamento. Non è come aggiungere dei libri extrabiblici alla Sacra Scrittura. Parte del Talmud non ha nulla a che fare con il Nuovo Testamento e riflette solo il successivo giudaismo privo della terra, del tempio, del sacerdozio e del sacrificio.

Una questione molto importante che il Movimento Messianico non affronta mai è: quale giudaismo? Sarebbe più corretto parlare di giudaismi. C'erano diversi flussi di giudaismo nel I secolo. Quello dei farisei, per esempio. E, in questo caso, quello della scuola di Shammai o di Hillel? Oppure quello dei Sadducei? Perché non il giudaismo degli zeloti o degli erodiani? O meglio ancora il giudaismo di Giovanni Battista? O quello dei puristi e separatisti esseni? Qualsiasi giudaismo del I secolo di qualsiasi tipo non può essere praticato poiché non c'è né tempio, né sacerdozio. Alcuni nel Movimento Messianico sembrano innamorarsi dei moderni ebrei ortodossi. Ma la domanda senza risposta è: quale gruppo ortodosso?

Nel complesso mondo dell'ortodossia ebraica, ci sono una miriade di gruppi in competizione con abiti diversi e tradizioni diverse, e tutti affermano tutti essere più puri degli altri. Tanto per citarne alcuni: Chabad Lubavitcher, Ger, Belz, Karlin Stolin, Breslav, Samar, Neturei Karta. Qual è quello giusto?

C'è un'ignoranza quasi totale da parte degli insegnanti del Movimento Messianico riguardo il Nuovo Testamento, in particolare le lettere di Paolo, tranne qualche brano scelto della lettera ai Romani che a loro avviso parlano di essere innestati nelle radici ebraiche. Ammesso e non concesso, è chiaro che essere innestati nelle radici ebraiche ha a che fare con le benedizioni abramitiche e messianiche, non con la clonazione o il tentativo di agire come ebrei. Non significa travestirsi e fingere di essere di un'altra nazionalità o religione.

Ignorare le epistole è ignorare la vita della chiesa. Non c'è da meravigliarsi che quelli del Movimento Messianico hanno una visione monca e distorta.

Gli ebrei cacciavano dalla sinagoga chi professava Cristo (Giov. 9:22). Eppure quelli del Movimento Messianico fingono che le sinagoghe siano dei buoni posti in cui stare. Possiamo unire chiesa e sinagoga? Dovremmo? Dobbiamo ricordare che Gesù disse chiaramente: "Su questa roccia costruirò la mia chiesa". Non ha detto: "Costruirò la mia sinagoga".

La lettera ai Galati si occupa di questo in grande dettaglio. È interessante notare che Paolo disse ai Galati che un ritorno al giudaismo denotava la loro "stoltezza", erano stati "ammaliati" (Gal. 3:1). La parola "ammaliati", ebaskanen, viene da baskano, e significa essere sedotti e attratti da una falsa dottrina.

Così la legge è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo (Gal. 3:24). Nel sistema educativo dell’antichità c’era il pedagogo, cioè un servitore che aveva il compito di accompagnare il bambino a scuola, per proteggerlo dai pericoli, insegnargli come doveva comportarsi nelle varie circostanze ed essere all’occorrenza di aiuto. Non aveva il compito di istruire il bambino, e quando il ragazzo diventava maggiorenne, questa attività cessava. Quindi la funzione del pedagogo non consisteva nell’educazione del bambino, ma nella sorveglianza e nella protezione. Per Paolo la legge è stata un pedagogo di questo tipo. La legge è tutela e garanzia della promessa fatta ad Abramo e alla sua progenie. La legge ha il ministero di condurre, di portare a Gesù Cristo. Essa non ha altre mansioni da assolvere. Con Cristo la legge-pedagogo cessa la sua funzione poiché nella fede in Cristo si ha la rigenerazione nello Spirito Santo.

Venuto Cristo e presentato a Lui tutto il popolo che era sotto la legge, la legge non ha più ragion d’essere, come non ha più ragion d’essere il pedagogo per rapporto al bambino. È compito e ministero del pedagogo far sì che il bambino diventi adulto; così è compito della Legge far sì che i figli di Israele siano tutti consegnati a Cristo. Operato questo passaggio, finisce la legge, inizia l’era della fede, che si concluderà con la fine della storia, quando il Signore si accingerà a fare i cieli nuovi e la terra nuova.

Paolo aggiunge: Ma ora che la fede è venuta, noi non siamo più sotto pedagogo (Gal. 3:25). Questo versetto sancisce in modo irreversibile la fine del compito della legge. Quando è finita la legge? Nel momento in cui Cristo ha detto: convertitevi e credete al vangelo. Il pedagogo non serve più. Non c’è più spazio per lui nel nuovo regime che il Signore ha preparato per i suoi figli e questo regime è quello della fede in Cristo, nel suo vangelo che è salvezza e redenzione, giustificazione e santificazione per ogni uomo.

Se qualcuno volesse ritornare sotto la legge, sappia che essa non funge più da pedagogo. Sarebbe una assolutizzazione di essa e questo negherebbe o rinnegherebbe tutta la promessa di Dio. In altre parole: se il fine, lo scopo della legge, se il suo ministero è quello di condurre alla fede, cosa succede per colui che abbandona la fede e ritorna sotto la legge?

Compie un’azione doppiamente stolta. È stolta la sua azione perché contraddice sostanzialmente il fine per cui è stata data la legge. Essa esiste per condurre a Cristo, per portare alla fede. Ma è anche stolta perché si attende dalla legge ciò che essa non può dare. La legge non può dare la giustificazione, perché il fine della legge non è la giustificazione, ma quello di condurre a Cristo, condurre alla fede. È stolta una simile azione perché è una evidente opera vana, inutile, dannosa.

Dio non opera più per mezzo della legge, opera per mezzo della fede. Con ogni mezzo e in ogni modo egli vuole persuadere i Galati che il ritorno sotto il dominio, o la schiavitù della legge, è per loro una inutile e dannosa involuzione.

Non è lui a dire o a predicare questo. È la natura stessa della legge che li condanna, in quanto essi vogliono trovare nella legge la giustificazione, la salvezza, mentre in verità è la stessa legge che attesta la sua nullità per rapporto alla giustificazione. Quindi se la legge si dichiara nulla per rapporto alla giustificazione di un uomo, perché ricorrere ad essa per essere giustificati? Questa è la stoltezza nella quale sono caduti i Galati. Per questo Paolo li chiama insensati e dice loro che si sono lasciati ammaliare. Ammaliare è proprio un’azione che non è fondata sulla ragionevolezza, ma sull’inganno, sulla falsità, sulla vanità delle parole che si dicono o che si predicano.

Un altro argomento. È la Pasqua o la Cena del Signore? Paolo ricordò ai Corinzi cosa rappresentava la Pasqua e cosa era veramente centrale: "Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!" (1Cor. 5:7). È chiaro che tutte le cerimonie, i simboli e le feste dell'Antico Testamento erano tipi e ombre che indicavano Gesù (Col. 2:16-23; Ebr. 10:1-10).

Un altro argomento. Il sabato o la domenica? Il sabato (il settimo giorno) era chiaramente attaccato alla conclusione dell'antica creazione (Gen. 2:1-3). Domenica, il primo giorno della nuova settimana celebra la Risurrezione e la nuova creazione in Cristo. I cristiani sono una nuova creazione (2Cor. 5:17).




domenica 15 novembre 2020

IL FRUTTO DELLO SPIRITO: BONTA'

 

Galati 5:22 Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé;

La bontà viene dalla parola greca agathōsynē, significa «bello, buono». Ricordiamo che stiamo parlando del frutto dello Spirito. C'è differenza tra un frutto e un seme. Il frutto è il compimento di un processo che inizia con il seme. Qui abbiamo a che fare con frutti e non con semi, ovverossia questi sono punti di arrivo, non sono punti di partenza. Quindi è un errore partire, nella vita spirituale, da questo punto. A questo punto si arriva, perché è frutto dell'opera dello Spirito, non è opera umana. Lo Spirito Santo entrando nell'uomo procura questo tipo di realtà.

Questo è un frutto della redenzione, e la bontà dobbiamo subito spiegarla salvandoci dai malintesi del linguaggio e della cultura di oggi, ovvero di quella bontà che non è frutto dello Spirito Santo ma è bontà umana.

La bontà umana, il buonismo, è una percezione che abbiamo di noi stessi quando agiamo verso qualcuno in maniera buona. Questo non ha niente a che vedere con il concetto neotestamentario di bontà. La morale cristiana è ben altra. Non è il buonismo, non è l'essere tutti accomodanti, non è essere disposti a sorridere anche quando non sarebbe il caso, e cose simili.

La bontà, l'agathōsynē, indica la qualità migliore di una realtà, il bello e il buono in quanto maturazione piena di una persona. Una persona è buona, bella, in quanto è arrivata a dare il meglio di sé.

È qualcosa che è in rapporto con l'altro. La bontà neotestamentaria non è un'attitudine intrinseca per cui io non voglio essere cattivo e voglio essere riconosciuto come buono, ma è piuttosto un'attitudine che sposta la sua attenzione sull'altro, capire qual è la cosa più buona da fare per l'altro, ciò che è utile per l'altro.

È la soddisfazione che uno prova quando riesce a trovare il meglio per qualcuno.

Un esempio banale. Il piacere di cucinare per qualcuno, il piacere di vedere l'altro contento di quello che sta mangiando, fare qualche cosa che dà all'altro gioia, il piacere di mettere l'altro nella condizione in cui è contento, è il piacere di mettere gioia nell'altro, come può essere il piacere di vedere il proprio coniuge gioire per la sorpresa di un regalo, il piacere che si prova nel vedere una persona rallegrarsi. La bontà è tutta proiettata al miglior risultato possibile per l'altro. È questo il punto di differenza tra il buonismo imperante della nostra cultura, e il desiderio di rendere felice l'altro.

È anche vero che il bene dell'altro non sempre è ciò che l'altro desidera. A volte il medico prescrive delle cure al malato che il malato non gradisce, eppure quelle sono per il suo vero bene. Se un padre rispetto al figlio fa solamente quello che il figlio gli chiede, per assecondarlo, questo è un padre che non vale niente. È un padre buonista che non corregge. Un padre sano, maturo, sa deludere il figlio quando deve dire al figlio le cose che gli sono necessarie.

La bontà è quell'atteggiamento di una persona che fa il vero bene dell'altro, anche a prescindere del parere dell'altro. È necessario lo Spirito Santo dato che questo è un frutto dello Spirito. C'è un punto di partenza e un punto di arrivo. Il punto di arrivo è l'altro. Se noi vogliamo capire cos'è la bontà, dobbiamo uscire dall'individualismo, dove la nostra attenzione resta fissata su di noi.

Partiamo da un punto che è essenziale. Quando nei Vangeli Gesù chiama le persone, vediamo che le chiama a lasciare qualcosa. C'è sempre una parte da lasciarsi alle spalle. Se noi vogliamo andare a fondo nel viaggio della bontà, dobbiamo lasciarci alle spalle qualche cosa. Se il punto di arrivo è cercare il meglio dell'altro, e in questo provare gioia, la cosa da lasciare dietro le spalle sono i propri problemi. L'uomo è un essere relazionale, e dunque ha il suo compimento nell'uscire da se stesso. Tantissimi problemi che le persone stanno affrontando, sono problemi da abbandonare. Molto spesso le persone, nella vita spirituale, sono incastrate in vicoli ciechi spirituali che non le portano da nessuna parte.

Io per capire le cose, le devo interrogare. Se una domanda non trova risposta, non è la risposta che non c'è; la maggioranza delle volte è la domanda che è sbagliata. La bontà è il frutto di una domanda azzeccata, giusta, fatta su noi stessi. Dov'è la mia felicità? Come posso risolvere i miei problemi? Se le ferite che un uomo o una donna portano dentro di sé vengono lette per se stessi, sono sempre realtà irrisolvibili. Esiste un'altra chiave per leggere tutte le nostre problematiche.

Cristo è vero Dio, ma anche vero uomo. Quindi ci rivela il vero uomo, la verità dell'uomo, la verità per me, la verità della mia identità. Se voglio sapere chi sono io, devo pormi la domanda: Cristo chi è? Cristo è il Logos, la Parola, è una cosa detta e la parola serve per comunicare con un altro. Se io sono una parola, se io sono in quanto parlo, in quanto mi relaziono, posso anche avere una storia personale segnata da alcune sofferenze, ma se cerco di spiegarmi perché queste cose sono successe a me lasciandomi delle ferite che mi condizionano, io girerò continuamente su una spirale inutile che mi porta sempre a me stesso. E se invece tutto questo che io ho sofferto potesse servire a qualcuno? Ecco che io trovo la chiave.

Se io cerco di spiegare me stesso per me stesso, ci sono tante cose che non mi tornano, ma se io mi penso come una parola, mi penso come una missione, mi penso in funzione di altri, se il mio scopo è dare gioia all'altro, ecco che le mie sofferenze diventano saggezza per capire quello che l'altro sta vivendo e come aiutarlo, perfino i miei errori diventano strumento per poter servire meglio, aiutare meglio l'altro, e qui mi realizzerò come persona.

Noi dobbiamo pensare a noi stessi come un pezzo di puzzle. Da solo non serve propria a niente, ma se in un grande puzzle mi manca un pezzo, ho un buco, un senso di vuoto. Se trovo quel pezzo e lo metto lì, ho il senso di una pienezza. Io sono il pezzo di un puzzle. Bisogna cercare di capire qual è il proprio posto nel puzzle, e scoprire che si può essere molto utili se messi nel posto giusto.

Quando la bontà non si manifesta nella vita, è perché qualcuno si sta facendo la domanda sbagliata, continua a chiedersi chi è mentre dovrebbe chiedersi a cosa serve, cosa può fare di buono.