Matteo 2:2 Dov'è il re dei Giudei che è nato? Poiché
noi abbiamo veduto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo.
È qui che compare per la prima volta il
titolo "re dei Giudei". È il logico sviluppo del tema della
discendenza davidica, con cui inizia il vangelo stesso: "Genealogia di
Gesù Cristo, figlio di Davide ..." (1:1).
La domanda è posta dai magi, ed è una domanda assai
particolare e per certi versi anche strana. È strana perché loro sanno della
nascita del re dei Giudei, mentre la gente che è in Gerusalemme ignora la
cosa.
La domanda, poi, che i sapienti d'oriente pongono qui
"Dov'è il re dei Giudei che è nato ... ?" è rivolta non ad
Erode, ma a Gerusalemme (vedi v. 1). Soltanto successivamente, dopo che ebbe udita la
notizia, Erode convoca segretamente i magi per saperne di più (v. 7). La
ricerca, quindi, parte da Gerusalemme, e non dai palazzi reali.
La domanda dei
magi è la domanda fondamentale: trovare il luogo, come
facciamo a trovarlo? Perché Gesù è già nato, il Messia è venuto, è nato in Israele.
Noi come facciamo a incontrarlo e una volta che l’abbiamo incontrato, cosa dobbiamo
fare? Ecco allora che nei magi incontriamo l’atteggiamento dell'uomo che è alla ricerca. È qui rappresentato tutto il nostro cammino di fede. La domanda è posta dunque in un contesto di ricerca, posta
all'inizio del racconto di Matteo, la cui risposta definitiva, però, si troverà
soltanto al termine di un lungo cammino, e precisamente in Mat. 27:37 nel cartello posto sopra
la croce: "Questo è Gesù, il re dei Giudei", frase fatta
scrivere da un altro pagano, Pilato, e costituisce la risposta alla ricerca
iniziale: "Dov'è il re dei Giudei che è nato?".
I magi giungono fino a Gerusalemme, condotti da una stella:
"abbiamo veduto la sua stella in Oriente". Il loro cammino, un
po’ come quello di Abrahamo, si rivelerà essere una ricerca interiore, che si
interroga su questo misterioso personaggio, annunciato da una "stella"
che essi hanno "veduto".
Il verbo "vedere", "oràō", indica sempre nei vangeli il
disvelarsi di realtà superiori. I ciechi, che acquistano la vista, che vedono,
di cui sono pieni i vangeli, sono sempre la metafora dell'uomo che raggiunge la
luce della fede ed ha compiuto un cammino di avvicinamento a Gesù, che gli si
disvela.
Anche questi magi, questi pagani, "hanno veduto",
cioè "hanno creduto" e a seguito di questa loro fede hanno
incominciato un cammino di ricerca, che li ha portati a Gerusalemme, la città in
cui si è celebrata, nella morte-risurrezione, la salvezza per l'intera umanità.
Essi hanno seguito la stella, che li portava verso il Dio
incarnato, rifiutato dai Giudei, ma che è stato creduto ed accolto proprio dai
pagani. Non a caso, infatti, il racconto della passione, si chiude con una profonda
confessione di fede fatta proprio da un pagano, il centurione: "Veramente,
costui era Figlio di Dio" (Mat. 27:54). Questa confessione di fede, in
bocca a un pagano ai piedi della croce, è il punto di arrivo di un cammino,
che ha il suo inizio proprio nella domanda che i magi pongono all'inizio:
"Dov'è il re dei Giudei che è nato?". Solo seguendo la luce
della stella essi lo trovano.
Ecco, allora, il senso di questo lungo viaggio dall'Oriente
pagano, di questo lungo cammino di fede: "siamo venuti per adorarlo".
La meta finale, pertanto, è il riconoscimento della regalità divina di Gesù,
espressa nella "proskynēsis"
(prostrazione, adorazione), riservata, presso il mondo orientale, soltanto al
re e alla divinità. Questo è il cammino della fede. Ho visto, ma non
basta vedere, il fine è adorare.
L'Evangelista non dice che la stella li abbia guidati nel
viaggio a Gerusalemme; ma che apparve loro in Oriente, ed essi vennero alla
capitale della Giudea. I responsabili giudei avrebbero dovuto loro far conoscere il
luogo preciso dove Gesù era nato; ma essendosi invece mostrati incuranti, e non
avendo voluto accompagnarli a Betlemme, apparve ai magi nuovamente la stella e li
guidò al Messia.
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