Umorismo
nella Bibbia
La Bibbia
contiene molto umorismo, anche se a volte è molto sottile. Oserei dire che
l'umorismo pervade la Bibbia: sarcasmo, ironia, giochi di parole, nomi ironici,
immagini ironiche, esagerazioni e situazioni divertenti. L’umorismo avvicina
Dio al genere umano. Per esempio, Dio sembra più accessibile e meno lontano
quando fa del sarcasmo.
Umorismo
nell’Antico Testamento
L'idea che persino Dio ride si trova più volte nei Salmi.
In Sal. 2:4, il salmista dice: "Colui
che siede nei cieli ne riderà; il Signore si befferà di loro". In Sal.
37:13, "Il Signore si ride di lui,
perché vede che il suo giorno viene". In Sal. 59:8, "Ma tu, o Eterno, ti riderai di loro; ti
farai beffe di tutte le genti". Tutti questi versetti indicano che un giorno
il Signore riderà dei malvagi.
Ovviamente, il tipo di risate qui descritto non è una
risata felice e amante del divertimento, ma sarcastica e derisoria. Il salmista
sta descrivendo una risata sdegnosa e sprezzante rivolta ai malvagi che non si
rendono conto dell'inutilità delle loro trame contro Dio.
La Bibbia impiega molti tipi di umorismo, ma il suo scopo
non è quello di intrattenere. Gran parte dell'umorismo trovato nella Bibbia ha
uno scopo: dimostrare che il male è sbagliato e a volte persino ridicolo.
Lo scopo di questo articolo non è di elencare
esaurientemente tutti gli esempi di umorismo della Bibbia, ma dimostrare che
l'umorismo permea le Sacre Scritture.
Sarcasmo
La Bibbia ci dice molto poco su Dathan e Abiram. Erano due
israeliti che si lamentarono durante i quarant'anni di soggiorno nel deserto.
Il modo in cui si sono lamentati, tuttavia, li ha fatti distinguere. Quando
iniziò la ribellione di Kore, Mosè tentò di fare la pace e convocò Dathan e Abiram,
i co-cospiratori di Kore. Dissero a Mosè (Num. 16:13): "È poco per te l'averci tratti fuori da un
paese dove scorre il latte e il miele, per farci morire nel deserto, che
tu voglia anche farla da principe, sì, da principe su noi?" La
"terra del latte e miele" era un termine usato per descrivere la
terra promessa, non l'Egitto. Impariamo qualcosa sulle personalità di Dathan e
Abiram dalla loro brutta osservazione fatta Mosè.
Impariamo anche molto sul carattere degli israeliti dal
loro modo di chiedere aiuto a Mosè, sette giorni dopo il loro esodo
dall'Egitto. Videro l'esercito del Faraone avvicinarsi alle loro spalle mentre
davanti a loro avevano il mare. La nascente nazione ebraica chiese a Mosè (Es.
14:11): "Forse perché non c'erano
sepolcri in Egitto ci hai portati a morire nel deserto?" Questa
osservazione impudente fatta quando tutto sembrava senza speranza, getta molta
luce sul loro carattere, dato che un atteggiamento di umiltà e di preghiera
avrebbe potuto essere una risposta più appropriata del sarcasmo, in un momento
di grande pericolo.
Il loro sarcasmo li ha portati a una brutta fine. Gli
israeliti, demoralizzati dal rapporto delle spie, si lamentarono con Mosè che
gli abitanti di Canaan erano troppo forti per essere sconfitti, e dissero (Num.
14:2): "Oh! fossimo morti nel paese
d'Egitto o fossimo morti in questo deserto!". La risposta di
Dio (Num. 14:28,29) a Mosè e Aaronne fu di dire agli israeliti: "io vi farò quello che ho sentito dire da
voi. I vostri cadaveri cadranno in questo deserto". Gli
israeliti adulti morirono nel deserto nei successivi 39 anni.
Quando il popolo ebraico, che era caduto nell’idolatria, gridò
a Dio riguardo ai popoli vicini (come i Filistei) che li stavano opprimendo
(Giud. 10:14), Dio disse loro: "Andate
a gridare agli dèi che avete scelto; vi salvino essi nel tempo della vostra
angoscia!". Come quando i
genitori dicono parole simili ai figli che non hanno voluto seguire i loro
consigli per andare dietro alle cattive compagnie.
Le osservazioni
di Elia ai profeti di Baal sono intrise di sarcasmo. Elia disse loro (1Re
18:27): "Gridate forte; poich'egli è
dio, ma sta meditando, o è andato in disparte, o è in viaggio; forse anche
dorme, e si risveglierà".
Al suo ritorno da Moab, dove perse il marito, i due figli
e tutta la sua ricchezza, Naomi disse agli abitanti di Betlemme (Ruth 1:20):
"Non mi chiamate Naomi
[=dolcezza]; chiamatemi Mara [=amara],
poiché l'Onnipotente mi ha ricolma
d'amarezza".
Giobbe fu
piuttosto sarcastico dopo che la sua vita divenne miserabile e il Libro di
Giobbe è pieno di osservazioni sarcastiche. Giobbe ha chiesto di confrontarsi
con Dio e conoscere la ragione di tutta la sua sofferenza. Il desiderio di
Giobbe fu esaudito e Dio gli disse (Giob. 38:4): "Dov'eri tu quand'io
fondavo la terra? Dillo, se hai tanta intelligenza". In altre parole,
quando creerai il tuo mondo, allora potrai dirmi come gestire il mio.
Ironia
In molti casi,
l'ironia della Bibbia dimostra che le persone dovrebbero stare attente a ciò
che dicono o fanno. Le loro azioni o parole possono tornare e perseguitarli
anni dopo.
Un classico
esempio di ironia è nella storia dei patriarchi. Colui che inganna alla fine
viene ingannato. Giacobbe ha ingannato il padre cieco, Isacco, fingendo di
essere il fratello maggiore Esaù. Diversi anni dopo, Labano ingannò Giacobbe e
sostituì Lea, sua figlia maggiore, con Rachele, sua figlia minore. Giacobbe fu
ingannato dai suoi figli nel credere che il suo figlio prediletto, Giuseppe,
fosse stato divorato da un animale. Anni dopo, Giuseppe, in qualità di Gran
Visir d'Egitto, ingannò i suoi fratelli che non lo riconoscevano.
La veste
colorata di Giuseppe fu intrisa nel sangue di capra per ingannare Giacobbe (Gen.
37:31) e fargli pensare che era stato ucciso. Al padre Giacobbe, i fratelli
chiesero se riconosceva la veste di Giuseppe. A Giuda, ingannato da Tamar, fu
chiesto se riconosceva il sigillo, i cordoni, e il bastone (Gen. 38:25).
Quando Rachele
era ancora senza figli, lei (Gen. 30:1): "invidiava sua sorella e disse a Giacobbe, dammi dei figli, altrimenti
muoio". La tragica ironia di questa affermazione è che Rachele
successivamente morì di parto dando alla luce Beniamino.
Dopo aver notato
che suo suocero Labano non lo trattava come in passato, Giacobbe decise di andarsene
con la sua famiglia. Rachele, una delle mogli di Giacobbe, rubò i terafim di
suo padre Labano. Labano li inseguì e li intercettò sui monti di Galaad (Gen.
31:30) e disse a Giacobbe: "Perché
hai rubato i miei dei?". C’è umorismo nel fatto che, non solo l’ingannatore
Labano è stato ingannato, ma i suoi dèi erano in realtà sotto il posteriore di
sua figlia Rachele (Gen. 31:34). Questi dèi non hanno ricevuto molto rispetto.
C'è ironia nel
canto del Mar Rosso cantato da Mosè e dagli israeliti. Un verso del canto dice
(Es. 15:17): "Tu li introdurrai
e li pianterai
sul monte del tuo retaggio". Mosè e gli israeliti profetizzarono
inavvertitamente parlando in terza persona plurale, "loro", piuttosto che in prima persona plurale, "noi". Come sappiamo, quella
generazione, incluso Mosè, non entrò nella terra promessa.
Mosè convocò
Dathan e Abiram nella speranza di prevenire una grave ribellione iniziata da
Kore (Num. 16:12): "E Mosè mandò a
chiamare Dathan e Aviram… ma essi dissero: Noi
non saliremo". Avevano ragione, pochi versi dopo, il testo afferma
che sono morti per essere stati inghiottiti dalla terra; non sono saliti,
sono discesi!
Chiaramente, c'è
ironia nel fatto che molte delle punizioni inflitte da Dio erano misure per
misura. La punizione divina si adatta al peccato. Per esempio, gli egiziani
hanno annegato i bambini nel fiume, quindi Dio li ha annegati nel mare. Miriam,
sorella di Mosè, ha denigrato Mosè "a
causa della donna Cuscita che aveva preso" (Num. 12:1). I Cusciti
(etiopi) avevano la pelle molto scura e la punizione di Miriam fu che divenne
lebbrosa, o "bianca come la neve". Miriam divenne mortalmente bianca
per aver fatto osservazioni critiche su una persona dalla pelle scura.
Gli israeliti si
lamentarono del fatto che la manna non era sufficiente e chiesero carne nel
modo più spregevole (Numeri 11). La punizione di Dio è stata quella di dare
loro carne fino a quando "ti esce dal naso e ti fa venire la nausea"
(Num. 11:20). Gli ingrati morirono "mentre
la carne era ancora tra i denti" (Num. 11:33).
Il canto di
Deborah raffigurava la madre di Sisera che guardava fuori dalla finestra per
capire perché il carro di suo figlio fosse in ritardo. Le savie tra le sue dame
le dissero (Giud. 5:30): "Non trovano
bottino? non se lo dividono? Una fanciulla, due fanciulle per ognuno".
L'ironia è che mentre alla madre di Sisera veniva detto che suo figlio
ritardava perché stava rapendo le donne di Israele, una giovane donna, Jael, lo
uccise martellando il perno della tenda sulla sua tempia mentre dormiva.
Quando il re
Davide fece uccidere Uria, il marito di Bathsheba, il re mandò una lettera al
suo generale, Joab, dicendogli di collocare Uria sul fronte dove la battaglia
era più feroce in modo da essere ucciso. L'ironia è che Davide inviò questa
lettera per mano di Uria, che ha portato inconsapevolmente il proprio mandato
di morte a Joab (2Sam. 11:14-16). Le cose furono ribaltate su Davide quando il
profeta Nathan gli raccontò una parabola, facendo sembrare che il fatto fosse
realmente accaduto. La parabola di Nathan riguardava un povero che non
possedeva altro che un agnello che amava molto. Un uomo ricco prese l'agnello e
lo macellò per preparare un pasto per un ospite. Davide, che ha preso alla
lettera la storia, ha giurato che tale persona meritava la morte. La parabola
si riferiva allo stesso Davide, che aveva portato via la moglie di Uria, ma
così facendo aveva anche firmato la propria condanna a morte.
Un caso simile si
trova anche nel Libro di Ester. Haman pensava che il re stesse parlando di
premiarlo quando in realtà parlava di Mardocheo. Haman fu quindi costretto a rendere
a Mardocheo quegli onori che desiderava per se stesso.
L’Ecclesiaste
sottolinea le varie ironie della vita: il fatto che lo stesso destino attende il
saggio e lo sciocco, l’animale e l’uomo; il fatto che la ricchezza acquisita
con tanta fatica, spesso va agli sciocchi che la sperperano; che l'amante del
denaro non è soddisfatto del denaro; ecc..
Il libro di
Ester è intriso di ironia. Ad esempio, alla fine della storia, Haman e i suoi
figli furono impiccati sulla stessa forca che Haman aveva preparato in
precedenza per Mardocheo.
Giochi di parole, doppi sensi, arguzie verbali
Gran parte
dell'umorismo nella Bibbia è sotto forma di giochi di parole che, naturalmente,
possono essere apprezzati solo nell'ebraico originale. Questi giochi di parole
non sono evidenti nelle traduzioni.
A volte, i
giochi di parole servono a collegare situazioni o azioni apparentemente
diverse. Ad esempio, la parola ‘ărûmîm
è usata in Gen. 2:25 per indicare la nudità, cioè Adamo ed Eva erano nudi nel
Giardino dell'Eden. Il verso successivo (Gen. 3:1) usa la parola ‘ārûm per indicare l’astuzia, cioè il
serpente era astuto. Potrebbe benissimo esserci una connessione tra questi due
versi e il lettore è sfidato a trovarlo.
Un'altra
connessione con il gioco di parole è l’uso della radice ebraica שחת, che significa rovina e distruzione, ma può anche connotare
corruzione e decadenza. La Bibbia usa dapprima questa parola per descrivere la
totale corruzione dell'umanità appena prima del Diluvio Universale ai tempi di
Noè (Gen. 6:11-14). Più tardi questa parola viene usata per descrivere l’azione
distruttrice del diluvio (Gen. 6:17). Qui la Bibbia usa un gioco di parole per
enfatizzare il legame tra corruzione e distruzione.
Le parole sono a
volte il sottile mezzo con cui il testo manifesta la disapprovazione per le
azioni di qualcuno. In Gen. 9:20: "Noè, coltivatore della terra, cominciò
a piantare una vigna", la parola tradotta "cominciò" è wayyāḥel. Questa parola, tuttavia,
può anche significare degradare, abbassare se stessi o agire in maniera profana.
Usando un gioco di parole, la Bibbia mostra il suo dispiacere per Noè che ha
piantato per prima cosa una vigna (poi si è ubriacato) dopo il diluvio,
piuttosto che piantare qualcos'altro. Chiamare Noè "coltivatore della
terra", letteralmente "uomo della terra" (’îš hā’ădāmāh) può anche essere un sottile insulto. Mosè fu
chiamato "uomo di Dio" a motivo della sua preoccupazione per le
questioni spirituali, e Noè, la persona la cui priorità era piantare una vigna,
fu chiamato "uomo della terra".
Un altro esempio
si riferisce all'affermazione secondo cui Isacco amava Esaù perché era (Gen.
25:28): "ṣayid befîw".
Questo significa letteralmente che Esaù il cacciatore fornì a suo padre un
gioco per la sua bocca. La parola ṣayid può significare
gioco (ba significa "in" e fiw significa "bocca"), ma può
anche significare cacciare o intrappolare. C’è un doppio significato. Il verso
potrebbe suggerire che Esaù usasse la propria bocca per intrappolare (cioè
ingannare) suo padre. Esaù era ingannevole e fece credere a suo padre di essere
una brava persona e, quindi, suo padre lo amava più di Giacobbe.
È scritto (Lev.
19:4): "Non rivolgetevi agli idoli (’ělîlîm)".
La parola ’ělîlîm è collegata alla
parola ebraica al che significa no o
niente. Una parola simile è usata in Giob. 13:4, "rōfe’ê ’ělil" (un medico da nulla, un ciarlatano).
La Bibbia
ebraica usa spesso parole con altri significati per descrivere gli idoli. Ad
esempio, la radice עצב
è usata per indicare idoli in numerosi posti. Ad esempio, viene usata
più volte nei Salmi (106:36; 115:4; 135:15) e in 1Sam. 31:9. עצב significa
dolore, sofferenza, e angoscia (per esempio Gen. 34:7; 45:5). Le persone che
adorano gli idoli sono in difficoltà perché i loro idoli non li ascoltano mai.
Anche la parola gillulîm è usata per indicare gli idoli
(per esempio Lev. 26:30; 1Re 15:12). Deriva dalla parola ebraica galal che significa sterco ed
escrementi.
Tô‘ēvōt è usata più volte per
riferirsi a un abominio, qualcosa di disgustoso e ripugnante (per esempio, le relazioni
incestuose di cui Lev. 18:27). Questa parola è anche usata per gli idoli in
molti luoghi (ad es. Es. 8:22; Deut. 7:26).
Sono talmente
tanti i giochi di parole nella Bibbia che ci si potrebbe scrivere un libro.
Quella che segue è solo una piccola selezione.
L'appello di Lot
agli abitanti di Sodoma dopo che avevano scoperto che aveva degli ospiti fu
(Gen. 19:8): "Non fate nulla a questi uomini (lā’ănāšîm hā’ēl)". Le parole "lā’ănāšîm hā’ēl" significa "questi uomini" ma può
anche significare "uomini di Dio". In effetti, i due
"uomini" che Lot stava proteggendo erano in realtà angeli inviati da
Dio.
Esaù era
affamato e mostrò la sua mancanza di buone maniere dicendo letteralmente a
Giacobbe (Gen. 25:30): "Fammi trangugiare (hal‘îṭēnî) un po’ di questa rossa, rossa
roba, perché sono stanco". Questa è l'unica volta in tutta la Scrittura
che viene usata la parola hal‘îṭēnî.
La parola è usata per mostrare quanto fosse grossolano Esaù. Chiese a Giacobbe
di dargli da mangiare come a un animale. Normalmente, chi ha fame direbbe
"haḥil na‘lî"
che significa educatamente "dammi da mangiare".
Labano disse a
Giacobbe (Gen. 30:28): "Stabilisci (nāqevāh)
quale compenso vuoi da me, e te lo darò". La parola "nāqevāh" significa
stabilire, specificare, designare. Tuttavia, questa parola ha esattamente la
stessa ortografia di neqevah
che significa femmina. Questo è un gioco di parole straordinario, e si
riferisce al fatto che Giacobbe aveva lavorato per delle donne, precisamente
per Rachele.
Giacobbe rubò la
benedizione (bircāt) a Esaù. Più
tardi, Esaù, con 400 uomini, venne a incontrare Giacobbe al suo ritorno dalla casa
di Labano. Giacobbe inviò un regalo (minḥāh)
ad Esaù per rabbonirlo. La parola minḥāh è usata più volte per descrivere questo dono. Tuttavia, quando
Giacobbe disse a Esaù (Gen. 33:11): "Accetta il mio dono", la parola
che Giacobbe usò per il dono fu bircātî
che può significare dono, ma letteralmente significa "la mia
benedizione". Era un errore freudiano? Giacobbe era nervoso per la
benedizione che aveva "rubato" venti anni prima e aveva
inavvertitamente usato la parola sbagliata? La parola più appropriata sarebbe
stata minḥāhtî (il mio dono).
Il noto versetto di Deut. 8:3, "l'uomo non vive
soltanto di pane, ma l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore",
contiene un interessante gioco di parole. Il cibo normalmente va in bocca. Il
verso parla di cose che escono "dalla bocca". Il verso avrebbe potuto
altrettanto facilmente dire che l'uomo vive di cose che provengono dalla mano
del Signore piuttosto che dalla "bocca del Signore".
Il profeta Osea
paragonò Dio a un leone e un leopardo in attesa di distruggere il suo popolo
per averlo abbandonato (13:7): "... come un leopardo li spierò per la via".
La parola usata per "spiare" o "stare in agguato" è ’āšûr. Questa parola è scritta
esattamente come la parola Ashur che significa Assiria, tranne per il fatto che
manca un dagesh (un puntino aggiunto
a una consonante per indicare una differenza nella pronuncia). È interessante
notare che il profeta Osea avvertì il Regno di Israele riguardo l’Assiria. Si
riferiva al trattato fatto con l'Assiria (vedi Os. 12:2) e disse agli israeliti
che (Os. 14:4): "L'Assiria (Ashur) non ci salverà". È un dato di
fatto, furono gli Assiri a deportare le dieci tribù di Israele. Usare la parola
’āšûr per descrivere il leopardo in
agguato che guarda furtivamente è un gioco di parole intelligente: lo strumento
di Dio per punire gli israeliti per l’idolatria e l’immoralità era davvero
l'Assiria.
Storie e situazioni umoristiche
Molte delle
storie contenute nel testo sono piuttosto divertenti. Per esempio, la piaga
delle rane. In primo luogo, le immagini evocate da un paese invaso da rane che
saltano, tra cui nel palazzo reale, nelle camere da letto, nei forni, ecc.,
sono abbastanza divertenti. C'è persino umorismo nella parola usata per
descrivere la preghiera di Mosè a Dio che chiede che le rane vadano via. Mosè gridò (wayyiṣ‘aq) a Dio. Mosè dovette gridare
perché il rumore prodotto da tutte quelle rane richiedeva che Mosè urlasse per essere
ascoltato.
Anche Dio si può esasperare con il Suo popolo. Dapprima
disse a Mosè (Es. 3:10): "Or dunque vieni, e io ti manderò a Faraone
perché tu faccia uscire il mio popolo, i figli d'Israele,
dall'Egitto". Dopo aver creato il vitello d'oro, Dio disse a Mosè (Es.
32:7): "Va', scendi; perché il tuo popolo che hai tratto dal paese
d'Egitto, si è corrotto". È molto simile ai genitori che possono dirsi
l'un l'altro quando un bambino si comporta male: "Vai a parlare a tuo
figlio".
Boaz disse a Ruth (Ruth 2:8): "non andare a spigolare
in un altro campo, e non t'allontanare di qui, ma rimani con le mie serve". Boaz disse a Ruth di
rimanere nella parte del campo dove lavoravano le giovani donne in modo da non
essere molestata da nessuno dei mietitori maschi. Ruth ripeté le parole di Boaz
a sua suocera Naomi, ma apportò una leggera modifica (Ruth 2:21): "Mi ha
anche detto: Rimani con i miei servi,
finché abbiano finita tutta la mia messe". Ruth ha sostituito
"serve" con "servi". Naomi deve averla capita perché disse
a Ruth (Ruth 2:22): "È bene, figlia mia, che tu vada con le sue serve e
non ti si trovi in un altro campo". La scivolata freudiana di Ruth può
aver fatto capire a Naomi che Ruth aveva bisogno di un marito e quindi
consigliò immediatamente a Ruth come sposarsi.
Umorismo nel Nuovo
Testamento
Riporto soltanto
alcuni pochi esempi a titolo dimostrativo.
Si facessero pur
anche evirare quelli che vi mettono sottosopra! (Gal. 5:12)
Paolo parla in un tono chiaramente sarcastico, oltre che
amaro. Per un ebreo questa frase ha quasi un effetto di una bestemmia, se si
tiene conto di quanto è scritto in Deut. 23:2: "L'eunuco a cui sono state infrante o mutilate le parti, non entrerà
nell’assemblea dell'Eterno". Paolo
vuole colpire i suoi avversari nel loro senso dell’onore e dell’amor proprio.
Di fronte al fanatismo cieco che essi mostravano per un rito corporale che
osavano contrapporre al sacrificio del Golgota, Paolo si sdegna e fa questa
amara ironia verso i fanatici della circoncisione.
Se
sono così propensi alle mutilazioni corporali, non si fermino al taglio di un
po’ di pelle, ma facciano quello che facevano alcuni sacerdoti della dea Cibele,
si facciano addirittura evirare. Così sarà più meritorio ancora il loro
fanatismo e così potranno gloriarsi ancora di più nella carne. Se la
giustificazione è dal taglio della propria carne, più si taglia la carne e più
si è giustificati. Se costoro veramente credono in questo, che allora lo
dimostrino e anziché farsi circoncidere, si facciano mutilare, e così si dà
testimonianza della propria fede.
Se dunque tu stai
per offrire la tua offerta sull'altare, e qui ti ricordi che il tuo fratello ha
qualcosa contro di te, lascia qui la tua offerta dinanzi all'altare, e vai
prima a riconciliarti col tuo fratello; e poi vieni ad offrire la tua offerta
(Mat. 5:23,24).
Qui Gesù, in
maniera ironica ci presenta il momento più importante della vita di un fedele.
È andato a Gerusalemme, si è dato da fare per trovare la vittima da offrire in
sacrificio; si è dato da fare per salire al tempio, ha fatto la fila, ha
aspettato che il sacerdote fosse pronto con le preghiere, con le benedizioni
per fare il sacrificio, quando… c’è quello lì che ancora ce l’ha con lui! Molla
tutto per andare a trovare quello che ce l’ha con lui e che forse si trova a
trenta chilometri (un giorno di cammino!), facendo incavolare il sacerdote.
Gesù ci ricorda, in maniera ironica, che non ci si può
unire a Dio attraverso un atto liturgico di culto, se non siamo in comunione
con gli altri. L’ostacolo che c’è tra me e un fratello, si ripresenta
tra me e Dio.
Or andate e imparate
che cosa significhi: Voglio
misericordia, e non sacrificio; poiché io non sono venuto a chiamare dei
giusti, ma dei peccatori (Mat. 9:13).
Dov’è
qui l’ironia? È nel fatto che Gesù non parla al popolino, a gente ignorante,
parla a gente che è sempre sopra la Bibbia, ma pur conoscendo le lettere e le
espressioni, non ne capisce il senso. Gesù dice: ignoranti, andate, uscite da
qui, andate a imparare che cosa significhi…
Con
questa risposta Gesù fa loro vedere, che nonostante il loro zelo per la Legge, essi
non la conoscono e trasgrediscono uno dei precetti principali. Se i Farisei
conoscessero la Legge, saprebbero che il Messia deve venire per riconciliare i
peccatori con Dio e per chiamarli a salvezza.
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