martedì 28 gennaio 2020

UMORISMO NELLA BIBBIA


Umorismo nella Bibbia

La Bibbia contiene molto umorismo, anche se a volte è molto sottile. Oserei dire che l'umorismo pervade la Bibbia: sarcasmo, ironia, giochi di parole, nomi ironici, immagini ironiche, esagerazioni e situazioni divertenti. L’umorismo avvicina Dio al genere umano. Per esempio, Dio sembra più accessibile e meno lontano quando fa del sarcasmo.


Umorismo nell’Antico Testamento

L'idea che persino Dio ride si trova più volte nei Salmi. In Sal. 2:4, il salmista dice: "Colui che siede nei cieli ne riderà; il Signore si befferà di loro". In Sal. 37:13, "Il Signore si ride di lui, perché vede che il suo giorno viene". In Sal. 59:8, "Ma tu, o Eterno, ti riderai di loro; ti farai beffe di tutte le genti". Tutti questi versetti indicano che un giorno il Signore riderà dei malvagi.

Ovviamente, il tipo di risate qui descritto non è una risata felice e amante del divertimento, ma sarcastica e derisoria. Il salmista sta descrivendo una risata sdegnosa e sprezzante rivolta ai malvagi che non si rendono conto dell'inutilità delle loro trame contro Dio.

La Bibbia impiega molti tipi di umorismo, ma il suo scopo non è quello di intrattenere. Gran parte dell'umorismo trovato nella Bibbia ha uno scopo: dimostrare che il male è sbagliato e a volte persino ridicolo.

Lo scopo di questo articolo non è di elencare esaurientemente tutti gli esempi di umorismo della Bibbia, ma dimostrare che l'umorismo permea le Sacre Scritture.

Sarcasmo

La Bibbia ci dice molto poco su Dathan e Abiram. Erano due israeliti che si lamentarono durante i quarant'anni di soggiorno nel deserto. Il modo in cui si sono lamentati, tuttavia, li ha fatti distinguere. Quando iniziò la ribellione di Kore, Mosè tentò di fare la pace e convocò Dathan e Abiram, i co-cospiratori di Kore. Dissero a Mosè (Num. 16:13): "È poco per te l'averci tratti fuori da un paese dove scorre il latte e il miele, per farci morire nel deserto, che tu voglia anche farla da principe, sì, da principe su noi?" La "terra del latte e miele" era un termine usato per descrivere la terra promessa, non l'Egitto. Impariamo qualcosa sulle personalità di Dathan e Abiram dalla loro brutta osservazione fatta Mosè.

Impariamo anche molto sul carattere degli israeliti dal loro modo di chiedere aiuto a Mosè, sette giorni dopo il loro esodo dall'Egitto. Videro l'esercito del Faraone avvicinarsi alle loro spalle mentre davanti a loro avevano il mare. La nascente nazione ebraica chiese a Mosè (Es. 14:11): "Forse perché non c'erano sepolcri in Egitto ci hai portati a morire nel deserto?" Questa osservazione impudente fatta quando tutto sembrava senza speranza, getta molta luce sul loro carattere, dato che un atteggiamento di umiltà e di preghiera avrebbe potuto essere una risposta più appropriata del sarcasmo, in un momento di grande pericolo.

Il loro sarcasmo li ha portati a una brutta fine. Gli israeliti, demoralizzati dal rapporto delle spie, si lamentarono con Mosè che gli abitanti di Canaan erano troppo forti per essere sconfitti, e dissero (Num. 14:2): "Oh! fossimo morti nel paese d'Egitto o fossimo morti in questo deserto!". La risposta di Dio (Num. 14:28,29) a Mosè e Aaronne fu di dire agli israeliti: "io vi farò quello che ho sentito dire da voi. I vostri cadaveri cadranno in questo deserto". Gli israeliti adulti morirono nel deserto nei successivi 39 anni.

Quando il popolo ebraico, che era caduto nell’idolatria, gridò a Dio riguardo ai popoli vicini (come i Filistei) che li stavano opprimendo (Giud. 10:14), Dio disse loro: "Andate a gridare agli dèi che avete scelto; vi salvino essi nel tempo della vostra angoscia!".  Come quando i genitori dicono parole simili ai figli che non hanno voluto seguire i loro consigli per andare dietro alle cattive compagnie.

Le osservazioni di Elia ai profeti di Baal sono intrise di sarcasmo. Elia disse loro (1Re 18:27): "Gridate forte; poich'egli è dio, ma sta meditando, o è andato in disparte, o è in viaggio; forse anche dorme, e si risveglierà".

Al suo ritorno da Moab, dove perse il marito, i due figli e tutta la sua ricchezza, Naomi disse agli abitanti di Betlemme (Ruth 1:20): "Non mi chiamate Naomi [=dolcezza]; chiamatemi Mara [=amara], poiché l'Onnipotente mi ha ricolma d'amarezza".

Giobbe fu piuttosto sarcastico dopo che la sua vita divenne miserabile e il Libro di Giobbe è pieno di osservazioni sarcastiche. Giobbe ha chiesto di confrontarsi con Dio e conoscere la ragione di tutta la sua sofferenza. Il desiderio di Giobbe fu esaudito e Dio gli disse (Giob. 38:4): "Dov'eri tu quand'io fondavo la terra? Dillo, se hai tanta intelligenza". In altre parole, quando creerai il tuo mondo, allora potrai dirmi come gestire il mio.

Ironia

In molti casi, l'ironia della Bibbia dimostra che le persone dovrebbero stare attente a ciò che dicono o fanno. Le loro azioni o parole possono tornare e perseguitarli anni dopo.

Un classico esempio di ironia è nella storia dei patriarchi. Colui che inganna alla fine viene ingannato. Giacobbe ha ingannato il padre cieco, Isacco, fingendo di essere il fratello maggiore Esaù. Diversi anni dopo, Labano ingannò Giacobbe e sostituì Lea, sua figlia maggiore, con Rachele, sua figlia minore. Giacobbe fu ingannato dai suoi figli nel credere che il suo figlio prediletto, Giuseppe, fosse stato divorato da un animale. Anni dopo, Giuseppe, in qualità di Gran Visir d'Egitto, ingannò i suoi fratelli che non lo riconoscevano.

La veste colorata di Giuseppe fu intrisa nel sangue di capra per ingannare Giacobbe (Gen. 37:31) e fargli pensare che era stato ucciso. Al padre Giacobbe, i fratelli chiesero se riconosceva la veste di Giuseppe. A Giuda, ingannato da Tamar, fu chiesto se riconosceva il sigillo, i cordoni, e il bastone (Gen. 38:25).

Quando Rachele era ancora senza figli, lei (Gen. 30:1): "invidiava sua sorella e disse a Giacobbe, dammi dei figli, altrimenti muoio". La tragica ironia di questa affermazione è che Rachele successivamente morì di parto dando alla luce Beniamino.

Dopo aver notato che suo suocero Labano non lo trattava come in passato, Giacobbe decise di andarsene con la sua famiglia. Rachele, una delle mogli di Giacobbe, rubò i terafim di suo padre Labano. Labano li inseguì e li intercettò sui monti di Galaad (Gen. 31:30) e disse a Giacobbe: "Perché hai rubato i miei dei?". C’è umorismo nel fatto che, non solo l’ingannatore Labano è stato ingannato, ma i suoi dèi erano in realtà sotto il posteriore di sua figlia Rachele (Gen. 31:34). Questi dèi non hanno ricevuto molto rispetto.

C'è ironia nel canto del Mar Rosso cantato da Mosè e dagli israeliti. Un verso del canto dice (Es. 15:17): "Tu li introdurrai e li pianterai sul monte del tuo retaggio". Mosè e gli israeliti profetizzarono inavvertitamente parlando in terza persona plurale, "loro", piuttosto che in prima persona plurale, "noi". Come sappiamo, quella generazione, incluso Mosè, non entrò nella terra promessa.

Mosè convocò Dathan e Abiram nella speranza di prevenire una grave ribellione iniziata da Kore (Num. 16:12): "E Mosè mandò a chiamare Dathan e Aviram… ma essi dissero: Noi non saliremo". Avevano ragione, pochi versi dopo, il testo afferma che sono morti per essere stati inghiottiti dalla terra; non sono saliti, sono discesi!

Chiaramente, c'è ironia nel fatto che molte delle punizioni inflitte da Dio erano misure per misura. La punizione divina si adatta al peccato. Per esempio, gli egiziani hanno annegato i bambini nel fiume, quindi Dio li ha annegati nel mare. Miriam, sorella di Mosè, ha denigrato Mosè "a causa della donna Cuscita che aveva preso" (Num. 12:1). I Cusciti (etiopi) avevano la pelle molto scura e la punizione di Miriam fu che divenne lebbrosa, o "bianca come la neve". Miriam divenne mortalmente bianca per aver fatto osservazioni critiche su una persona dalla pelle scura.

Gli israeliti si lamentarono del fatto che la manna non era sufficiente e chiesero carne nel modo più spregevole (Numeri 11). La punizione di Dio è stata quella di dare loro carne fino a quando "ti esce dal naso e ti fa venire la nausea" (Num. 11:20). Gli ingrati morirono "mentre la carne era ancora tra i denti" (Num. 11:33).

Il canto di Deborah raffigurava la madre di Sisera che guardava fuori dalla finestra per capire perché il carro di suo figlio fosse in ritardo. Le savie tra le sue dame le dissero (Giud. 5:30): "Non trovano bottino? non se lo dividono? Una fanciulla, due fanciulle per ognuno". L'ironia è che mentre alla madre di Sisera veniva detto che suo figlio ritardava perché stava rapendo le donne di Israele, una giovane donna, Jael, lo uccise martellando il perno della tenda sulla sua tempia mentre dormiva.

Quando il re Davide fece uccidere Uria, il marito di Bathsheba, il re mandò una lettera al suo generale, Joab, dicendogli di collocare Uria sul fronte dove la battaglia era più feroce in modo da essere ucciso. L'ironia è che Davide inviò questa lettera per mano di Uria, che ha portato inconsapevolmente il proprio mandato di morte a Joab (2Sam. 11:14-16). Le cose furono ribaltate su Davide quando il profeta Nathan gli raccontò una parabola, facendo sembrare che il fatto fosse realmente accaduto. La parabola di Nathan riguardava un povero che non possedeva altro che un agnello che amava molto. Un uomo ricco prese l'agnello e lo macellò per preparare un pasto per un ospite. Davide, che ha preso alla lettera la storia, ha giurato che tale persona meritava la morte. La parabola si riferiva allo stesso Davide, che aveva portato via la moglie di Uria, ma così facendo aveva anche firmato la propria condanna a morte.

Un caso simile si trova anche nel Libro di Ester. Haman pensava che il re stesse parlando di premiarlo quando in realtà parlava di Mardocheo. Haman fu quindi costretto a rendere a Mardocheo quegli onori che desiderava per se stesso.

L’Ecclesiaste sottolinea le varie ironie della vita: il fatto che lo stesso destino attende il saggio e lo sciocco, l’animale e l’uomo; il fatto che la ricchezza acquisita con tanta fatica, spesso va agli sciocchi che la sperperano; che l'amante del denaro non è soddisfatto del denaro; ecc..

Il libro di Ester è intriso di ironia. Ad esempio, alla fine della storia, Haman e i suoi figli furono impiccati sulla stessa forca che Haman aveva preparato in precedenza per Mardocheo.

Giochi di parole, doppi sensi, arguzie verbali

Gran parte dell'umorismo nella Bibbia è sotto forma di giochi di parole che, naturalmente, possono essere apprezzati solo nell'ebraico originale. Questi giochi di parole non sono evidenti nelle traduzioni.

A volte, i giochi di parole servono a collegare situazioni o azioni apparentemente diverse. Ad esempio, la parola ‘ărûmîm è usata in Gen. 2:25 per indicare la nudità, cioè Adamo ed Eva erano nudi nel Giardino dell'Eden. Il verso successivo (Gen. 3:1) usa la parola ‘ārûm per indicare l’astuzia, cioè il serpente era astuto. Potrebbe benissimo esserci una connessione tra questi due versi e il lettore è sfidato a trovarlo.

Un'altra connessione con il gioco di parole è l’uso della radice ebraica שחת, che significa rovina e distruzione, ma può anche connotare corruzione e decadenza. La Bibbia usa dapprima questa parola per descrivere la totale corruzione dell'umanità appena prima del Diluvio Universale ai tempi di Noè (Gen. 6:11-14). Più tardi questa parola viene usata per descrivere l’azione distruttrice del diluvio (Gen. 6:17). Qui la Bibbia usa un gioco di parole per enfatizzare il legame tra corruzione e distruzione.

Le parole sono a volte il sottile mezzo con cui il testo manifesta la disapprovazione per le azioni di qualcuno. In Gen. 9:20: "Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna", la parola tradotta "cominciò" è wayyāḥel. Questa parola, tuttavia, può anche significare degradare, abbassare se stessi o agire in maniera profana. Usando un gioco di parole, la Bibbia mostra il suo dispiacere per Noè che ha piantato per prima cosa una vigna (poi si è ubriacato) dopo il diluvio, piuttosto che piantare qualcos'altro. Chiamare Noè "coltivatore della terra", letteralmente "uomo della terra" (’îš hā’ădāmāh) può anche essere un sottile insulto. Mosè fu chiamato "uomo di Dio" a motivo della sua preoccupazione per le questioni spirituali, e Noè, la persona la cui priorità era piantare una vigna, fu chiamato "uomo della terra".

Un altro esempio si riferisce all'affermazione secondo cui Isacco amava Esaù perché era (Gen. 25:28): "ṣayid befîw". Questo significa letteralmente che Esaù il cacciatore fornì a suo padre un gioco per la sua bocca. La parola ṣayid può significare gioco (ba significa "in" e fiw significa "bocca"), ma può anche significare cacciare o intrappolare. C’è un doppio significato. Il verso potrebbe suggerire che Esaù usasse la propria bocca per intrappolare (cioè ingannare) suo padre. Esaù era ingannevole e fece credere a suo padre di essere una brava persona e, quindi, suo padre lo amava più di Giacobbe.

È scritto (Lev. 19:4): "Non rivolgetevi agli idoli (’ělîlîm)". La parola ’ělîlîm è collegata alla parola ebraica al che significa no o niente. Una parola simile è usata in Giob. 13:4, "rōfe’ê ’ělil" (un medico da nulla, un ciarlatano).

La Bibbia ebraica usa spesso parole con altri significati per descrivere gli idoli. Ad esempio, la radice עצב è usata per indicare idoli in numerosi posti. Ad esempio, viene usata più volte nei Salmi (106:36; 115:4; 135:15) e in 1Sam. 31:9. עצב significa dolore, sofferenza, e angoscia (per esempio Gen. 34:7; 45:5). Le persone che adorano gli idoli sono in difficoltà perché i loro idoli non li ascoltano mai.

Anche la parola gillulîm è usata per indicare gli idoli (per esempio Lev. 26:30; 1Re 15:12). Deriva dalla parola ebraica galal che significa sterco ed escrementi.

Tô‘ēvōt è usata più volte per riferirsi a un abominio, qualcosa di disgustoso e ripugnante (per esempio, le relazioni incestuose di cui Lev. 18:27). Questa parola è anche usata per gli idoli in molti luoghi (ad es. Es. 8:22; Deut. 7:26).

Sono talmente tanti i giochi di parole nella Bibbia che ci si potrebbe scrivere un libro. Quella che segue è solo una piccola selezione.

L'appello di Lot agli abitanti di Sodoma dopo che avevano scoperto che aveva degli ospiti fu (Gen. 19:8): "Non fate nulla a questi uomini (lā’ănāšîm hā’ēl)". Le parole "lā’ănāšîm hā’ēl" significa "questi uomini" ma può anche significare "uomini di Dio". In effetti, i due "uomini" che Lot stava proteggendo erano in realtà angeli inviati da Dio.

Esaù era affamato e mostrò la sua mancanza di buone maniere dicendo letteralmente a Giacobbe (Gen. 25:30): "Fammi trangugiare (hal‘îēnî) un po’ di questa rossa, rossa roba, perché sono stanco". Questa è l'unica volta in tutta la Scrittura che viene usata la parola hal‘îēnî. La parola è usata per mostrare quanto fosse grossolano Esaù. Chiese a Giacobbe di dargli da mangiare come a un animale. Normalmente, chi ha fame direbbe "hail na‘lî" che significa educatamente "dammi da mangiare".

Labano disse a Giacobbe (Gen. 30:28): "Stabilisci (nāqevāh) quale compenso vuoi da me, e te lo darò". La parola "nāqevāh" significa stabilire, specificare, designare. Tuttavia, questa parola ha esattamente la stessa ortografia di neqevah che significa femmina. Questo è un gioco di parole straordinario, e si riferisce al fatto che Giacobbe aveva lavorato per delle donne, precisamente per Rachele.

Giacobbe rubò la benedizione (bircāt) a Esaù. Più tardi, Esaù, con 400 uomini, venne a incontrare Giacobbe al suo ritorno dalla casa di Labano. Giacobbe inviò un regalo (minḥāh) ad Esaù per rabbonirlo. La parola minḥāh è usata più volte per descrivere questo dono. Tuttavia, quando Giacobbe disse a Esaù (Gen. 33:11): "Accetta il mio dono", la parola che Giacobbe usò per il dono fu bircātî che può significare dono, ma letteralmente significa "la mia benedizione". Era un errore freudiano? Giacobbe era nervoso per la benedizione che aveva "rubato" venti anni prima e aveva inavvertitamente usato la parola sbagliata? La parola più appropriata sarebbe stata minḥāh (il mio dono).

Il noto versetto di Deut. 8:3, "l'uomo non vive soltanto di pane, ma l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore", contiene un interessante gioco di parole. Il cibo normalmente va in bocca. Il verso parla di cose che escono "dalla bocca". Il verso avrebbe potuto altrettanto facilmente dire che l'uomo vive di cose che provengono dalla mano del Signore piuttosto che dalla "bocca del Signore".

Il profeta Osea paragonò Dio a un leone e un leopardo in attesa di distruggere il suo popolo per averlo abbandonato (13:7): "... come un leopardo li spierò per la via". La parola usata per "spiare" o "stare in agguato" è ’āšûr. Questa parola è scritta esattamente come la parola Ashur che significa Assiria, tranne per il fatto che manca un dagesh (un puntino aggiunto a una consonante per indicare una differenza nella pronuncia). È interessante notare che il profeta Osea avvertì il Regno di Israele riguardo l’Assiria. Si riferiva al trattato fatto con l'Assiria (vedi Os. 12:2) e disse agli israeliti che (Os. 14:4): "L'Assiria (Ashur) non ci salverà". È un dato di fatto, furono gli Assiri a deportare le dieci tribù di Israele. Usare la parola ’āšûr per descrivere il leopardo in agguato che guarda furtivamente è un gioco di parole intelligente: lo strumento di Dio per punire gli israeliti per l’idolatria e l’immoralità era davvero l'Assiria.

Storie e situazioni umoristiche

Molte delle storie contenute nel testo sono piuttosto divertenti. Per esempio, la piaga delle rane. In primo luogo, le immagini evocate da un paese invaso da rane che saltano, tra cui nel palazzo reale, nelle camere da letto, nei forni, ecc., sono abbastanza divertenti. C'è persino umorismo nella parola usata per descrivere la preghiera di Mosè a Dio che chiede che le rane vadano via. Mosè gridò (wayyi‘aq) a Dio. Mosè dovette gridare perché il rumore prodotto da tutte quelle rane richiedeva che Mosè urlasse per essere ascoltato.

Anche Dio si può esasperare con il Suo popolo. Dapprima disse a Mosè (Es. 3:10): "Or dunque vieni, e io ti manderò a Faraone perché tu faccia uscire il mio popolo, i figli d'Israele, dall'Egitto". Dopo aver creato il vitello d'oro, Dio disse a Mosè (Es. 32:7): "Va', scendi; perché il tuo popolo che hai tratto dal paese d'Egitto, si è corrotto". È molto simile ai genitori che possono dirsi l'un l'altro quando un bambino si comporta male: "Vai a parlare a tuo figlio".

Boaz disse a Ruth (Ruth 2:8): "non andare a spigolare in un altro campo, e non t'allontanare di qui, ma rimani con le mie serve". Boaz disse a Ruth di rimanere nella parte del campo dove lavoravano le giovani donne in modo da non essere molestata da nessuno dei mietitori maschi. Ruth ripeté le parole di Boaz a sua suocera Naomi, ma apportò una leggera modifica (Ruth 2:21): "Mi ha anche detto: Rimani con i miei servi, finché abbiano finita tutta la mia messe". Ruth ha sostituito "serve" con "servi". Naomi deve averla capita perché disse a Ruth (Ruth 2:22): "È bene, figlia mia, che tu vada con le sue serve e non ti si trovi in un altro campo". La scivolata freudiana di Ruth può aver fatto capire a Naomi che Ruth aveva bisogno di un marito e quindi consigliò immediatamente a Ruth come sposarsi.


Umorismo nel Nuovo Testamento

Riporto soltanto alcuni pochi esempi a titolo dimostrativo.

Si facessero pur anche evirare quelli che vi mettono sottosopra! (Gal. 5:12)

Paolo parla in un tono chiaramente sarcastico, oltre che amaro. Per un ebreo questa frase ha quasi un effetto di una bestemmia, se si tiene conto di quanto è scritto in Deut. 23:2: "L'eunuco a cui sono state infrante o mutilate le parti, non entrerà nell’assemblea dell'Eterno". Paolo vuole colpire i suoi avversari nel loro senso dell’onore e dell’amor proprio. Di fronte al fanatismo cieco che essi mostravano per un rito corporale che osavano contrapporre al sacrificio del Golgota, Paolo si sdegna e fa questa amara ironia verso i fanatici della circoncisione.

Se sono così propensi alle mutilazioni corporali, non si fermino al taglio di un po’ di pelle, ma facciano quello che facevano alcuni sacerdoti della dea Cibele, si facciano addirittura evirare. Così sarà più meritorio ancora il loro fanatismo e così potranno gloriarsi ancora di più nella carne. Se la giustificazione è dal taglio della propria carne, più si taglia la carne e più si è giustificati. Se costoro veramente credono in questo, che allora lo dimostrino e anziché farsi circoncidere, si facciano mutilare, e così si dà testimonianza della propria fede.

Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull'altare, e qui ti ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia qui la tua offerta dinanzi all'altare, e vai prima a riconciliarti col tuo fratello; e poi vieni ad offrire la tua offerta (Mat. 5:23,24).

Qui Gesù, in maniera ironica ci presenta il momento più importante della vita di un fedele. È andato a Gerusalemme, si è dato da fare per trovare la vittima da offrire in sacrificio; si è dato da fare per salire al tempio, ha fatto la fila, ha aspettato che il sacerdote fosse pronto con le preghiere, con le benedizioni per fare il sacrificio, quando… c’è quello lì che ancora ce l’ha con lui! Molla tutto per andare a trovare quello che ce l’ha con lui e che forse si trova a trenta chilometri (un giorno di cammino!), facendo incavolare il sacerdote.

Gesù ci ricorda, in maniera ironica, che non ci si può unire a Dio attraverso un atto liturgico di culto, se non siamo in comunione con gli altri. L’ostacolo che c’è tra me e un fratello, si ripresenta tra me e Dio.

Or andate e imparate che cosa significhi: Voglio misericordia, e non sacrificio; poiché io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori (Mat. 9:13).

Dov’è qui l’ironia? È nel fatto che Gesù non parla al popolino, a gente ignorante, parla a gente che è sempre sopra la Bibbia, ma pur conoscendo le lettere e le espressioni, non ne capisce il senso. Gesù dice: ignoranti, andate, uscite da qui, andate a imparare che cosa significhi…

Con questa risposta Gesù fa loro vedere, che nonostante il loro zelo per la Legge, essi non la conoscono e trasgrediscono uno dei precetti principali. Se i Farisei conoscessero la Legge, saprebbero che il Messia deve venire per riconciliare i peccatori con Dio e per chiamarli a salvezza.

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