domenica 21 febbraio 2021

IL FRUTTO DELLO SPIRITO: GIOIA

Galati 5:22 Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé;

La gioia è un frutto o è uno stato emozionale derivato da una qualche situazione? Noi normalmente pensiamo che la gioia sia uno stato di emozione, di felicità, come conseguenza di una situazione che ci è capitata.

La gioia dello Spirito non è una emozione, ma un atteggiamento. La gioia cristiana è frutto dello S.S. Ricordo sempre che i frutti non sono punti di partenza, ma punti di arrivo. Questo vuol dire che la gioia, al pari degli altri frutti che abbiamo visto, è una realtà derivata da un processo. Una cosa è il seme, una cosa è il frutto.

Quindi la prima sorpresa è che non si tratta di uno stato emozionale e basta. È anche uno stato emozionale, ma come derivato da un cammino, da un percorso. Dobbiamo quindi uscire dalla spontaneità della gioia. La gioia non ci capita per caso, viene come processo finale di una lunga pedagogia interiore, che può essere anche breve dal punto di vista temporale, ma che comunque ha i suoi passi.

La parola greca per gioia usata da San Paolo è charà, dal verbo chairō che vuol dire rallegrarsi, gioire, e ha il suo corrispondente ebraico nel termine simḥat. La radice ultima di charà ha come senso “punta di lancia” o un oggetto che buca un muro. Infatti si parla di esplosione di gioia, esultare, uscire fuori, la gioia è una cosa che sboccia. Anche il simḥat ebraico appartiene a un gruppo di termini che indica lo sbocciare, il crescere rigogliosamente, il fiorire.

È piuttosto enigmatico a prima vista pensare che la gioia sia la punta che buca qualcosa. Allora quello che dobbiamo chiederci è che cosa deve bucare, da cosa deve venir fuori, oltre cosa deve crescere? Ci torna utile questo testo:

Luca 6:20 Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. 21 Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. 22 Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo. 23 Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti. 24 Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. 25 Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. 26 Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti.

Qui abbiamo un confronto tra due gioie. Infatti il problema è sapere qual è la gioia cristiana frutto dello Spirito e se ha un suo alter ego, un suo opposto. Bene, il primo opposto è la tristezza. Dobbiamo decidere di non essere tristi, dobbiamo scegliere di non autocommiserarci; ma la gioia può essere di due tipi: c'è una gioia che è la gioia cristiana, ma ci sono altre gioie, altre forme di rallegramento. Il testo di Luca che abbiamo letto parla tantissimo di gioia, rallegrasi, esultare, beati voi. C'è una felicità che si oppone a questa ripetizione del “guai”, a questo annuncio di sventura. Ma a chi viene dato questo annuncio di sventura? A gente che ride. Curioso!

Il confronto è tra chi ora piange perché domani riderà, contro chi ora ride perché domani piangerà. Qual è il punto di questo discorso? La gioia ha due sorgenti, l'immediato e la conseguenza. C'è una gioia che viene dal prendersi subito l'occasione, sfruttare l'occasione che ho per godere. Nel testo abbiamo letto: “guai a voi ricchi perché avete già la vostra consolazione... guai a voi che ora siete sazi... guai a voi che ora ridete”. C'è un presente che porta a un futuro triste.

La gioia effimera, la gioia falsa, è la gioia come quella di una gomma da masticare, due minuti di sapore e poi non sa più di niente. Tante gioie di questa vita sono così, un piacere da bruciarsi subito adesso come un fuoco di paglia. Queste sono le gioie che noi normalmente ci cerchiamo: la soluzione immediata di un problema.

La gioia cristiana è essere poveri ora, avere fame ora, piangere ora. La gioia non è una emozione ma un atteggiamento. La gioia è un atto che deriva dalla fede. Gli orientali parlano della gioia pasquale. La gioia pasquale è di chi esce fuori da un evento.

Un atto di amore non è mai un atto che ha come primo scopo la mia gioia. Ha come primo scopo l'altro, l'ubbidienza a Dio. Il momento pasquale è passare da un momento di negazione per arrivare a una affermazione. Partire dalla negazione di oggi per arrivare al frutto stabile della conseguenza. Nella vita ciò che conta non sono le premesse ma le conseguenze delle cose. Io dei miei atti mi devo chiedere sempre: ma dove mi portano?

Un problema si può risolvere con uno scatto di rabbia. Si batte un pugno sul tavolo e viene il silenzio. Il problema è risolto... ma poi? Poi ci sono rapporti da ricostruire. Invece c'è l'atto di ricercare una gioia che è dopo, che è conseguenza, derivata da una scelta che oggi mi costa, mi chiede di negarmi, di andare oltre la mia immediata soddisfazione.

Scelgo la pace oggi – rinunciando alla guerra – forse negandomi certe rivendicazioni o certi piaceri, ma il piacere vero è quello stabile e duraturo, quello che deriva da una scelta di bene. La gioia cristiana è frutto dell'ubbidienza allo Spirito Santo. Gesù all'inizio del suo ministero invita a credere alla buona notizia, a credere al bene, e quindi a convertirsi. Convertitevi e credete al vangelo (buona novella). Ma prima c'è qualcosa da lasciare, Gesù chiede sempre di lasciare qualcosa per andare dietro a lui.

Quante soddisfazioni ci siamo tolti ma poi in realtà ci hanno lasciato i problemi irrisolti. La gioia cristiana è l'oggetto finale di un percorso che passa per il deserto per arrivare alla terra promessa, che passa per l'abbandono della tristezza per vivere da figlio di Dio. La gioia è una scelta che costa l'abbandono di ciò che non ci fa bene. 





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