Paolo
e la Torah in 1Cor. 9:19-23
1Corinzi
9:19 Poiché, pur essendo libero da tutti, mi
sono fatto servo a tutti, per guadagnarne il maggior numero;
1Corinzi
9:20 e con i Giudei, mi sono fatto Giudeo,
per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, mi sono
fatto come uno sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto
alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge;
1Corinzi
9:21 con quelli che sono senza legge, mi sono
fatto come se fossi senza legge (benché io non sia senza legge
riguardo a Dio, ma sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli
che sono senza legge.
1Corinzi
9:22 Con i deboli mi sono fatto debole, per
guadagnare i deboli; mi faccio ogni cosa a tutti, per salvarne ad
ogni modo alcuni.
1Corinzi
9:23 E tutto faccio a motivo dell'Evangelo,
al fine di esserne partecipe anch'io.
Paolo
dice: pur essendo
libero da tutti, mi sono fatto servo a tutti, cioè
per nulla legato a quello che fanno gli altri. Chi è diventato in
Cristo una nuova creatura, è morto al mondo. Egli è solo di Cristo.
È questa la libertà che il Vangelo conferisce a coloro che lo
accolgono.
Quest’uomo
completamente libero, che ha votato la sua vita interamente al
Vangelo, che ha fatto della sua esistenza una missione di salvezza
per il mondo intero, si fa servo di tutti e lo fa per guadagnare il
maggior numero di persone.
Per
il Vangelo egli rinuncia alla libertà che il vangelo gli ha
conferito, si sottomette a ogni cosa, pur di manifestare al mondo la
straordinaria grandezza del vangelo in modo che gli altri possano
accoglierlo. In questa semplice affermazione Paolo ci rivela la
modalità giusta, anzi l’unica modalità, attraverso la quale è
possibile rendere credibile il vangelo nel mondo: farsi servo di
tutti, perché attraverso la propria vita solo il vangelo di Gesù
possa risplendere nella sua luce di verità, di libertà, di grazia,
di carità, di rigenerazione e di santificazione dell’uomo.
Farsi
servo per gli altri, per guadagnare tutti a Cristo, è la suprema
delle libertà, è la libertà di Cristo in croce che si fece servo
di tutti per condurre ogni uomo al Padre suo che è nei cieli. Si
comprende allora che il vangelo non si diffonde nel mondo perché si
dicono frasi, o perché lo si insegna nelle scuole. È il cristiano
il garante del vangelo; è il cristiano che incontra sulla sua via
l’uomo cui annunciarlo; se il cristiano non è credibile, il
vangelo fallisce nel suo scopo, non raggiunge il suo fine.
Il
cristiano deve divenire pertanto visibilmente trasformato dal
vangelo. Per Paolo questo significa farsi lui stesso servo di tutti,
al fine di rendere credibile e accettabile la verità che egli
annuncia e che per lui è una Persona, Gesù Cristo nostro Signore,
per cui con i Giudei è Giudeo, con coloro che sono sotto la legge è
come coloro che sono sotto la legge, pur essendo libero di essere
sotto a legge, cioè si comporta come uno di loro riguardo
all’osservanza della legge.
Si
sa che Paolo iniziava la sua predicazione partendo proprio dai
Giudei, dal suo popolo. Ora i Giudei erano fortemente attaccati alla
legge. Paolo sa che la legge non conferisce la salvezza; bisogna per
questo eliminare la legge quando i Giudei vengono al vangelo? Niente
affatto. Il vangelo può anche sussistere nell’osservanza della
legge, a condizione che questa legge non sia in contraddizione con la
nuova legge della fede che è Cristo Signore.
Paolo
sa che la legge giudaica non ha valore di salvezza; ma trovandosi in
mezzo a loro egli stesso si sottopone alla legge, sempre che non sia
incompatibile con la fede in Cristo. Lo fa per rendere credibile il
vangelo, il quale non viene per distruggere ciò che è buono e
santo, ma viene per togliere il peccato, la disobbedienza a Dio.
Facendosi
Giudeo con i Giudei egli in verità mostra loro ciò che del
giudaismo si può vivere nel vangelo e ciò che non si può vivere,
perché se lo si facesse diverrebbe tradimento di Cristo e della sua
croce.
Per
fare questo occorre separare con taglio netto la verità dall’errore.
È sempre lo Spirito di Dio che consente di incarnare il vangelo
nelle diverse culture, non omologando il vangelo alle culture, ma
separando quello che in una cultura può essere vissuto del vangelo e
ciò che deve essere abbandonato perché contrario al dettato del
Vangelo.
Oggi
manca a molti annunciatori del vangelo questa separazione netta,
precisa, tra ciò che si può conformare al vangelo, purificandolo, e
ciò che mai potrà essere conformato al vangelo, perché deve essere
eliminato.
La libertà è questa:
che appartenendo a Cristo, puoi osservare la legge dei Giudei
tranquillamente, e Paolo lo fa con i Giudei perché l’importante è
l’amore, e per l’amore dei Giudei è giusto farlo e lo fa; con i
Gentili, siccome l’importante è l’amore, la libertà è non
fare. La libertà quindi è fare e non fare, secondo ciò che è
utile all’altro.
Paolo
spiega come con i senza
legge, anche lui vive
senza legge. I gentili erano senza la legge. Ebbene, Paolo non
presentava loro la legge; annunciava direttamente Gesù Cristo.
Viveva con loro come uno di loro, alla loro maniera.
Però dice: Io la legge
ce l’ho. Quale legge? La legge di Cristo. In greco dice: sono en
nomos. Non è contro la legge: ha una legge precisa e la sua
legge è quella di Cristo, lasciando così capire che la legge di
Mosè è superata. Cos’è la legge di Cristo? Lo dice chiaramente
in Gal. 6:2: Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete
la legge di Cristo. La legge di Cristo è portare: in greco è
bastare, è il basto, quello dell’asino, che porta il peso.
Questa è la legge, cioè amare vuol dire portare il peso dell’altro.
Lui vive in questa legge che è la legge del servo, che è la legge
di Cristo che si è fatto servo e ultimo di tutti. È
la legge dell’amore contraria alla legge dell’egoismo che è
servirsi degli altri. Ed è per questo che è debole coi
deboli, che si fa tutto a tutti perché quello che gli interessa è
che ognuno, fosse anche uno solo, giunga alla salvezza.
Paolo
è il fulgido esempio di come ci si deve comportare con le diverse
culture, forme religiose, o pagane, dell’uomo: tutto ciò che è
contrario alla fede e al vangelo di Cristo bisogna eliminarlo, tutto
ciò che è compatibile con la sua santità si può continuare a
fare. Sappiamo dalle stesse lettere di Paolo la sua lotta impegnata a
sradicare dal cuore dei pagani tutte le loro cattive abitudini
peccaminose e l’impegno profuso a far sì che germinassero nella
loro vita solo le opere dello Spirito.
Il
Vangelo rispetta l’uomo nella sua forma concreta di vita. Il
Vangelo abolisce solo ogni forma di peccato. Il resto è dell’uomo
e glielo lascia, perché fa parte della sua natura, della sua storia,
della sua stessa vita.
Deboli
sono quei cristiani non ancora bene illuminati nelle cose della fede.
San Paolo si è adattato a loro, per guadagnarli al bene e non
scandalizzarli per pericolo di indurli al male.
Nel
mondo ognuno ha una sua forma mentis particolare, un suo modo di
essere e di pensare, un modo di concepirsi e di concepire le cose;
ognuno è a se stante.
La
saggezza del cristiano è proprio quella di comprendere la situazione
spirituale di colui che gli sta di fronte, quali sono i suoi pensieri
e come realmente si concepisce dinanzi a Dio, qual è la sua
relazione con la verità e con l’errore. Se riesce a capire la
forma nella quale l’altro è calato, facendosi suo amico e compagno
potrà aiutarlo a liberarsi dal male che lo avvolge, conservando
invece il bene.
Mi
faccio ogni cosa a tutti.
Parole stupende, che riassumono tutta la vita apostolica e tutto il
programma di san Paolo.
Questa
libertà non sempre si riscontra nei missionari del Vangelo. Non si
trova quando manca in loro la spinta verso la santità. La santità
sprigiona in noi tutta la potenza di Spirito Santo, il quale ci dona
l’intelligenza di sapere ciò che non è vangelo. La spinta verso
la santità del missionario del vangelo è la più alta preparazione
a compiere la sua missione nel mondo.
Nel
v. 23 Paolo riassume il principio che finora lo ha guidato e che
sempre lo guiderà. La sua è una vita interamente consacrata al
vangelo. Questo è lo scopo del suo vivere e del suo operare.
La
struttura religiosa, la forma esteriore, per Paolo è uno strumento.
Se ne serve, se gli serve; se non gli serve, è disposto ad
abbandonarla. L’abbandono delle sue forme religiose gli consente di
poter condividere il vangelo con i gentili.
Il
suo fine è uno solo, come una sola è la meta delle sue fatiche e
delle sue rinunce: far sì che egli possa condividere il vangelo con
gli altri, con il maggior numero, con tutti, se possibile. Questa
libertà non è di tutti; questa libertà è solo dei santi. Sono
loro lo strumento principale dello Spirito Santo.
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