martedì 1 settembre 2020

PAOLO E LA TORAH IN 1CORINZI 9:19-23


Paolo e la Torah in 1Cor. 9:19-23

1Corinzi 9:19 Poiché, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo a tutti, per guadagnarne il maggior numero;
1Corinzi 9:20 e con i Giudei, mi sono fatto Giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, mi sono fatto come uno sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge;
1Corinzi 9:21 con quelli che sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza legge (benché io non sia senza legge riguardo a Dio, ma sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che sono senza legge.
1Corinzi 9:22 Con i deboli mi sono fatto debole, per guadagnare i deboli; mi faccio ogni cosa a tutti, per salvarne ad ogni modo alcuni.
1Corinzi 9:23 E tutto faccio a motivo dell'Evangelo, al fine di esserne partecipe anch'io.

Paolo dice: pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo a tutti, cioè per nulla legato a quello che fanno gli altri. Chi è diventato in Cristo una nuova creatura, è morto al mondo. Egli è solo di Cristo. È questa la libertà che il Vangelo conferisce a coloro che lo accolgono.

Quest’uomo completamente libero, che ha votato la sua vita interamente al Vangelo, che ha fatto della sua esistenza una missione di salvezza per il mondo intero, si fa servo di tutti e lo fa per guadagnare il maggior numero di persone.

Per il Vangelo egli rinuncia alla libertà che il vangelo gli ha conferito, si sottomette a ogni cosa, pur di manifestare al mondo la straordinaria grandezza del vangelo in modo che gli altri possano accoglierlo. In questa semplice affermazione Paolo ci rivela la modalità giusta, anzi l’unica modalità, attraverso la quale è possibile rendere credibile il vangelo nel mondo: farsi servo di tutti, perché attraverso la propria vita solo il vangelo di Gesù possa risplendere nella sua luce di verità, di libertà, di grazia, di carità, di rigenerazione e di santificazione dell’uomo.

Farsi servo per gli altri, per guadagnare tutti a Cristo, è la suprema delle libertà, è la libertà di Cristo in croce che si fece servo di tutti per condurre ogni uomo al Padre suo che è nei cieli. Si comprende allora che il vangelo non si diffonde nel mondo perché si dicono frasi, o perché lo si insegna nelle scuole. È il cristiano il garante del vangelo; è il cristiano che incontra sulla sua via l’uomo cui annunciarlo; se il cristiano non è credibile, il vangelo fallisce nel suo scopo, non raggiunge il suo fine.

Il cristiano deve divenire pertanto visibilmente trasformato dal vangelo. Per Paolo questo significa farsi lui stesso servo di tutti, al fine di rendere credibile e accettabile la verità che egli annuncia e che per lui è una Persona, Gesù Cristo nostro Signore, per cui con i Giudei è Giudeo, con coloro che sono sotto la legge è come coloro che sono sotto la legge, pur essendo libero di essere sotto a legge, cioè si comporta come uno di loro riguardo all’osservanza della legge.

Si sa che Paolo iniziava la sua predicazione partendo proprio dai Giudei, dal suo popolo. Ora i Giudei erano fortemente attaccati alla legge. Paolo sa che la legge non conferisce la salvezza; bisogna per questo eliminare la legge quando i Giudei vengono al vangelo? Niente affatto. Il vangelo può anche sussistere nell’osservanza della legge, a condizione che questa legge non sia in contraddizione con la nuova legge della fede che è Cristo Signore.

Paolo sa che la legge giudaica non ha valore di salvezza; ma trovandosi in mezzo a loro egli stesso si sottopone alla legge, sempre che non sia incompatibile con la fede in Cristo. Lo fa per rendere credibile il vangelo, il quale non viene per distruggere ciò che è buono e santo, ma viene per togliere il peccato, la disobbedienza a Dio.

Facendosi Giudeo con i Giudei egli in verità mostra loro ciò che del giudaismo si può vivere nel vangelo e ciò che non si può vivere, perché se lo si facesse diverrebbe tradimento di Cristo e della sua croce.

Per fare questo occorre separare con taglio netto la verità dall’errore. È sempre lo Spirito di Dio che consente di incarnare il vangelo nelle diverse culture, non omologando il vangelo alle culture, ma separando quello che in una cultura può essere vissuto del vangelo e ciò che deve essere abbandonato perché contrario al dettato del Vangelo.

Oggi manca a molti annunciatori del vangelo questa separazione netta, precisa, tra ciò che si può conformare al vangelo, purificandolo, e ciò che mai potrà essere conformato al vangelo, perché deve essere eliminato.

La libertà è questa: che appartenendo a Cristo, puoi osservare la legge dei Giudei tranquillamente, e Paolo lo fa con i Giudei perché l’importante è l’amore, e per l’amore dei Giudei è giusto farlo e lo fa; con i Gentili, siccome l’importante è l’amore, la libertà è non fare. La libertà quindi è fare e non fare, secondo ciò che è utile all’altro.



Paolo spiega come con i senza legge, anche lui vive senza legge. I gentili erano senza la legge. Ebbene, Paolo non presentava loro la legge; annunciava direttamente Gesù Cristo. Viveva con loro come uno di loro, alla loro maniera.

Però dice: Io la legge ce l’ho. Quale legge? La legge di Cristo. In greco dice: sono en nomos. Non è contro la legge: ha una legge precisa e la sua legge è quella di Cristo, lasciando così capire che la legge di Mosè è superata. Cos’è la legge di Cristo? Lo dice chiaramente in Gal. 6:2: Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo. La legge di Cristo è portare: in greco è bastare, è il basto, quello dell’asino, che porta il peso. Questa è la legge, cioè amare vuol dire portare il peso dell’altro. Lui vive in questa legge che è la legge del servo, che è la legge di Cristo che si è fatto servo e ultimo di tutti. È la legge dell’amore contraria alla legge dell’egoismo che è servirsi degli altri. Ed è per questo che è debole coi deboli, che si fa tutto a tutti perché quello che gli interessa è che ognuno, fosse anche uno solo, giunga alla salvezza.

Paolo è il fulgido esempio di come ci si deve comportare con le diverse culture, forme religiose, o pagane, dell’uomo: tutto ciò che è contrario alla fede e al vangelo di Cristo bisogna eliminarlo, tutto ciò che è compatibile con la sua santità si può continuare a fare. Sappiamo dalle stesse lettere di Paolo la sua lotta impegnata a sradicare dal cuore dei pagani tutte le loro cattive abitudini peccaminose e l’impegno profuso a far sì che germinassero nella loro vita solo le opere dello Spirito.

Il Vangelo rispetta l’uomo nella sua forma concreta di vita. Il Vangelo abolisce solo ogni forma di peccato. Il resto è dell’uomo e glielo lascia, perché fa parte della sua natura, della sua storia, della sua stessa vita.



Deboli sono quei cristiani non ancora bene illuminati nelle cose della fede. San Paolo si è adattato a loro, per guadagnarli al bene e non scandalizzarli per pericolo di indurli al male.

Nel mondo ognuno ha una sua forma mentis particolare, un suo modo di essere e di pensare, un modo di concepirsi e di concepire le cose; ognuno è a se stante.

La saggezza del cristiano è proprio quella di comprendere la situazione spirituale di colui che gli sta di fronte, quali sono i suoi pensieri e come realmente si concepisce dinanzi a Dio, qual è la sua relazione con la verità e con l’errore. Se riesce a capire la forma nella quale l’altro è calato, facendosi suo amico e compagno potrà aiutarlo a liberarsi dal male che lo avvolge, conservando invece il bene.

Mi faccio ogni cosa a tutti. Parole stupende, che riassumono tutta la vita apostolica e tutto il programma di san Paolo.

Questa libertà non sempre si riscontra nei missionari del Vangelo. Non si trova quando manca in loro la spinta verso la santità. La santità sprigiona in noi tutta la potenza di Spirito Santo, il quale ci dona l’intelligenza di sapere ciò che non è vangelo. La spinta verso la santità del missionario del vangelo è la più alta preparazione a compiere la sua missione nel mondo.



Nel v. 23 Paolo riassume il principio che finora lo ha guidato e che sempre lo guiderà. La sua è una vita interamente consacrata al vangelo. Questo è lo scopo del suo vivere e del suo operare.

La struttura religiosa, la forma esteriore, per Paolo è uno strumento. Se ne serve, se gli serve; se non gli serve, è disposto ad abbandonarla. L’abbandono delle sue forme religiose gli consente di poter condividere il vangelo con i gentili.

Il suo fine è uno solo, come una sola è la meta delle sue fatiche e delle sue rinunce: far sì che egli possa condividere il vangelo con gli altri, con il maggior numero, con tutti, se possibile. Questa libertà non è di tutti; questa libertà è solo dei santi. Sono loro lo strumento principale dello Spirito Santo.

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